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«Abbiamo concluso questo nostro ultimo viaggio ammaccati ed esausti, affamati di massa e di luce solare. Il nostro isolamento dal nudo iperspazio era disceso a zero; per poco non abbiamo perduto cielo e atmosfera; nessuno ha potuto avventurarsi sui nostri ponti più alti, a eccezione dei giganti inorganici che vi abitano… le menti di cristallo che sono come colline colorate.

«E poi abbiamo fatto due false uscite nel tuo sistema solare, e ciascuna ci ha fruttato poche leghe cubiche di combustibile, del quale non potevamo fare a meno, ma ogni volta dovevamo immergerci di nuovo, perché i segni non erano giusti e i vettori sbagliati, e i punti d'uscita non erano sufficientemente vicini al vostro sole, o a una luna, per appagare i nostri bisogni.»

Paul intervenne, automaticamente:

«Solo due false uscite? Ci sono state quattro foto di campi stellari distorti.»

«Quattro foto, ma solo due false uscite… una vicino a Plutone, l'altra vicino a Venere,» asserì lei, freddamente. «Non interrompermi, Paul. Finalmente riuscimmo a emergere vicino alla vostra Luna, e l'eclissi era un'ombra perfetta, per noi. Siamo emersi dal mare dell'iperspazio. Ma ormai eravamo quasi privi di energia. Se avessimo dovuto combattere, avremmo potuto a malapena annullare la gravità del Vagabondo, per manovrare.»

«Tigerishka!» protestò Paul. «Intendi dire che… che avreste potuto annullare il campo gravitazionale del Vagabondo, in modo che non provocasse terremoti e immense maree sulla Terra… e non l'avete fatto?»

«Io non sono il capitano del Vagabondo!» ringhiò lei. «Inoltre, dovevamo avere la gravità totale, aumentata da supporti locali… applicazioni di forza e campi di attrazione. E anche nei peggiori momenti di emergenza, dobbiamo sempre conservare del combustibile di riserva per combattere… questo è evidente, no?»

Paul disse:

«Ma… Tigerishka, in confronto al Vagabondo, le forze spaziali del mondo, e le sue armi atomiche, sono giocattoli per bambini. Com'è possibile combattere…»

«Paul, ti ho già detto una volta che avevamo paura.» Le iridi che parevano i petali di un fiore mandarono un bagliore violetto, quando lei distolse lo sguardo da Paul. «Il Vagabondo non è l'unico pianeta che viaggia nell'universo.»

CAPITOLO XXXV

Hunter indugiò, per lanciare un ultimo sguardo al pendio, prima di camminare sulla strada, verso la Corvette, e prendere posto al volante. Rama Joan e Margo erano accanto a lui. Tutti gli altri erano già a bordo: Ann e Wanda sulla Corvette, gli Hixon e Ida nella cabina del camion, gli altri cinque uomini assiepati nel retro del camion, insieme a Ray Hanks. La sistemazione non piaceva affatto a Hunter, ma non c'era nulla che sembrasse giusto, dopo la morte di Doc; tutto era freddo e duro e goffo e scomodo, come lui si sentiva dentro.

Non aveva voluto prendere il comando, aveva cercato di passare l'incarico a Doddsy, ma Hixon lo aveva guardato negli occhi, e aveva detto:

«Credo che Doc avrebbe scelto te,» e questo aveva risolto tutto.

Lui detestava l'idea di prendere decisioni definitive, come rifiutare il suggerimento di Hixon… usare la pistola a momentum per spostare alcuni macigni e bloccare la strada; aveva risposto al suggerimento indicando, semplicemente, la scala graduata della pistola; era rimasto appena un ottavo della carica, se la colonnina viola aveva il significato che essi credevano. Ed era ancora più odioso decidere la strada da seguire, Mulholland o Vandenberg Due, in quest'ultimo caso ripercorrendo tutta la strada fatta; aveva rimandato la scelta, a quando avrebbe raggiunto il bivio… e allora dovette subire le critiche di Margo, che aveva dato per scontato il fatto che essi avrebbero continuato la ricerca di Morton Opperly, soprattutto ora che avevano trovato il messaggio. Margo disse a Hunter che ogni dissenso sarebbe stato evitato, rendendo chiara e manifesta la sua decisione fin dall'inizio.

Erano state pronunciate pochissime parole sulla sorte di Doc, anche se questo era sintomatico dell'umore cupo e della tristezza di tutti. Hunter aveva chiesto sommessamente a Wojtowicz quali erano state le ultime parole di Doc, quelle parole che li avevano fatti ridere, e Wojtowicz aveva risposto: «Gli stavo solo chiedendo per l'ennesima volta di togliersi quel cappello, perché portava sfortuna, e lui mi ha risposto, 'Wojtowicz, quando sarai calvo come me, e non potrai più nasconderlo, capirai che si tratta di una sfortuna peggiore!'»

Bacchetto aveva sentito, e aveva detto, scuotendo tristemente il capo:

«Anch'io lo avevo messo in guardia da quel cappello,» e poi aveva aggiunto qualcosa, che era parso «Il peccato d'orgoglio.»

Wojtowicz aveva chiesto immediatamente a Bacchetto di ripetere quello che aveva detto, se ne aveva il coraggio, e Doddsy aveva cercato di smussare gli angoli, dicendo. «Sono certo che Charles Fulby si riferiva all'Hubris… quel genere di altissimo ottimismo che certi eroi greci possedevano, e che faceva ingelosire gli dei, che decidevano di distruggerli.»

Wojtowicz aveva risposto, con rabbia:

«Greci o non greci, non me ne importa niente… nessuno dirà una sola parola contro Doc, capito?»

E ora Hunter stava guardando lo stesso cappellaccio nero, che aveva portato con sé, floscio e ammaccato, fino a quel momento, e pensò a Doc, laggiù con i tre assassini, tutti la stessa carne per gli avvoltoi.

«Dio,» mormorò, amaramente. «Non gli lasciamo neppure un monumento piccolo, come quello che lui ha fatto per lo stupido cane di Doddsy!»

Pensò di issare il cappello su un bastone, da qualche parte, ma l'idea era di pessimo gusto, e sbagliata. Lisciò la tesa del cappellaccio nero e, quando il vento si fece più forte, lo lanciò verso il pendio. Per un momento, pensò che sarebbe caduto sull'orlo, e che questo sarebbe stato il massimo dell'inettitudine, per lui, ma poi il cappello veleggiò oltre il bordo, e sparì.

Rama Joan gli strinse forte il braccio, e quello di Margo, dall'altra parte. Il suo viso, e i capelli rossi, erano ancora anneriti dalla pioggia, i resti tagliati, sporchi, penzolanti dell'abito da sera erano come un costume da clochard.

«Dio sa bene che non è certo un monumento,» disse a bassa voce, raucamente. «Ma Doc mi ha avuto là, stanotte.»

Gli occhi di Hunter si velarono di lacrime. Disse, in tono soffocato:

«Vecchio fornicatore incallito!…»

Lontano, molto lontano, e molto debolmente, egli udì il ronzio di un motore. Apparentemente, esso veniva dalla direzione della statale.

«Ha sentito il rumore, signor Hunter?» chiamò il giovane McHeath, rannicchiato in fondo al camion, con il fucile pronto. Hunter ricordò che Doc aveva detto che 'quel branco di ragazzini ubriachi e assassini' li avrebbe seguiti.

I tre corsero verso la Corvette. Hunter si mise al volante, Margo dietro, e Rama Joan davanti, accanto ad Ann; ed egli pensò, Doc avrebbe camminato con calma. Oppure no? Almeno avrebbe detto qualcosa.

Avviò il motore, poi si voltò, sollevando la mano destra.

«Se appaiono delle macchine dietro di noi, sorpassami,» gridò a Hixon. «In questo modo, noi potremo usare la pistola. Se puntano delle armi, sparate! Bene, andiamo!» Non andava bene affatto, pensò, mettendo in moto. Ma dovremo accontentarci.

Richard Hillary conobbe Vera Carlisle nel momento in cui la ragazza era seduta nel fango, a Tewkesbury, e piangeva sommessamente.

Star seduti nel fango cominciava a essere la maniera giusta per conoscere la gente, rifletté Richard, e a dire la verità era certamente meglio che trovare gente distesa a faccia in giù nella fanghiglia.

Lei era rannicchiata, come un topolino, nella stradina laterale, e piangeva così sommessamente che egli avrebbe potuto superarla senza accorgersene, se la notte non fosse stata ancora così chiara, due ore dopo il tramonto. Lei portava soltanto una radiolina a transistor, che stringeva come se fosse stata un bambino.