Выбрать главу

«Sì?» fu il commento di Hixon. «Vedo che hai finalmente accettato il mio consiglio, usando la pistola gravitazionale per bloccare la strada a quei pazzi.»

«Sì, infatti,» fu l'unica risposta che Hunter riuscì a pensare, e non la pronunciò in tono benevolo.

«E poi c'è la marea, come mi ha ricordato Doddsy,» continuò Hixon. «Lungo l'Autostrada Costiera, dovremmo preoccuparci anche di quella.»

«Se arriveremo prima del tramonto, non ci saranno pericoli. La bassa marea è alle cinque,» gli disse Hunter. «Cioè, se le maree seguono il vecchio schema anche adesso… come abbiamo visto ieri.»

«Già… 'se',» disse Hixon.

«In qualsiasì punto della costa, quando la raggiungeremo, dovremo affrontare la marea,» lo rimbeccò Hunter. Aveva i nervi tesi. «Andiamo, allora,» ordinò. «Da qui andrò io in testa.»

Sedette al volante, e si avviò lungo la Collinare. Dopo qualche tempo Margo disse, in tono rassicurante:

«Hixon ti sta seguendo.»

«E gli conviene, accidenti a lui!» sibilò Hunter.

Da quaranta ore il Vagabondo sollevava maree sempre più alte, non solo nella crosta e nei mari della Terra, ma anche nell'atmosfera… una marea quattro volte maggiore di quella quotidianamente causata dal calore dell'atmosfera, riscaldata dai raggi solari. E inoltre, i vulcani e l'evaporazione dalle regioni invase dal flusso di marea enormemente ingigantito avevano dato un contributo senza precedenti alla formazione di condizioni atmosferiche eccezionali. Vortici immani si stavano formando nell'aria perturbata. Cicloni, uragani e tempeste si stavano formando. Nei Caraibi, sulle Celebes, e nel mare della Cina, e in una dozzina di altri punti nevralgici, il vento si stava alzando, come mai si era alzato sulla Terra prima di quel giorno.

La Principe Carlo stava audacemente navigando, spinta dai motori atomici, a sud-est del porto di Caienna. Nera sagoma che si stagliava sullo sfondo di un selvaggio tramonto, il Capo d'Orange annunciava al grande transatlantico il passaggio della foce del fiume Oyapock, e l'avvicinarsi della foce del Rio delle Amazzoni. Il capitano Sithwise mandò nuovi messaggi ai quattro comandanti ribelli, implorandoli di fare rotta per l'Atlantico del Sud, lontano da qualsiasi costa. Il messaggio venne accolto con risate di scherno.

In una delle regioni non ancora turbate dai venti causati dal Vagabondo, Wolf Loner cercava nella grigia cortina di nuvole e nebbia la sagoma di Capo Ann, o almeno lo scintillio del faro nella Rada di Boston. Sapeva che ormai la fine del viaggio era vicina, ma aveva notato nelle acque gonfie galleggiare relitti e strani rifiuti, e non aveva calcolato di essere così vicino a Boston. Comunque, non c'era altro da fare, se non tenere spiegate le vele e navigare.

Barbara Katz prese il piccolo telescopio, e salì sul tetto della Rolls in panne per esplorare le basse cime della foresta di rizoforee che si stendeva su entrambi i lati della strada stretta e fangosa e coperta di ogni sorta di detriti lasciati dal riflusso. Era rimasto solo il chiarore soffuso del crepuscolo, a illuminare la scena, il sole era già tramontato, e quel chiarore si rifletteva sulle nubi che si muovevano rapidamente in una grande processione, spinte da un freddo vento di sud-est. Il tempo era cambiato totalmente, negli ultimi venti minuti.

Hester sporse il viso dal finestrino, e mormorò: «La smetta di picchiare lassù, signorina Barbara. Il signor K è esausto, e quel po' di energia che gli rimane non dev'essere disturbata.»

Helen era inginocchiata, e porgeva gli attrezzi a Benjy, disteso sotto la macchina; Benjy stava cercando di liberare l'interno della ruota sinistra da un groviglio di pesante filo metallico che l'auto aveva raccolto chissà come, e aveva continuato ad arrotolarsi intorno alla ruota, rotolo su rotolo, come un bizzarro gomitolo, e che egli aveva notato solo quando era stato troppo tardi.

Benjy strisciò fuori della sua scomoda posizione, e sedette a terra, accanto a Helen, e dopo avere respirato affannosamente, riposando per un momento, scosse il capo e disse:

«Temo di non riuscire a liberare la ruota. Non ho le cesoie adatte, e quel filo è troppo solido. Deve essersi avvolto per duecento volte.»

Secondo Barbara, intenta a esplorare intorno, dal tetto della macchina, e occupatissima a muoversi il meno possibile per non disturbare il vecchio KKK, il prodigio era che Benjy fosse riuscito a rimettere in moto la macchina, dopo che essa era stata sommersa dalla marea, e che per un'ora avessero potuto avanzare, scivolando, schizzando fango, faticando, in direzione nord, prima che si fosse presentato quel nuovo inconveniente.

Hester si sporse dal finestrino e disse, seccamente:

«Sarà meglio che ci riesci, Benjy. Questa è la regione più bassa che abbiamo incontrato fino a questo momento, e quegli alberelli nodosi non servono a niente, vedi?»

«Hes, non credo di farcela. Almeno, non in meno di due o tre ore.»

«Ehi!» chiamò Barbara, dall'alto, con voce eccitata. «In fondo alla strada… a meno di un miglio… sì, vedo… sporge dalle cime degli alberi, sì, è un triangolo bianco! Credo che siamo salvi!»

«Ma a cosa può servirci un triangolo bianco, bambina?» domandò Hester.

«Benjy,» chiamò Barbara. «Credi di riuscire a preparare una barella per il signor K… o a trasportarlo a braccia per un miglio?»

«Be',» rispose lui, «Credo che sia l'unica cosa che non ho ancora fatto.»

Bagong Bung era immerso fino al polpaccio nella fanghiglia del fondo, olezzante di pesce, e stava scavando freneticamente con un badile militare dal manico corto. Di quando in quando abbassava il badile, per frugare nel fango e prendere qualcosa ricoperto di fango e di piccole dimensioni, che poi infilava, senza esaminarlo, in una borsa di tela, e poi proseguiva.

Aveva le gambe ricoperte di vesciche prodotte dalle meduse, e la mano sinistra era gonfia, là dove una conchiglia l'aveva punto, ma non prestava alcuna attenzione a questi piccoli danni, pur dedicando qualche istante, a volte, per affondare rabbiosamente il badile nel corpo di qualche verme dall'aria sinistra, o allontanare un granchio verde che si avvicinava troppo.

Stava scavando quasi al centro di una losanga dagli angoli netti, lunga ventuno metri e larga sei, incorniciata a intermittenza da legno annerito e marcio, incrostato di conchiglie e di formazioni coralline. Forse non si trattava della Lobo de Oro, ma certamente aveva l'aspetto del relitto di qualche vascello antichissimo.

A quindici metri di distanza, Cobber-Hume era curvo su un asse di plancia preso dalla Machan Lumpur, e stava furiosamente manovrando una pompa da biclicletta. La pompa era collegata a una scialuppa di salvataggio di colore arancio vivo, che era stata gonfiata già per un quarto. Due piccoli cilindri arancione, gettati da parte, erano del gas che avrebbe dovuto gonfiare la scialuppa senza sforzo, ma che non lo aveva fatto.

Ad altri quindici metri di distanza la Machan Lumpur era distesa sul fianco, e mostrava il fondo arrugginito e drappeggiato d'alghe.

Il sole appena spuntato proiettava lunghe ombre grottesche dai due uomini e dalla piccola nave, sul fondo esposto dal riflusso del Golfo del Tonchino, e illuminava il Vagabondo che stava tramontando a occidente, mostrando la faccia di toro, che Bagong Bung chiamava besar sapi… «la grande vacca».

Nubi stracciate stavano andando a nord, a folle velocità, sospinte da un vento che gemeva intorno alla coricata Tigre del Fango. Una ventata improvvisa colse alla sprovvista Cobber-Hume, ed egli barcollò e scivolò sulla non troppo stabile piattaforma di pompaggio.

Bagong Bung si fermò, con i gomiti sulle ginocchia, e ansimò. Poi gridò «Lekas, lekas!» in tono di rimprovero, rivolgendosi a se stesso, e ricominciò a scavare. La lama urtò l'angolo mangiato dal mare di un oggetto di ferro battuto, che avrebbe potuto essere l'angolo di un forziere, e questo lo spinse a lavorare ancor più intensamente.