Gli studiosi dei dischi volanti erano in piedi, nell'oscurità fittissima, un nero edificio di tenebre con un tetto di stelle. Poi, così vicino che per un attimo parve loro di trovarsi realmente in una stanza, una piccola luce bassa si accese, mostrando un tavolo ingombro di carte, e dietro il tavolo un uomo che aveva il viso senza età, sottile e dai lineamenti marcati di un faraone. Margo si mosse verso quest'uomo, seguendo il giovane che indossava la maglietta bianca, e Hunter scese dall'auto e andò a sua volta in quella direzione.
L'uomo dietro il tavolo guardava alla sua destra. Qualcuno, in quel punto, disse:
«I campi magnetici di entrambi i pianeti sono scomparsi, Oppie. Siamo ritornati alla norma-Terra.»
Margo disse, ad alta voce:
«Professor Opperly, le stiamo dando la caccia da due giorni. Io ho qui una pistola che è caduta da un disco volante. Serve a imprimere momentum negli oggetti. Abbiamo pensato che dovesse essere affidata a lei. Sfortunatamente, per arrivare qui, abbiamo consumato tutta la carica.»
Egli le lanciò una rapida occhiata, poi abbassò lo sguardo sulla grigia pistola che lei aveva tirato fuori dalla giacca. Le sue labbra si strinsero in un sorrisetto abbastanza sgradevole.
«Direi che assomiglia molto di più a un giocattolo da quattro soldi,» le disse, bruscamente. Poi, volgendosi di nuovo all'uomo che gli stava accanto, «E le comunicazioni radio, Denison? L'etere è più libero, oppure…»
Margo aveva rapidamente spostato la freccia in senso opposto alla canna, poi l'aveva puntata contro il tavolo, e aveva premuto il bottone. Opperly e il giovanotto in maglietta bianca si mossero, cercando di afferrarla, poi si fermarono. Alcuni fogli di carta galleggiarono nell'aria, verso la pistola, e poi furono seguiti da tre fermacarte metallici e da una penna metallica che era stata usata come fermacarte. Per un secondo tutti questi oggetti rimasero appesi alla canna della pistola, poi ricaddero.
«Deve trattarsi di un fenomeno elettrostatico,» disse il giovanotto, con evidente curiosità, osservando i fogli che ricadevano lentamente.
«Agisce anche sugli oggetti metallici,» dichiarò l'uomo che era stato chiamato Denison, osservando i fermacarte che cadevano. «Induzione?»
«Ha attirato la mia mano! L'ho avvertito distintamente,» disse a sua volta Opperly, allargando le dita della mano che aveva allungato, sul tavolo, verso la pistola. Guardò di nuovo Margo. «Ha detto che è effettivamente caduta da un disco volante?»
Lei sorrise, porgendogli la pistola.
Hunter disse:
«Le portiamo anche un messaggio del tenente Donald Merriam, dell'Astronautica. Atterrerà qui…»
Opperly si era rivolto a qualcun altro che era accanto a lui.
«Non c'era un Merriam, tra i dispersi della Base Lunare?»
«Non è disperso,» interloquì Margo. «È riuscito a fuggire a bordo di una delle astronavi lunari. È stato sul nuovo pianeta. Cercherà di atterrare qui… forse sta già arrivando.»
«E aveva un messaggio speciale per lei, professor Opperly,» aggiunse Hunter. «Il nuovo pianeta possiede degli acceleratori lineari pari al raggio terrestre, e un ciclotrone pari alla circonferenza terrestre.»
Opperly sorrise.
«Ne abbiamo avuto appena adesso una dimostrazione, no?»
Nessuno di loro notò una stella ammiccare in ritardo, in prossimità di Marte. Un raggio laser in fuga nello spazio aveva colpito Deimos, la piccola luna esterna di Marte, trasformandola in una massa incandescente… provocando una considerevole eccitazione in Tigran Biryuzov e nei suoi compagni.
Opperly posò sul tavolo la pistola grigia, e girò intorno alla superfice ingombra di carte.
«Venite con me, per favore,» disse, rivolgendosi a Margo e a Hunter. «Dobbiamo avvertire il campo di atterraggio, per l'eventualità di un atterraggio.»
«Aspetti un attimo,» disse Margo. «Non lascerà semplicemente qui la pistola a momentum?»
«Oh,» disse Opperly, in tono di scusa. Allungò la mano, e porse la pistola a Margo. «Sarà meglio che me la custodisca lei.»
Richard Hillary e Vera Carlisle marciavano lungo una stradicciola fangosa che costeggiava sinuosa le cime delle Malvern Hills, dirigendosi a sud. Ancora una volta c'erano molte altre figure in marcia, con loro, una lunga teoria di punti in movimento.
Avevano scoperto che neppure il sesso e la compagnia possono placare lo stimolo del lemming, almeno di giorno. Richard stava pensando di nuovo alle Black Mountains. Doveva essere possibile raggiungerle, senza abbandonare il terreno alto.
Il sole del mattino era nascosto da una grigia nuvolaglia che era venuta da occidente, proprio quando il Vagabondo era tramontato, mostrando la D. Allora si era verificato un fenomeno apparentemente inesplicabile. Nel momento in cui il Vagabondo era svanito nella cortina di nubi, era sembrato rinascere, tutto di un grigio argenteo, e ancora più grande, un'ora sopra il punto in cui era svanito. Avevano fatto innumerevoli ipotesi, cercando di indovinare se si fosse trattato di un miraggio, o se addirittura non fosse stato un secondo pianeta straniero. Poi il miraggio, o il pianeta straniero che fosse, era svanito nella nuvolaglia.
Vera si fermò, e accese la radiolina a transistor. Richard si fermò, accanto a lei, facendo un sospiro di rassegnazione. Due passanti vicini si fermarono a loro volta, per semplice curiosità.
Vera, lentamente, fece ruotare il disco della sintonia. Non si udivano scariche di statica. Lei alzò il volume al massimo, e ricominciò a far ruotare il disco. E ancora, soltanto silenzio.
«Forse è rotta, signorina,» suggerì uno dei viandanti.
«Hai consumato le batterie,» le disse Richard, in tono ostile. «Meno male.»
Poi la voce giunse, sottile e sibilante, all'inizio, ma poi, quando Vera sintonizzò meglio l'apparecchio, chiara e forte nel silenzio dal grigio tetto delle colline:
«Ripetiamo. Un dispaccio di agenzia, trasmesso via cavo da Toronto, e confermato da Buenos Aires e dalla Nuova Zelanda, afferma definitivamente che i due pianeti stranieri sono svaniti, così come erano arrivati. Questo non significa un'immediata cessazione degli effetti sulle maree, ma…»
Continuarono ad ascoltare. Dalla strada, da ogni punto del percorso, arrivava molta gente, che si radunava, si radunava…
Bagong Bung decise che le onde si erano quietate a sufficienza, così prese il sacco di tela dal fondo della scialuppa di gomma, dove era rimasto, sotto il suo corpo, per maggiore sicurezza, insieme ai sacchetti legati che contenevano le monete della Sumatra Queen, e lo aprì, in modo che anche Cobber-Hume potesse vederne il contenuto.
Le acque tempestose, che avevano spazzato più volte la superficie della piccola scialuppa arancione, avevano portato via tutta la fanghiglia, e pulito tutti i piccoli oggetti contenuti dal sacco. Insieme a frammenti di corallo, e a ciottoli, e a conchiglie, c'era il cupo bagliore di oro antico, e c'erano le fiamme piccole e rosseggianti di tre… no, di quattro!… rubini.
Wolf Loner smise di dare la minestra alla bambina italiana, perché lei aveva girato la testa per guardare l'orlo del sole nascente che spuntava sull'Atlantico grigio. «Il sole,» mormorò lei.
Toccò il legno della Pazienza. «Una nave.»
Posò la mano sul polso della mano che teneva il cucchiaio, e sollevò lo sguardo, finalmente guardandolo negli occhi. «Noi siamo qui.»
«Sì, siamo qui,» le disse.
Il capitano Sithwise guardò in basso, dal ponte di comando della Principe Carlo, e vide leghe e leghe di verde giungla fangosa, che cominciava a fumigare vapore bianco, sotto i raggi del sole rosso e basso sull'orizzonte.