«Arrivo!» gridò.
Partì a tutta velocità, e la Corvette attraversò la buca, senza scivolare e senza bloccarsi. La parcheggiò a una buona distanza, più avanti, poi ritornò di corsa là dove Rama Joan, Margo e Hunter lo aspettavano, davanti alla buca. Ann era ritornata accanto all'autobus, stava chiacchierando con McHeath e ammirava il suo fucile.
«È stato poco emozionante, dopo le premesse,» disse Doc. «Sto invecchiando, temo; e invecchiando si diventa prudenti.» Hunter e Margo si misero a ridere. Rama Joan fece un sorriso incerto.
Ida chiamò dal camion.
«Signor Brecht! Ray Hanks non vuole essere portato giù un'altra volta.»
Doc si guardò intorno, osservò i volti degli altri, si strinse nelle spalle e disse:
«Così risparmieremo tempo,» poi gridò, «Va bene, che corra il rischio! Fa' passare il camion, Hixon!»
Il camion partì a buona velocità. Solo quando arrivò sano e salvo dall'altra parte, accanto a loro, essi videro che la signora Hixon si trovava dietro, accanto ad Hanks, e gli reggeva il capo.
I passeggeri dell'autobus passarono in fila indiana attraverso la buca: Bacchetto, Wanda… e Ida con loro… ma non Wojtowicz, che si era fermato con McHeath e Ann; infine arrivarono Clarence Dodd e Pop, che discutevano animatamente. Pop stava protestando.
Doc si calcò in testa il cappellaccio nero, e si diresse verso di loro, bruscamente.
«Lo so, lo so!» disse, quando Pop aprì la bocca sdentata. «Le gomme posteriori sono più lisce che mai, e pericolose… e così via. Lascia fare a Rudy.»
«Manca anche un cilindro,» gli gridò Pop, ma Doc stava già correndo verso l'autobus.
Clarence Dodd notò i volti anneriti di Margo e degli altri.
«Quell'acquazzone sarebbe stato la gioia di Charles Fort,» disse, sorridendo. «Sapete? Sembrate tutti agghindati per un funerale indiano.»
Margo pensò, per la prima volta dalla notte precedente, alla ragazza torturata che riposava nella sua tomba, in alto.
Rama Joan, improvvisamente, si avviò verso l'autobus, per seguire Doc. Ann le fece un segno; si trovava accanto a Doc. «Ehi, mamma!» Rama Joan si fermò, e rispose al cenno, esitando.
Ann fece una risatina, e McHeath e Wojtowicz risero di cuore, per qualcosa che Doc aveva detto salendo a bordo dell'autobus. Il motore cominciò a tossire, e l'autobus si mosse, acquistando velocità, ma esitando ancora.
Pop borbottò:
«Certe volte il cambio si blocca, per andare in seconda.»
L'autobus entrò nella buca molto lentamente. Le ruote anteriori esitarono a uscirne, e poi la parte posteriore cominciò a scivolare lateralmente, in fretta. Doc diede gas. Le gomme posteriori squittirono lamentosamente, sulla pietra ricoperta dal nero velo scivoloso. Doc frenò, spegnendo il motore. L'autobus continuò a scivolare giù per il pendio.
McHeath buttò il fucile a Wojtowicz, e corse verso l'autobus, giù per il pendio, rischiando di scivolare.
L'autobus parve esitare, poi si fermò sull'orlo del precipizio di centocinquanta metri, con una ruota anteriore bloccata da un piccolo masso infilato in una buca. Tutti poterono vedere Doc sollevarsi dal sedile piegato all'indietro, appoggiarsi al pavimento inclinato, e allungare la mano verso la leva che apriva la porta anteriore.
Hunter, improvvisamente, afferrò Margo per la spalla, infilò la mano nella giacca di lei, ed estrasse la pistola a momentum.
McHeath era quasi arrivato all'autobus, e anche lui era vicino all'orlo del precipizio. Wojtowicz si domandò cosa intendesse fare il ragazzo; forse trovare un appiglio, e tendere la mano per sostenere Doc, quando egli fosse saltato a terra, sul pendio scivoloso.
Doc aprì la porta, e sporse il capo. In quel momento il piccolo masso uscì dalla buca, per l'eccessiva pressione alla quale era sottoposto, e le ruote posteriori dell'autobus scivolarono oltre il ciglio del burrone, mentre il fondo s'inclinava ancor più, opponendosi allo sforzo di uscire di Doc; il fondo dell'autobus grattò rumorosamente il bordo roccioso, scivolando lentamente.
Hunter strinse tra il pollice e l'indice la levetta nascosta, alla sommità del calcio della pistola grigia, e la spostò, in modo che la freccia non puntasse verso la canna, ma dalla parte opposta.
Doc era riuscito a uscire fino alla cintola, quando l'autobus si sbilanciò, buttandolo in ginocchio sulla porta. Mentre l'autobus dondolava, cominciando a precipitare nell'abisso, Doc guardò i suoi amici, alla sommità del pendio, si tolse il cappellaccio nero, e lo agitò verso di loro.
Hunter puntò contro di lui la pistola a momentum, e premette il bottone.
Il volto di Doc affondò, scomparve, insieme alla sua mano tesa, ma il cappellaccio nero tornò veleggiando nell'aria sopra l'orlo del precipizio, accompagnato da un vento gelido.
McHeath si gettò a terra, sull'orlo del precipizio, stringendo una sporgenza rocciosa con il piede, il ginocchio, il gomito e la mano, e si affacciò, guardando in basso.
Il pendio vibrò debolmente, sotto i loro piedi, e il grande schianto si udì cavernoso.
Il vento gelido diventò più forte. Il cappello nero veleggiò verso Hunter, e rimase appeso alla canna della pistola a momentum. Un sasso cominciò a risalire dal pendio, rotolando lentamente verso Hunter. Allora Hunter staccò il dito dal bottone, e chinò il capo. Il sasso invertì la direzione, e rotolò giù per il pendio, rumorosamente.
McHeath chiamò, raucamente, con voce strana, troppo tesa:
«È andato. È stato sbalzato fuori. L'ho visto cadere, e abbattersi sul fondo. Poi l'autobus gli è precipitato addosso.»
Hunter disse:
«Solo un secondo prima, e…»
Clarence Dodd gli disse:
«Lei ha girato la freccia di centottanta gradi, e ha rovesciato così il momentum?» E quando Hunter annuì, stancamente, l'Omino commentò, «Be', è logico.»
Hunter strappò il cappellaccio nero dalla canna della pistola, e lo sollevò, come se avesse voluto gettarlo a terra e calpestarlo. Poi si limitò a guardarlo, come se lo vedesse per la prima volta.
Ci fu un piccolo tonfo cavernoso, quando il sasso toccò il fondo, centocinquanta metri più in basso, e il suono arrivò fino a loro.
Sulla mesa assolata dell'Arizona, come una Torre del Silenzio, gli avvoltoi strapparono gli ultimi brandelli di carne dal viso di Asa Holcomb, lasciando completamente nudo il rosso teschio sogghignante.
Paul Hagbolt riposava appoggiato alla finestra liscia, calda e sicura che avvolgeva il disco volante di Tigerishka. Guardò in basso, e vide spezzarsi la calotta boreale della Terra, la bianca crosta di acqua gelata che veniva sollevata e frantumata dalle immani maree che erano entrate e uscite dal Mar di Groenlandia, nella Baia di Baffin, e nello Stretto di Bering. Quasi tutte le regioni artiche erano uscite dall'ombra, mentre l'emisfero settentrionale della Terra, nel chiarore dell'estate, s'inclinava verso il sole.
L'interno del disco volante era buio, ma un po' di luce si rifletteva dai ghiacci nevosi, scintillanti come fari ammicanti ogni volta che le onde inclinavano i lastroni di ghiaccio in modo che essi riflettessero la luce direttamente… stelle in un cielo bianco.
Anche Tigerishka era mollemente appoggiata alla finestra sull'infinito, a pochi passi da Paul. Stava accarezzando Miao, ma ora la gattina si ritraeva dalla mano vellutata, e si dirigeva nuovamente, con l'agilità acquisita in poche ore di imponderabilità, verso Paul, per tuffarsi nell'aiuola fiorita alle spalle dell'uomo… presumibilmente, per esplorarla di nuovo nel misterioso crepuscolo balenante dei ghiacci. Miao si era adattata con incredibile facilità alla caduta libera, e si divertiva a strisciare tra le piante, lungo i viticci intricati, e il musetto faceva capolino tra le foglie e i fiori, sorridendo di un sorriso felino, di quando in quando.