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Quel fantastico castello sospeso sul più immane degli abissi era così simile a un luogo di sogno, così simile a ciò che veniva chiamato con leggerezza «l'occhio della mente», che Paul per un momento ebbe il dubbio di non trovarsi realmente là, fisicamente, ma di sognare, e nello stesso tempo sentì di essere sospeso nel cuore dell'infinito cosmo stellato; per una volta, immaginazione e realtà erano strettamente abbracciate.

Voltando le spalle alla grande finestra tiepida, con uno sforzo minore di un sospiro, egli guardò dall'alto la fantastica figura che si trovava accanto a lui, e che appariva più che mai una donna umana snella e graziosa, abbigliata per partecipare a un fantastico balletto felino. Le gambe erano allungate, le zampe anteriori… le mani… erano intrecciate sotto il mento, e così la testa era sollevata, ed egli vide il profilo del naso felino, la fronte alta e gli occhi che parevano nuove stelle. La coda si sollevava arcuata dietro di lei, e si contraeva, un lento ritmo alla luce delle stelle. Aveva l'aspetto di una giovane, snella sfinge nera.

«Tigerishka,» le disse, in tono sommesso. «C'era una volta una scimmia dai capelli lunghi, che visse affamata e morì giovane. Si chiamava Franz Schubert. Scrisse centinaia di canzoni scimmiesche… ballate di scimpanzé e lamenti di gorilla. Una di esse si adattava alle parole scritte da una scimmia dimenticata, che si chiamava Schmidt von Lubek. Ora mi sembra che quella canzone scimmiesca sia stata scritta per te, e per il tuo popolo. Per lo meno, prende il nome dal tuo pianeta… Der Wanderer… il Vagabondo. La canterò per te…»

Cominciò a intonare, «Ich komme von Gebirge her…»

«No,» disse, interrompendosi. «No, cercherò di tradurla nella mia lingua, e cambierò un poco alcune delle immagini, per renderle più appropriate, lasciando immutati i sentimenti e le parole chiave.»

Le parole e le frasi che desiderava gli vennero alla mente senza sforzo, e una nuova traduzione di quei versi dimenticati nacque nelle profondità dello spazio.

Udì un sommesso miagolio lamentoso, modulato superbamente, a più voci, e capì che Tigerishka stava prendendo l'accompagnamento del piano dalla sua mente, e lo riproduceva con la sua voce, un suono più triste e solitario di quello che il piano potesse ottenere.

Allora cominciò a cantare:

«Giungo qui, solitario, dalle stelle

La strada è incerta, piangono gli abissi

Non ho una mèta, è rara l'allegria

Ovunque io chiedo, 'Qual è la via?'

Lo spazio è oscuro, i soli sono freddi,

I fiori pallidi, e la vita è antica.

Le parole sono soltanto rumore…

In ogni luogo io sono uno straniero,

E tu dove sei, mondo tutto per me?

Sognato e cercato per tanto tempo, e mai conosciuto;

Il cosmo, verde come la speranza,

Colle di fiori audaci che salgono alle stelle;

Mondo dove i miei amici possano camminare,

I miei morti rivivere, non più bianchi come calce,

L'universo che parla le mie parole…

Dove sei?

Non ho una mèta, è rara l'allegria,

Ovunque io chiedo, 'Qual è la via?'

Il fantasma di una risposta viene dallo spazio:

'Là dove tu non sei… quello è il tuo posto'.»

Quando l'ultimo verso venne cantato, e Tigerishka ebbe sussurrato l'accompagnamento fino alla fine, lei sospirò, e disse, dolcemente:

«Siamo noi, è vero. Deve avere avuto un poco di gatto in lui, quella scimmia Schubert… e quella scimmia Schmidt, anche. Anche in te c'è un poco di gatto, Paul…»

Lui guardò per un momento la figura snella, incorniciata dalle stelle, che stava accanto a lui, e poi allungò una mano che anch'essa era incorniciata di stelle, e la posò sulla sua spalla. Non avvertì alcun irrigidimento, nessuna collera, sotto il pelo tiepido, asciutto, corto e morbido. Dopo un momento, benché non si trattasse di un'idea prestabilita… forse era quel pelo morbido a guidare le sue dita… cominciò a grattare dolcemente il margine curvo tra la spalla e il collo, esattamente come avrebbe potuto fare con Miao.

Per qualche tempo lei non si mosse, benché gli sembrasse che, sotto il pelo, i muscoli si rilassassero. Poi si udì un mormorio sommesso, come di fusa appena bisbligiate… ai limiti del suono… e Tigerishka protese la testa verso la mano di Paul, in modo che l'orecchio accarezzasse il polso dell'uomo. Spostò quelle carezze verso la nuca, e lei sollevò il capo, muovendolo da una parte e dall'altra mentre le fusa si facevano più profonde. Poi lei girò il corpo, un quarto di giro soltanto, e per un istante Paul pensò che volesse dirgli di smettere, ma scoprì rapidamente che lei voleva essere accarezzata anche sotto il mento. E poi sentì un dito di seta premergli la nuca, e scendere sofficemente lungo il suo corpo, e si accorse che era la punta della coda di Tigerishka che lo accarezzava.

«Tigerishka?» mormorò.

«Sì, Paul…» rispose lei, debolmente. Appoggiando i gomiti e le ginocchia alla calda trasparenza che lo sosteneva, Paul si avvicinò a lei, e le sue braccia si chiusero intorno alla schiena snella e soffice, mentre la punta della coda continuava ad accarezzarlo; e nello stesso tempo egli sentì le zampe soffici di Tigerishka posarsi sulla sua schiena, con in cima soltanto un fantasma di artigli. Sentì Miao miagolare lamentosamente. «È gelosa…» alitò Tigerishka, con l'ombra di una risata nella voce, quando appoggiò la guancia a quella di Paul, e lui sentì la lingua sottile e ruvida toccargli lievemente l'oreccchio, e scendere carezzevole lungo la nuca.

Fino a quel momento lui aveva fatto tutto molto gravemente, come se ogni gesto avesse fatto parte di un rituale, nel quale egli non doveva sbagliare, né doveva eccitarsi, ma ora si sentì sicuro, nel cedere a quella fantastica Venere in Pelliccia felina, e stretto a lei sentì l'eccitazione venire, e le immagini cominciarono a fluire nella sua mente, ed egli si lasciò andare completamente, senza però, stranamente, perdere il controllo. Perché le immagini venivano in uno strano ordine, come quando la sua mente era stata esplorata per la prima volta da Tigerishka, ma adesso venivano con sufficiente lentezza da permettergli di vederle tutte chiaramente, sempre, fino in fondo. Erano immagini di uomini, di donne e di animali. Erano immagini di amore erotico, di stupro e violenza, di tortura e di morte… ma si accorse che perfino le morti e le torture servivano solo a sottolineare l'intensità dei contatti, la squisita violazione di tutti i tabù del corpo, la completezza dell'unione; erano le decorazioni interne per le azioni di due corpi. Queste immagini si alternavano regolarmente con simboli che impregnavano la mente, simboli che parevano elaborati gioielli e smalti disegnati, o figure significative di un caleidoscopio ricco e colorato. Dopo molto tempo, i simboli cominciarono a dominare le immagini; cominciarono a pulsare come grandi tamburi, a rabbrividire e a risonare come immensi cembali; c'era la sensazione dell'universo intorno, dello sfrecciare verso di esso in tutte le direzioni, di espandersi fino a raggiungere la totalità, in una colossale serie di ondate che si accumulavano e diminuivano, ondate che si gonfiavano alzandosi verso le stelle, oltre le stelle, verso le tenebre di velluto.

Dopo molto tempo, egli discese lentamente, galleggiando sull'infinita dolcezza morbida di quel nero letto senza fondo, e apparvero di nuovo le stelle, e Tigerishka si sollevò un poco, sopra di lui, in modo che egli vide, molto debolmente, al chiarore delle stelle, il viola delle sue iridi che erano petali di fiori, e il verde bronzeo delle sue guance, e le sue labbra di fragola socchiuse, incuranti di mostrare i canini candidi e scintillanti; e allora lei cominciò a recitare:

«Povera scimmietta, stanotte stai ancora male.

Le parole acute, timorose ti hanno dato la febbre?