Tigerishka fece un suono dolce, musicale, che avrebbe potuto essere un sospiro. Paul pensò che forse li aveva portati là per sfuggire al pensiero colpevole di persone che morivano a migliaia sulla Terra. Fu sul punto di dirle che esisteva, o era esistita il giorno prima, una stazione meteorologica russa al Polo Nord, ma decise che Tigerishka avrebbe potuto leggere questo nella sua mente, se avesse voluto.
Senza preavviso, il disco volante cominciò a salire molto rapidamente. Prima la calotta polare, poi l'intera Terra, rimpicciolirono rapidamente.
Paul dominò le sue reazioni. L'emotività e l'eccitazione non erano sentimenti molto ammirati, tra i felini, e sapeva già che Tigerishka poteva operare il pannello di comando senza toccarlo, e senza guardarlo.
Le stelle spuntarono dappertutto, un grande prato di stelle scintillanti. Mentre la Terra continuava a rimpicciolire, il Vagabondo entrò silenzioso nel campo visivo. Anch'esso aveva una specie di calotta polare, una gialla calotta sbilenca che si stagliava sullo sfondo violetto, ma con un collo giallo che scendeva da essa… il collo di un dinosauro. Da quel punto, la forma gialla era come un'ascia di guerra.
Stavano salendo ad angolo retto rispetto alla luce del sole: nessun raggio penetrava direttamente nel disco volante. I due pianeti cominciarono a mostrare metà superficie, il Vagabondo arricchito da una mezzaluna di frammenti seleniti, sul lato rivolto al sole.
Si fece buio, nel disco volante, quando il riverbero dei ghiacci svanì. Quando i pianeti cominciarono a stabilizzarsi, smisero di rimpicciolire, essi furono due mezzelune piccole, quasi uguali, non molto distanti tra loro, sullo sfondo di grandi prati di stelle colorate, quelle stelle che Paul trovava insolite, le stelle che si vedono dall'emisfero australe.
Senza eccessivo stupore, capì che il disco volante aveva percorso diversi milioni di miglia in meno di un minuto… una velocità non troppo lontana da quella della luce.
Era come se lui e Tigerishka, camminando in una città, si fossero ritirati in un grande parco buio, e ora osservassero le luci della città al di là di acri e acri di prati e alberi oscuri. Dopo qualche tempo, l'immagine cominciò a portare un senso di solitudine.
Tigerishka disse, sommessamente:
«Ti senti Dio? Con la Terra come sgabello?»
Paul disse:
«Non so. Potrei cambiare il passato? Se qualcuno fosse morto, potrei riportarlo in vita?»
Tigeriska non rispose, anche se a Paul parve che, nel buio, lei avesse scosso lentamente il capo.
Ci fu una lunga pausa di silenzio. Poi Tigerishka fece udire di nuovo il lieve suono melodioso che somigliava a un sospiro. E poi, dolcemente:
«Paul?»
«Sì?» domandò lui, sommessamente.
Lei disse, sottovoce ma rapidamente:
«Noi siamo malvagi. Abbiamo fatto un male tremendo al tuo pianeta. Noi abbiamo paura.»
Continuò, questa volta non più come una bambina che confessasse di esser stata cattiva.
«La vostra generazione perduta, i vostri profughi ungheresi, i vostri anarchici, i vostri satanisti, i vostri beat, i vostri angeli caduti, i vostri giovani bruciati, i vostri delinquenti minorili… noi siamo come quelli. Corriamo, corriamo, corriamo. Fuggiamo, fuggiamo, fuggiamo. Ogni passo, battendo il cavo pavimento planetario sotto le gelide lampade stradali delle stelle: un miliardo di anni-luce.»
Sapeva che lei stava raccogliendo le parole, i concetti e le immagini della sua mente, eppure la sua mente non lo avvertiva affatto.
Tigerishka continuò:
«Il Vagabondo è il nostro carro fuggiasco, la nostra scialuppa di salvataggio… un meraviglioso, comodo vascello con cui fuggire. Cinquantamila ponti, per giocare e divertirsi! Cieli per accontentare ogni gusto… tramonti su ordinazione! Gravità calda e fredda a volontà in ogni cabina… favorevoli o contrari, scegliete quel che volete! La Stella dei Reietti. L'Arca di Satana!»
E adesso era la voce di una bambina molto cresciuta, che copriva la colpa con un velo di bravate e con immagini sporche scelte con deliberata ironia.
Lei continuò:
«Oh, che elegante Pianeta dei Dannati! Sopra abbiamo dipinto la nostra aria, per conservare l'intimità. Questo li ha sconvolti, nella catapecchia solare nella quale siamo entrati. Quegli squallidi conformisti pensavano che avessimo cose terribili da nascondere, dietro il nostro splendore bicromatico. Ebbene, è vero!»
«Il Pianeta Dipinto,» mormorò Paul, cercando di adeguarsi all'umore di lei… e usando almeno un'immagine, prima che lei la pronunciasse.
Lei rispose:
«Come il vostro Deserto, sì. E le vostre donne selvagge, no? Viola e giallo, come un'alba nel deserto. Abbiamo dipinto perfino le barche del Vagabondo, per conservare l'armonia… lance più grandi di transatlantici, scialuppe come questa. Oh, siamo i più alla moda, noi, i passeggeri dell'Arca di Satana, noi, l'orda diabolica, noi angeli impazziti!»
Gli sorrise, arricciando i baffi sottili, ma poi guardò di nuovo fuori, guardò le stelle e le due mezzelune, e la sua voce si fece più grave, anche se non del tutto.
«Il Vagabondo salpa per navigare nel vuoto autentico: l'iperspazio. Vuoi una strada impervia, un mare crudele, una tempesta che fa sembrare un uragano una brezza dolcissima, un fronte di novae, un ciclone siderale? Prova, prova l'iperspazio! Il vuoto completo, totale! Informe come il caos, ostile a ogni forma di vita. Nessuna luce, nessun atomo, nessuna energia che noi super-animali possiamo sfruttare… per ora! È come una distesa di sabbie mobili, nella quale tu devi scavare una galleria, o come un deserto mortale, privo d'acqua, che tu devi attraversare per raggiungere una stella, un'oasi con grandi palmizi. Uno strisciare, un ribollire nero, maligno, che è rispetto allo spazio quello che l'inconscio è rispetto alla mente cosciente. Vicoli nei quali la luce delle strade non giunge mai, contorti e senza sbocco, colmi di morte sporca… o acqua nera, fredda, oleosa, sotto banchine, acqua gonfiata da grandi ondate. Il Mar dei Sargassi delle Navi Stellari! Il Cimitero dei Pianeti Perduti! Oh, un mare affascinante per l'Arca di Satana, che dona ai suoi angeli nausea e incubi… il fiammeggiante, gelido, informe mare dell'Inferno!
«Tutto questo nostro universo, tendopoli dove le stelle sono tende… il cosmo che tu credi solido come una roccia, stabile come Dio… cavalca attraverso interminabili tempeste iperspaziali, proprio come un pezzetto di carta può cavalcare sulle ali di un tornado. E… il Vagabondo naviga solo nel pugno del vento che tiene il frammento di carta. Noi siamo naviganti timidi; stiamo sempre vicini alla costa.»
Paul guardò le stelle solitarie, disseminate qua e là nel cielo nero, e si domandò per quale motivo egli avesse sempre accettato così facilmente l'idea che esse rappresentassero l'ordine.
«La potenza di un miliardo di pile atomiche,» continuò Tigerishka, «È la scintilla che occorre per entrare nel vuoto… e per uscirne ci vuole energia infinitamente maggiore, e una perizia fantastica, sottile, e anche fortuna. Il Vagabondo mangia lune a colazione, e asteroidi per merenda! O meglio, essi sono mangiati dal vuoto nel quale il Vagabondo naviga, quel divoratore di neutrini… cibo gettato ai lupi dall'iperspazio, per pagare il nostro pedaggio.
«Non ci vuole tempo per viaggiare nell'iperspazio, se non alla partenza e all'arrivo,» continuò Tigerishka. «Ma, oh, lo spirito che ci vuole per guardare il vuoto, per aspettare il porto, l'attesa immensa che occorre per ritornare nel mondo!… come costeggiare una costa sconosciuta nella nebbia più fitta. Nell'iperspazio esistono i segni del nostro spazio… ombre di soli, fantasmi di pianeti e di lune, di polvere e di gas e di vuoto… ma sono ben più difficili da leggere che il radar in un cielo avvolto nella stagnola, sono più difficili da leggere che i geroglifici sconosciuti, consumati, resi irriconoscibili da fango e tempo e acqua, in una caverna antica quasi quanto il tempo.