Barbara uscì del tutto. Il vento la colpì con forza, un vento che veniva da poppa, ma non era troppo violento, così lei chiuse il portello e avanzò verso Benjy.
Lui prese il caffè, dalla bottiglietta thermos che Barbara gli aveva portato, e la ringraziò con un cenno del capo.
Si guardò intorno. Il Vagabondo, che era svanito nuovamente tra le nubi, illuminò con i suoi ultimi raggi un deserto di acque scure e gonfie, che parevano profonde, molto profonde. E c'erano delle onde altissime, intorno.
«Credevo che il mare si fosse calmato,» gridò a Benjy, nel vento.
Lui indicò la prua.
«Ho trovato un materasso,» gridò. «E ho legato a esso il capo di una fune, e l'altro capo l'ho legato alla prua di questa barca, tendendolo forte. Tiene ferma la barca, in modo che sostenga meglio le onde e il vento.»
Barbara ricordava il nome di quell'espediente: un'ancora di mare.
«Dove pensi che siamo, Benjy?» gridò.
La risata del negro fu portata via dal vento.
«Non so se siamo nell'Atlantico, o nel Golfo, o chissà dove, signorina Barbara, ma siamo sempre a galla!»
Sally Harris e Jake Lesher si calarono dal tetto dell'attico. Malgrado l'attività fisica, tremavano violentemente di freddo. Al di là della balaustra, le onde stavano scendendo, a un ritmo quasi visibile.
Sally guardò nel soggiorno, alla luce del Vagabondo, che mostrava la faccia con le Fauci, quella che lei chiamava Rin-Tin-Tin.
«È un disastro,» annunciò a Jake. «I mobili sono capovolti. Il piano è a gambe all'aria. Il tappeto è bagnato, e tutte quelle tende nere inzuppate d'acqua danno al posto l'aspetto di un obitorio sconvolto da una tempesta. Avanti, cerchiamo un po' di legna o delle candele, o qualsiasi cosa che possa servire a fare del fuoco. Sto gelando.»
CAPITOLO IXL
Il Vagabondo indossò la sua maschera yin-yang per la nona volta. Da due giorni interi esso tormentava la Terra con fuoco e inondazioni e terremoti e ora con grandi tempeste. Bagong Bung lasciò cadere il badile, raccolse il sacco fangoso, e corse verso la scialuppa arancione, che gli stava passando davanti sorretta da un gradino d'acqua incoronato di spuma. Cobber-Hume lo afferrò per la spalla. I quattro capitani ribelli della Principe Carlo, terrorizzati dai venti di uragano che dilaniavano la notte plumbea da oriente, come diecimila aerei invisibili che ronzassero sopra di loro, e inorriditi dagli altissimi reggimenti onde che marciavano sotto il vento come granatieri neri, fecero virare il grande incrociatore atomico, per salvarsi, in una delle foci del Rio delle Amazzoni. Le onde ricominciarono ad abbattersi sull'Albatros, malgrado l'ancora di mare, ma Barbara Katz non volle discendere in cabina. Un vento gelido cominciò a soffiare a raffiche, spazzando la terrazza dell'attico del signor Hasseltine, increspando le pozzanghere d'acqua salmastra che erano rimaste, e Sally Harris e Jake Lesher si ritirarono nuovamente nel soggiorno fradicio. Nella luce del faro della Pazienza, Wolf Loner vide due cadaveri galleggiare sulle acque, tra i detriti e i rottami sempre più fitti.
Il camion e la Corvette degli studiosi dei dischi volanti, con i fari accesi, avanzarono cautamente lungo la strada di montagna fiancheggiata, a intervalli regolari da cartelli che indicavano la direzione di Vandenberg Due. Erano già due volte che i passeggeri del camion avevano dovuto scendere, per aprire un varco nelle frane di sassi e pietrisco, non abbastanza grandi da richiedere l'uso dell'ultima carica rimasta nella pistola a momentum. Da un attimo all'altro, praticamente, una nuova frana poteva apparire nel fascio luminoso dei fari della Corvette. Si udiva il monotono clangore delle catene delle ruote posteriori del camion.
La brezza di levante che veniva dalle montagne, dietro di loro, era tiepida… fortunatamente, per individui esausti dalla fatica ed esposti all'aria, tranne Hixon e Pop che erano al riparo della cabina del camion.
A parte quello dei motori e delle ruote, l'unico suono era un ruggito lontano, debole, ritmico e sibilante, che veniva da un punto davanti a loro.
Il Vagabondo era spuntato due ore dopo il tramonto, e ora galleggiava sulle montagne orientali, nel cielo grigio e limpido; e la sua calda luce di vino e d'oro creava l'illusione che esso fosse l'origine dell'amichevole brezza. Non era più perfettamente sferico, però, ma lievemente gibboso, come la luna due giorni dopo il plenilunio. Una stretta falce nera tagliava il bordo della metà purpurea dello yin-yang, mentre imitando i movimenti della luna che aveva distrutto, il pianeta si muoveva verso oriente, intorno alla Terra, o, piuttosto, intorno a un punto tra i due pianeti. Sciolto e disarmonico intorno all'equatore del pianeta, come una sciarpa fragile spruzzata di diamanti, l'anello di frammenti lunari scintillava e riluceva.
Ora la strada saliva dolcemente verso un'ampia sella naturale, i cui fianchi s'innalzavano in lisci pendii coperti di terriccio per culminare in piatte e basse creste rocciose. La Corvette raggiunse la sommità della sella, girò a destra, e si fermò, lanciando quattro rapidi colpi di clacson, e spegnendo le luci. Il camion si affiancò a essa, sulla sinistra, e fece lo stesso.
Quasi tutti i componenti del gruppo avevano avuto, in un momento della loro vita, l'esperienza di guardare dall'alto una distesa di nebbia, o un basso strato di nuvole, dalla cima di una montagna o da un aeroplano, vedendo le cime delle colline e dei monti sollevarsi tra le dense volute, e meravigliandosi per l'aspetto piatto e solido, e per l'estensione, dell'eterea pianura… un autentico oceano di nubi. Ora le stesse persone ebbero, per un momento, o due, o tre, l'illusione di assistere allo stesso spettacolo, nella luce del Vagabondo.
Questo illusorio oceano notturno di nubi cominciava a meno di cinquanta metri dal punto in cui si trovavano, e a non più di una dozzina di metri più in basso, e si stendeva fino all'orizzonte occidentale, seguendo da vicino, su entrambi i lati, i contorni delle colline. C'era soltanto un'isola, bassa e piatta, ma così grande da stendersi oltre il campo visivo, dietro le nere pendici delle alture, a nord. Su quest'isola brillavano e ammiccavano disordinatamente delle luci rosse e bianche, e la luce del Vagabondo rivelava due grappoli di edifici bassi, dalle pareti e dai tetti pallidi. E in quei primi momenti di visione si udì un remoto ronzìo, e una piccola coppia di luci, rosse e verdi, scese dal sud, un piccolo aeroplano che scendeva sull'isola. Uno stretto, di almeno quattrocento metri, separava l'isola dalla terraferma.
Poi l'illusione svanì e, uno per uno, gli studiosi dei dischi volanti capirono che non era un oceano di nubi quello che si stendeva fino all'orizzonte, ma l'oceano vero, l'oceano salato, non nebbia, vapore acqueo impalpabile, ma un mare di acqua solida, con le onde che si frangevano ritmicamente sulle pendici della collina, e sulla strada in discesa, cinquanta metri più avanti; che l'isola era Vandenberg Due; e che lo stretto copriva, tra le altre cose, l'Autostrada Costiera del Pacifico, dove descriveva una curva verso l'interno della base dell'Astronautica, la casa del Progetto Luna… di Morton Opperly e del maggiore Buford Humphreys, di Paul Hagbolt e Donald Merriam, benché gli ultimi due ora fossero altrove.
Al volante della Corvette, Hunter avvertì sulla spalla sinistra il contatto di dita che dapprima indugiarono leggere, ma poi strinsero con forza. Posò la mano destra sulla mano che gli stringeva la spalla, e voltò il capo, e guardò il volto di Margo… i capelli biondi appiattiti, le lunghe labbra, le guance affilate, gli occhi scuri… e lei sostenne il suo sguardo, con occhi inespressivi, indecifrabili.
Senza staccare la mano da quella di lei gridò, rivolgendosi al camion:
«Ci accamperemo qui, stanotte, vicino al mare. Quando la marea scenderà, entreremo a Vandenberg.»
Don Merriam guardò le pareti del pozzo, e sollevò lo sguardo verso il circolo di cielo che ruotava musicalmente in una tempesta rossa e nera, come se i colori fossero stati scelti per adattarsi al pelo della sua guida che era in piedi, in silenzio, sulla piattaforma accanto a lui.