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L'eclissi non produceva un buio così fitto, aveva scoperto, e i tre cacciabombardieri del presidente avrebbero potuto avvistare e abbattere il suo vecchio Seabee in pochi secondi, ponendo la parola fine alla Rivoluzione dei Migliori, o per lo meno al contributo che a essa poteva dare l'autonominato discendente diretto del primo William Walker che, intorno al 1850, aveva esercitato l'onorevole professione del filibustiere nel Nicaragua. Era come una notte di novilunio, le stelle erano chiare, sopra le nubi… e l'idea appariva dannatamente disperata.

Se lui riusciva a lanciarsi dalla carlinga, sarebbe stato preso prigioniero. Non pensava di poter sopportare i loro sistemi di ricerca, se non trasformandosi in un bambino di tre anni.

Troppa luce, troppa luce! «Tu sei una sporca, tipica istriona d'avanspettacolo!» gridò Don Guillermo alla luna ramata. «Non sai neppure cosa voglia dire cancellarti!»

A duemila miglia da Wolf Loner e dal suo banco di nubi, in direzione est, Dai Davies, poeta gallese, vigoroso e sbronzo, agitò le braccia in segno di saluto, da un punto vicino alla cupa massa torreggiante della Centrale di Energia Marina Sperimentale della Severn, rivolgendosi alla fosca Luna che affondava nel cielo sereno del Canale di Bristol, al di là della Punta di Portishead, mentre il chiarore sempre più diffuso dell'aurora cancellava lentamente le stelle, alle sue spalle.

«Dormi bene, Cenerentola,» chiamò. «Adesso puoi lavarti il viso, ma ritorna, ti prego.»

Richard Hillary, romanziere inglese, nauseato e lucido, osservò in tono ironico:

«Dai, lo dici come se temessi che lei non tornasse.»

«Per ogni cosa c'è una prima volta, Rickybach,» gli disse in tono cupo Dai. «Non ci preoccupiamo abbastanza della Luna.»

«E tu ti preoccupi troppo di lei,» ribatté freddamente Richard. «Leggendo una massa vomitevole di fantascienza.»

«Ah, la fantascienza è il mio cibo e la mia bevanda… be', insomma, per lo meno è il mio cibo. Vomitevole, dici… forse stavi pensando alla dragonessa Errore che vomita libri, nella Regina delle Fate, immaginando che essa, dopo tutto l'odio stantio di Spenser, rigetti ora le opere complete di H.G. Wells, Arthur C. Clarke, ed Edgar Rice Burroughs,»

La voce di Hillary si fece glaciale.

«La fantascienza è volgare come tutte le forme artistiche che si occupano di fenomeni, invece che di persone. Dovresti saperlo anche tu, Dai. I gallesi non sono di cuore caldo?»

«Freddi come pesci,» replicò con orgoglio il poeta. «Freddi come la stessa Luna, che è un potere assai più grande, sulla vita, di quanto voi anglo-normanni sacrileghi, sentimentali, avvezzi alle taverne e infatuati di umanesimo e degenerati possiate mai immaginare.» Con un ampio gesto del braccio, indicò la Centrale. «Energia da Mona.»

«David!» esplose il romanziere. «Tu sai benissimo che questo giocattolo per trarre energia dalle maree è semplicemente un trucchetto per ammansire gente come me, che è contro l'energia atomica per le sue applicazioni belliche. E per favore, non chiamare le Luna Mona… si tratta di etimologia popolare. Mona può essere un'isola gallese, se proprio vuoi… Anglesey… ma non un pianeta gallese!»

Dai si strinse nelle spalle, guardando a oriente, in direzione del disco lunare fievole, che ormai svaniva.

«Per me Mona è la parola giusta, ed è questo che conta. Tutta la cultura è semplicemente un trucchetto per ammansire un'umanità bambina. E in ogni caso,» aggiunse, con una smorfia ironica, «Ora ci sono degli uomini sulla Luna.»

«Sì,» ammise freddamente Hillary. «Quattro americani, e un numero imprecisato, ma certamente ridotto, di sovietici. Dovremmo aver curato, invece, la povertà del genere umano, e le sofferenze dei nostri simili, prima di sprecare miliardi nello spazio.»

«Però su Mona ci sono degli uomini lo stesso… uomini sulla via dello spazio siderale, verso le stelle.»

«Quattro americani. Io rispetto di più quel Wolf Loner della Nuova Inghilterra che è partito da Bristol il mese scorso, a bordo della sua imbarcazione, per una traversata solitaria. Per lo meno, lui non sfruttava le ricchezze del mondo, per il suo capriccio avventuroso.»

Dai sorrise, senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte occidentale.

«Accidenti a Loner, quell'anacronismo yankee! Probabilmente, è già affogato, e i pesci se lo sono mangiato. Ma gli americani scrivono magnificamente la fantascienza, e costruiscono delle navi lunari buone quasi quanto quelle dei russi. Buona notte, Monabach! Torna indietro, con la faccia sporca o pulita, ma torna indietro.»

CAPITOLO II

Attraverso la finestrella di visione dell'enorme casco, ancora polarizzato al cinquanta per cento per proteggere gli occhi dal tremendo riverbero solare, il tenente Don Merriam, dell'Astronautica degli Stati Uniti, stava osservando l'ultimo spicchio curvo di solido sole, già distorto e baluginante per il frapporsi dell'atmosfera terrestre, scivolare dietro il gran globo del pianeta madre.

Gli ultimi guizzi di luce solare riproducevano, con spaventosa esattezza, il tramonto del sole d'inverno nella trama intricata d'alberi senza foglie, a un quarto di miglio a est della fattoria del Minnesota nella quale Don Merriam aveva trascorso la sua adolescenza.

Girando il capo verso il mini-pannello di destra, premette con la lingua un tasto, per togliere la polarizzazione. («I pianeti senz'aria verrano conquistati da pionieri con lingue lunghe e attive,» aveva concluso il Comandante Gompert. «Degli uomini-rospo?» aveva suggerito Dufresne.)

Le stelle sgorgarono dalla notte a moltitudini… una notte del deserto al quadrato, un gran mantello notturno cosparso di lustrini. L'ardore perlaceo della corona solare si mescolava col gran fuoco della Via Lattea.

La Terra aveva un anello di chiarore rugginoso… la luce solare curvata dalla densa atmosfera del pianeta… e sarebbe rimasta così per tutta la durata dell'eclissi. L'anello era più luminoso vicino alla crosta del pianeta e impallidiva fino a spegnersi a un quarto di diametro di distanza, e il punto più luminoso era scomparso pochi istanti prima.

Don notò, senza sorpresa, che il globo centrale della Terra era del nero più impenetrabile che avesse mai visto di lassù. A causa dell'eclissi, la faccia terrestre non era più accarezzata dal chiarore spettrale della luce selenita.

Era rimasto parzialmente rannicchiato nella sua tuta, appoggiato all'indietro, e sostenuto da una mano, per avere una visione più agevole della Terra, che era a metà strada dallo zenit. Ora, muovendosi agilmente nella fantomatica gravità lunare, si alzò completamente in piedi, e si guardò intorno.

Il chiarore delle stelle e il chiarore dell'anello intorno alla Terra coloravano di bronzo la cinerea pianura grigia di polvere, soffice e impalpabile come il pelo di un topo, una mescolanza di polvere di pomice e di ossido di ferro magnetico.

Nei tempi in cui l'esercito riformatore di Cromwell aveva governato l'Inghilterra, Hevelius aveva battezzato questo cratere Grande Lago Nero. Ma anche nel pieno fulgore della luce del sole Don non avrebbe potuto vedere le pareti di Piatone. Quel bastione circolare, alto quasi un miglio, che distava trenta miglia a est, a sud, a nord, e a ovest, gli era celato dalla curva della superficie lunare, una curva molto più accentuata di quella terrestre.

Il medesimo orizzonte vicino tagliava in due la metà della capanna, che distava solo trecento iarde. Era bello vedere quei cinque piccoli portelli illuminati, al margine tra la pianura oscura e la prateria brulicante di stelle… e vicino a loro, in rilievo nel chiarore stellare, i coni tronchi delle tre astronavi della base, ciascuna delle quali si ergeva alta sulle tre «gambe» di atterraggio.