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«Com'è nero il nero?» domandò sommessamente la voce di Johannsen, all'orecchio di Don. «Passo.»

«Caldo e profumato. Suzie saluta con affetto,» rispose Don. «Passo.»

«Temperatura esterna?»

Don abbassò lo sguardo sui quadranti fluorescenti ingranditi sotto la finestrella di visione.

«Sta calando sotto i 200 Kelvin,» rispose, fornendo il perfetto equivalente di una temperatura di 100 gradi sottozero nella scala Fahrenheit, ancora diffusamente usata nelle regioni di lingua inglese della Terra.

«Il tuo SOS funziona?» continuò Johannsen.

Don toccò con la lingua una levetta, e un debole ululato musicale riempì il casco.

«Forte e chiaro, mio capitano,» disse, con un florilegio dialettico.

«Lo sento,» gli assicurò acidamente Johannsen. Don chiuse di nuovo il dispositivo con la lingua.

«Hai già mietuto le nostre latte?» domandò subito dopo Johannsen, riferendosi alle piccole «ceste» sostenute da paletti che venivano regolarmente messe fuori e raccolte per controllare i movimenti della polvere lunare e di altri materiali, comprese particelle atomiche radioattive sistemate a diverse distanze dalla Capanna.

«Non ho ancora affilato la mia falce,» gli disse Don.

«Fai con calma,» consigliò Johannsen, con un ringhio allusivo, e tolse la comunicazione. Lui e Don sapevano benissimo che piantare e raccogliere le «latte» era soprattutto una scusa per far indossare la tuta spaziale a un uomo, e farlo uscire dalla Capanna, come misura di sicurezza durante i periodi di maggiore pericolo di lunamoti… quando la Terra e il Sole attiravano la Luna dal medesimo lato, come accadeva ora, o dai lati opposti, come sarebbe accaduto tra due settimane. La trazione gravitazionale veniva ritenuta, teoricamente, la causa d'attivazione dei terremoti e così, probabilmente, dei lunamoti. La Base Lunare non aveva ancora sperimentato nulla di più grave di qualche blando tremore… il pennino del sismografo ancorato alla solida roccia sotto la polvere che reggeva come un cuscino la Capanna aveva appena tremolato; malgrado ciò, Gompert faceva quasi un punto d'onore del fatto di tenere un uomo sulla superficie lunare per diverse ore, ogni due settimane… a «terra nuova» e a «terra piena» (o plenilunio e novilunio, se si restava al gergo dei terricoli, o semplicemente alle maree). Perciò, se l'inatteso fosse accaduto e la Capanna avesse subito dei danni rilevanti, Gompert avrebbe avuto un uovo almeno fuori del suo cesto.

Era solamente una delle infinite precauzioni elaboratissime che la Base Lunare prendeva per la propria sicurezza. Inoltre, essa forniva l'occasione per un valido collaudo regolare dell'efficienza delle tute spaziali, e delle condizioni del personale destinato al lavoro solitario sull'aspra superficie di Selene.

Don alzò di nuovo lo sguardo verso la terra. L'anello brillava con maggiore regolarità, ora. Non riuscì a distinguere un solo lineamento del circolo d'inchiostro racchiuso dall'anello, benché sapesse che il Pacifico orientale e le Americhe si trovavano a sinistra, e l'Atlantico, e le estremità occidentali dell'Africa e dell'Europa si trovavano a destra. Pensò alla cara, lievemente isterica Margo e a quel buon vecchio nevrotico di Paul, e veramente, in quel momento, anche loro gli parvero piuttosto banali e privi d'importanza… dei graziosi, minuscoli scarafaggi che zampettavano sotto la fogna dell'atmosfera terrestre.

Guardò di nuovo in basso, ed era in piedi su di un biancore scintillante. Non un biancore letterale, eppure l'effetto di una nevicata fresca del Minnesota, quando il cielo si era rasserenato e la neve fresca aveva scintillato del riverbero delle stelle, in una notte di novilunio, era stato riprodotto con infernale precisione. Emanazioni di ossido di carbonio, il gas che era filtrato regolarmente attraverso la pomice e l'ossido del suolo di Piatone, d'un tratto si erano cristallizzate ovunque, in fiocchi di neve secca, che si erano formati direttamente sul suolo polveroso, o erano caduti su di esso quasi istantaneamente.

Don sorrise, sentendosi un po' meno inumanamente distante dalla vita. La luna non era diventata ancora per lui una Madre, tutt'altro, ma cominciava lentamente a sembrare una fredda, arida Sorella Maggiore.

L'aria profumata accarezzava la convertibile che portava Paul Hagbolt e Margo Gelhorn e la gatta Miao lungo l'Autostrada della Costa del Pacifico. A intervalli quasi regolari, un ingiallito cartello stradale cominciava a ingrandire, in lontananza, e avvicinandosi si poteva leggere STRADA SDRUCCIOLEVOLE o CADUTA MASSI, e poi il cartello spariva dal campo di luce dei fari. L'autostrada era una striscia d'asfalto stretta che si stendeva tra la spiaggia e un dirupo quasi verticale, alto circa trenta metri, di materiale geologicamente infantile… sedimentario, sabbia, ghiaia, e altri materiali sedimentari, benché qua e là da esso sporgessero delle rocce più grandi.

Margo, con i capelli al vento, sedeva con le spalle girate e il corpo in una posizione precaria, con le ginocchia sul sedile tra lei e Paul, in modo da potere osservare la Luna bronzea e fumosa. Aveva disteso la giacchetta in grembo. Sopra di essa si trovava Miao, acciambellata come una grigia noce di cocco, addormentata rapidamente, o per lo meno abilissima nell'imitare il sonno.

«Ci avviciniamo a Vandenberg Due,» disse Paul. «Potremmo osservare la Luna attraverso uno dei telescopi del Progetto.»

«Laggiù ci sarà Morton Opperly?» domandò Margo.

«No,» rispose Paul, con un lieve sorriso. «Lui è su nella Valle, in questi giorni, a Vandenberg Tre, e sta recitando la parte del maestro stregone davanti a tutti gli altri teorici.»

Margo si strinse nelle spalle, e guardò in alto.

«Ma la Luna non sparisce mai?» si chiese. «È ancora color bronzo.»

Paul le spiegò la natura della luce-alone.

«Quanto dura l'eclisse, insomma?» volle sapere Margo, e quando lui le rispose, «Due ore», lei obiettò: «Credevo che le eclissi finissero nel giro di pochi secondi, con tutta la gente eccitata intenta ad alzare le macchine fotografiche.»

«Quelle sono le eclissi di sole… i momenti di eclissi totale.»

Margo sorrise, e assunse una posizione più comoda.

«Adesso parlami delle fotografie stellari,» disse. «Non puoi essere ascoltato da orecchie indiscrete, su un'automobile in movimento. E adesso non sono più tanto eccitata. Ho smesso di preoccuparmi per Don… l'eclissi per lui è solo una coperta di bronzo.»

Paul esitò.

Lei sorrise di nuovo.

«Prometto di non fare elucubrazioni. Mi piacerebbe soltanto capire cosa vogliono dire.»

«Non posso prometterti una comprensione facile. Anche i grandi astronomi hanno limitato le loro profonde conclusioni a una serie di brontolii senza senso… Opperly compreso.»

«Ebbene?»

Paul frenò, aggirando una zona particolarmente ghiaiosa, poi cominciò:

«Be', comunemente le fotografie stellari non vengono mostrate in giro per anni e anni, se mai vengono mostrate, ma gli astronomi del Progetto hanno formulato una richiesta permanente ai loro colleghi dei vari osservatori, per ricevere subito qualsiasi immagine insolita. Riusciamo a ricevere perfino delle foto il giorno dopo che esse vengono scattate.»

«Ultime Notizie dell'Atlante Stellare?» rise Margo.

«Esattamente! Be', la prima foto è arrivata una settimana fa. Mostrava un campo stellare, nel quale era inquadrato il pianeta Plutone. Ma qualcosa era accaduto, durante il tempo di esposizione, e così le stelle intorno a Plutone erano scomparse, o avevano modificato la posizione. L'ho vista anch'io… c'erano tre macchioline debolissime, nei punti in cui si erano spostate le stelle più luminose nelle vicinanze di Plutone. Macchioline nere su bianco… nella vera astronomia, si guardano solo le negative.»