Don Merriam aveva fornito a Paul Hagbolt un breve riassunto della sua esperienza nello spazio e a bordo del Vagabondo. Questo pareva confermare l'ambiente di gran parte di ciò che Tigerishka aveva detto a Paul, e il racconto fece rivivere in lui una piccola parte dei sentimenti che erano stati introdotti in lui dalla storia del pianeta fuggiasco, benché ancora Paul fosse ferito e scosso dall'improvviso, repentino mutamento dei sentimenti di Tigerishka. Ora Paul stava narrando a Don cosa era accaduto a lui e a Margo, nella notte dell'apparizione del Vagabondo… al simposio sui dischi volanti, e al cancello d'entrata di Vandenberg, e tra le onde sismiche… quando Tigerishka lo interruppe bruscamente.
«Smettete di chiacchierare, per favore! Ho qualche domanda per voi.»
Era in piedi, davanti al roseo pannello di comando circondato di fiori… dove era stata, presumibilmente, in silenzioso contatto con i suoi superiori. Paul e Don erano seduti sul roseo pavimento, attraverso il quale Miao compiva delle allegre, periodiche sortite di esplorazione dall'aiuola fiorita… evidentemente molto confusa o almeno stimolata dalla gravità terrestre simulata.
«Creature, siete state trattate bene qui, e durante i vostri contatti con il mio popolo? Donald Merriam?»
Don la fissò, pensando a quanto lei ricordava, se non fosse stato per il colore del pelo, la felinide che aveva visto catturare un verde uccello di topazio e berne il sangue, con l'aria di una ballerina che consumava uno spuntino dopo il teatro.
Disse:
«Dopo essere fuggito dalla luna… completamente grazie ai miei sforzi, per quello che so… sono stato raccolto da due delle vostre astronavi, scortato sul Vagabondo, tenuto in una stanza confortevole per due giorni, apparentemente, e poi condotto qui. Nessuno mi ha parlato molto. Credo che la mia mente sia stata penetrata e ispezionata. In una visione simile a un sogno, mi sono state mostrate molte cose. Questo è tutto.»
«Grazie. Ora tu, Paul Hagbolt, sei stato trattato bene?»
«Be'…» le sorrise, con aria interrogativa.
«Basta un semplice sì, o un no!» fece lei, seccamente.
«Allora… sì.»
«Grazie. Seconda domanda: Avete visto delle prove di soccorso alla gente della Terra, per salvarla dagli inconvenienti causati dalle maree?»
Paul disse:
«Ho visto le cose che mi hai mostrato su Los Angeles e San Francisco e Leningrado: incendi spenti dalla pioggia, maree respinte da un campo di repulsione di qualche tipo.»
Don disse:
«Credo di avere visto delle immagini televisive dello stesso genere in una immensa sala del Vagabondo, durante la mia visione di sogno.»
«Era una visione reale,» gli assicurò lei. «Domanda…»
«Tigerishka,» la interruppe Paul. «Tutto questo ha per caso a che fare con le due fotografie stellari che non combinano con le false uscite del Vagabondo dall'iperspazio? Avete paura che gli inseguitori vi raggiungano, e state preparando una difesa delle vostre azioni in questo sistema?»
Don lo guardò, sorpreso… Paul non gli aveva ancora detto nulla della storia di Tigerishka… ma lei disse, semplicemente:
«Smettila di chiacchierare, scimmia… voglio dire, creatura. Sì, è possibile. Ma… terza domanda: per quello che sapete, i vostri compagni hanno sofferto a causa del Vagabondo?»
Don disse, freddamente:
«I miei tre compagni, nella Base Lunare, sono morti quando la Luna si è spezzata.»
Lei annuì, seccamente, e disse:
«Uno di loro può essere sopravvissuto… stiamo controllando. Paul Hagbolt?»
Lui disse:
«Ne stavo parlando a Don proprio adesso, Tigerishka. Margo e quelli dei dischi volanti stavano bene, quando li ho visti per l'ultima volta… voglio dire che per lo meno erano vivi, benché minacciati dalla risacca di grandi onde sismiche, che tu hai provveduto a rendere più piccole. Ma questo è accaduto due giorni fa.»
«Sono ancora vivi,» gli assicurò Tigerishka. I suoi occhi violetti scintillarono, e le labbra si curvarono in un piccolo, ironico sorriso umanoide, e lei aggiunse, «Ho continuato a tenerli d'occhio… voi mortali non riuscite mai a capire quanto gli dei si preoccupino di voi: riuscite soltanto a vedere le inondazioni e i terremoti. In ogni modo, non chiederò a nessuno di voi di accettare semplicemente la mia parola. Vi mostrerò tutto! In piedi, per favore, entrambi. Vi manderò subito sulla Terra, perché possiate controllare con i vostri occhi.»
«Vuoi dire… con il Baba Yaga?» domandò Don, mentre entrambi obbedivano. «Come certamente sai, il Baba Yaga è legato a questo disco volante, ora, da un tubo spaziale, e mi è stata data l'idea che io… voglio dire, ora, noi, Paul e io… potremo usarlo per ritornare sulla Terra. Credo che il Baba Yaga possa farlo, se veniamo liberati ai margini dell'atmosfera, senza alcuna velocità orbitale da…»
«No, no, no,» lo interruppe Tigerishka. «Più tardi farete questo… tra un'ora o due, diciamo, e sopra il vostro campo di Vandenberg… che in questo momento si trova a sole cinquecento miglia sotto di noi, tra l'altro… ma ora vi manderò laggiù con un sistema molto veloce. Mettetevi di fronte al pannello di comando! State fianco a fianco!»
Don commentò, con un sorrisetto un po' cupo:
«Sembra che tu ci voglia fare una foto.»
Tigerishka disse:
«È esattamente quello che sto per fare.»
La luce solare, all'interno del disco volante, cominciò a scemare. Miao, come se avesse fiutato l'atmosfera eccitata, sbucò dall'aiuola fiorita, e venne a strofinarsi contro le loro gambe. Preso da un impulso improvviso, Paul prese in braccio la gattina.
Margo e Hunter si erano vestiti, e avevano piegato la coperta, e avevano cominciato a scendere il pendio, mano nella mano, uniti tra loro e con il cosmo, nei bagliori residui del loro amplesso, quando udirono una voce chiamarli debolmente:
«Margo! Margo!»
Sotto di loro, ai piedi del pendio, si trovava l'accampamento intorno alle due macchine. Nessuno si muoveva. La luce del Vagabondo scendeva a fiotti dalla faccia del serpente e dell'uovo, e mostrava soltanto delle figure oscure, avvolte nelle coperte e addormentate. La pozza di tenebre accanto al camion era diventata più piccola, poiché il Vagabondo era più alto nel cielo, eppure c'era ancora.