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― Quale difetto?

― Ma, quei capelli verdi come la cicoria. Io, se fossi sua moglie, glieli farei tingere.

― È sposato?

― Quasi. Dicono che sposerà Miss Universo. Una biondina un po’ tocca. Figurati che a mezzanotte è scappata via perché, dicono, se torna a casa dopo mezzanotte, sua madre la mena.

E Delfina zitta.

Nel pomeriggio tutta Modena è in subbuglio. Ambasciatori del pianeta Venere stanno battendo la città, casa per casa, per una missione straordinaria, con doppia trasferta pagata.

― Cosa fanno? Cosa cercano?

― Figuratevi: dicono che quella Miss Universo là era una di Modena.

― Di Modena o di Rubiera.

― Nella confusione si sono dimenticati di domandarle come si chiama. E il Presidente venusiano la vuole sposare oggi stesso, se no dà le dimissioni e si ritira in un distributore di benzina.

Gli ambasciatori vanno girando con un anello, confrontano il colore della pietra con quello degli occhi delle ragazze, ma non li trovano mai uguali.

Sofronia corre a provarsi l’anello.

― Signorina, ma lei ha gli occhi neri!

― Cosa c’entra? Io ho gli occhi cangianti. Ieri sera potevo anche averli del colore che dite voi.

Corre Bibiana a provarsi l’anello.

― Signorina, non ci siamo: lei ha gli occhi castani.

― Cosa vuol dire? Se l’anello mi va bene, sono io quella che cercate.

― Signorina, ci lasci lavorare. Cammina e cammina, arrivano in Canal Grande; sono nei pressi della lavanderia Borgetti. Ma prima di loro entra in lavanderia la signora Foglietti, in cerca del suo vestito.

― Eccolo qua, ― dice Delfina, tutta tremante.

― Ma non è ancora stirato! ― protesta la signora Foglietti.

― Come sarebbe? ― fa la signora Eulalia. ― Doveva essere pronto già fin da ieri sera al tramontare del sole! Cosa sono queste storie?

Delfina impallidisce. E siccome proprio in quel momento si affacciano sulla soglia gli ambasciatori venusiani in uniforme, e lei li scambia per carabinieri, e crede che siano venuti per il furto del vestito, pensa bene di svenire.

Quando rinviene, si trova seduta sulla migliore sedia del negozio e intorno a lei ambasciatori, cugine, zie, clienti e una gran folla, dentro e fuori della porta, tutti in estasi, tutti in attesa che apra gli occhi.

― Eccoli, guardate! ― gridano gli ambasciatori. ― Ecco gli occhi color verde-venere.

― Ed ecco il vestito che Miss Universo indossava ieri sera, ― grida trionfante la signora Foglietti.

― Io... ― balbetta Delfina, ― io... l’ho messo... ma non l’ho fatto apposta...

― Figlia mia, ma cosa dici? Quel vestito è tuo! Che onore per me! Che onore per Modena e per Campogalliano! La nostra Delfina diventa Presidentessa del pianeta Venere!

Eccetera, eccetera. Seguono i festeggiamenti.

La sera stessa Delfina parte per Venere, sposa il Presidente della repubblica, il quale, per stare in sua compagnia, da immediatamente le dimissioni dalla carica e torna al suo lavoro, in un distributore di carburante fotonico per astronavi. Ai venusiani gli tocca eleggere un altro Presidente e fare un’altra festa da ballo. Ci va anche la signora Foglietti, portando a Delfina i saluti della zia, di Bibiana e di Sofronia, che sono andate a passare le acque a Chianciano Terme. E le porta pure una bella dozzina di uova fresche, comprate a Campogalliano.

Per chi filano le tre vecchiette?

Dispettosetti, gli dei delle antiche favole. Una volta Giove offende Apollo, magari solo per cavarsi un capriccio. Apollo se la lega al dito e, appena può, gli rende pane per pizza, ammazzando un certo numero di Ciclopi.

Dice: cosa c’entra il burro con la ferrovia e cosa c’entrano i Ciclopi con Giove?

C’entrano sì, perché sono i suoi fornitori di fulmini. Giove li tiene come la rosa al naso: non c’è nessun’altra ditta che produce fulmini col marchio della buona qualità come quelli. Quando gli vanno a dire che Apollo gli ha sabotato la produzione, Giove si arrabbia sul serio e gli manda un avviso di reato. Apollo si deve presentare per forza, perché Giove è il re degli dei.

― Così e così, ― dice Giove. ― Per punizione andrai in esilio sulla Terra per sette anni, e per sette anni servirai come schiavo in casa di Admeto, re di Tessaglia.

L’Apollo fa la sua penitenza senza discutere. È un ragazzo in gamba, sa farsi voler bene; con Admeto ci va d’accordo e diventano amici. Dopo sette anni torna sull’Olimpo. Sulla strada di casa si sente salutare da certe vecchiette che stanno a filare sul balcone.

― Come vanno i reumatismi? ― s’informa gentilmente.

― Non ci lamentiamo, ― rispondono le tre vecchiette, che poi sono le tre Parche.

(Avete presente? Ma si, quelle tre dee che governano il destino di ogni uomo dalla nascita alla morte. Per ogni uomo filano un filo e quando lo tagliano, zac, quell’uomo là può anche fare testamento).

― Vedo che siete avanti nel lavoro, ― dice Apollo.

― Eh, già; questo filo l’abbiamo bello che finito. E lo sai di chi è?

― No.

― Ma è il filo del re Admeto. Ne ha ancora per due o tre giorni.

“Accipicchia”, pensa Apollo. “Poveraccio! L’ho lasciato in buona salute ed ecco, già viaggia in riserva”.

― Sentite, ― dice poi alle vecchiette. ― Admeto è amico mio. Non potreste lasciarlo campare ancora qualche annetto?

― E come si fa? ― ribattono le Parche. ― Noi non si avrebbe niente contro di lui, è una bravissima persona. Ma quando tocca, tocca. La morte deve ricevere il suo tributo.

― Non è mica tanto vecchio, l’Admeto.

― Non è questione di età, tesoro. Ma tu gli sei proprio affezionato?

― Ve l’ho detto, è un amicone.

― Bè, guarda, per stavolta si può fare così: il suo filo lo teniamo in sospeso e in aspettativa. Però a un patto: che qualcun altro accetti di morire al suo posto. Ti va?

― Altroché. E grazie tante.

― Figurati! Per farti piacere, questo e altro.

Apollo non passa neanche da casa per controllare la posta. Torna in terra di volata e acchiappa al volo Admeto, che stava uscendo per andare a teatro.

― Senti, AdmÉ, ― gli dice, ― così e così, eccetera eccetera. Insomma, tu sei salvo per un pelo; però bisogna che ci sia un altro funerale. Troverai qualcuno che prenda il posto tuo nella cassa?

― Spero bene, ― risponde Admeto, versandosi un bicchierino di roba forte per farsi passare lo spavento. ― Sono o non sono il re? La mia vita è troppo importante per lo Stato. Mannaggia, però: mi hai fatto venire i sudori freddi.

― Che ci vuoi fare? È la vita.

― No, no. È proprio il contrario.

― Allora, ciao.

― Ciao, Apollo, ciao. Non ho neanche il fiato per dirti grazie. Ti manderò una cassetta di quelle bottiglie che ti piacevano ai bei tempi.

“Mannaggia”, pensa di nuovo Admeto appena rimasto solo. “Tu guarda cosa mi capita. Meno male che ho delle conoscenze altolocate. Mannaggia!”

Manda a chiamare il suo servo più fidato, gli racconta come stanno le cose, gli batte la mano su una spalla e gli dice di prepararsi.

― A far che, Maestà?

― E me lo domandi? A morire, si capisce. Non mi negherai mica questo favore! Non sono sempre stato un buon padrone per te? Non ti ho sempre pagato gli straordinari, gli assegni familiari, la tredicesima?

― Certo, certo.

― Volevo ben dire. Dunque, dai, che non c’è tempo da perdere. Tu pensa a morire che io penso a tutto il resto: carro funebre di prima classe, tomba con lapide, pensione alla vedova, borsa di studio per l’orfanello... D’accordo?