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— Lo volete? Venite a prendervelo! — Il tono di Dabis era volutamente provocatorio. — Sta galleggiando proprio lì, contro la parete ai piedi delle scale. Perché non vi fate una capatina giù e non riprendete le vostre ancore?

— Lo faremo presto — gridò la donna. — Possiamo anche non avere il vostro addestramento, ma ci siamo esercitati a lungo per un momento come questo. Non siamo a digiuno di tattica. Forse non riusciremo a farvi uscire allo scoperto o a impadronirci del mutante, ma voi siete intrappolati qua sotto. Abbiamo tagliato tutte le comunicazioni verso l'esterno e l'intero edificio è schermato. Neppure un elettrone può uscirne. Non potete parlare con nessuno all'esterno e nessuno vi aspetta per un po', quindi nessuno verrà a cercarvi. La tua ossessione per la riservatezza, Vandervort, lavora anche a nostro vantaggio. Noi non possiamo entrare e voi non potete uscire. Quindi dobbiamo trovare un altro modo per risolvere il nostro piccolo impasse.

— Stai tranquilla che lo risolveremo! — fu l'aspra risposta di Vandervort. — Voi tre andrete a fare compagnia al vostro amico sul pavimento.

— Non credo. Noi non faremo altro che starcene qui seduti tranquilli, mentre uno di noi andrà a cercare aiuto. Questo è il nostro vantaggio. Per coprire l'uscita basta una persona sola.

— Potrete portarvi qui un centinaio di rinforzi, ma non riuscirete mai a farli scendere da quelle scale! — Dabis stava guadagnandosi la paga.

— Non ce n'è bisogno. Il morfogas che avete usato per addormentare il mutante, si può facilmente introdurre in questa stanza. E tutti voi vi farete un sonnellino. — A questo, Dabis non ebbe una risposta pronta.

Ci provò Monconqui. — Abbiamo delle maschere, il gas non ci darà alcun fastidio.

— Forse le avete, e forse no. Vediamo di scoprirlo. Non abbiamo niente da perdere a provare. A meno che trattiate.

Intervenne il giovane. — Voi due con le armi… questo per voi è solo un lavoro. Perché rischiare di farsi ammazzare per quattro soldi?

— Perché è il nostro lavoro — replicò Dabis in tutta semplicità.

— Siamo pronti a raddoppiare o anche a triplicare la somma che vi dà la Vandervort.

— Spiacente — e Monconqui lo sembrava davvero, — ma se rompiamo un contratto, nessuno ci darà più lavoro. E inoltre, ci sono anche delle gratifiche che ci aspettano quando avremo consegnato le persone in questione alla loro destinazione.

— Un'etica ammirevole al servizio di una causa persa — dichiarò il secondo uomo.

— Forse possiamo fare un patto — si intromise Vandervort.

— Che genere di patto?

— Voi volete l'ingegnere genetico. Per noi invece è più importante il mutante.

Clarity fissò esterrefatta il suo capo e cominciò ad indietreggiare, fino a ritrovarsi con la schiena contro la parete. Vandervort fece un sorriso di scusa. — Mi spiace, mia cara, ma la situazione è grave. E a mali estremi, estremi rimedi.

La risposta di Clarity fu un sussurro inorridito. — Non avrei mai dovuto ascoltarti, avrei dovuto dare retta a Flinx. Non è lui quello pericoloso, qui. Tu sei diabolica e pericolosa.

— Dal momento che la pensi così, non mi sento più obbligata a farti le mie scuse. — Vandervort si voltò e parlò di nuovo a voce alta. — Che ne dite? Avete già distrutto l'installazione di Longtunnel. Io sono solo un amministratore, che sta per cambiare lavoro. Potete prendervi l'ingegnere.

Fu la bionda a rispondere. — Dobbiamo avere anche il mutante. Da come la vedo io, strategicamente noi siamo in vantaggio. Voi dovete attraversare la stanza per raggiungere le scale. Non vedo nessuna ragione di venire a patti con voi, per niente.

— Noi potremo anche non farcela, ma qualcuno di voi morirà — disse Dabis. — Sarebbe molto meglio se potessimo uscirne tutti senza altri morti.

Seguì un lungo silenzio, poi la bionda rispose. — Ci penseremo.

— Non pensateci troppo — l'ammonì Vandervort. — Potremmo decidere di andarcene senza il vostro permesso. — E pronunciate quelle parole, si lasciò ricadere dietro le casse, dimostrando di colpo tutti i suoi anni. Facendo attenzione al braccio ferito, si scostò i capelli dalla fronte e colse lo sguardo di Clarity che la fissava impietrita.

— Oh, non guardarmi così, mia cara — mormorò irritata, — è maleducato da parte tua e non ti si addice e oltretutto non mi fa nessun effetto.

— Sai — disse Clarity in tono neutro, — ho sempre voluto essere come te. Ti ammiravo per la facilità con cui riuscivi a conciliare scienza e affari. Eri una donna che ce l'aveva fatta e da sola.

— Certo, ho fatto tutto da sola. E intendo continuare così. Con te vicino, sarebbe stato più facile, ma anche se tu sei la migliore, riuscirò a rimpiazzarti, trovando un altro altrettanto bravo o quasi. È il nostro giovanotto ad essere insostituibile, non tu.

Il lago si agitò. All'improvviso, l'acqua non fu più così limpida e lui non galleggiava più immerso nella pace. Sentì, più che vedere, Pip e Scrap che fluttuavano accanto a lui e seppe che anche la loro serenità era stata disturbata.

Le forme continuavano a volteggiare sopra la superficie del lago, ma neppure esse erano più placide e sognanti: erano diventate demoniache e irate. Per la prima volta, percepì di non essere solo in quel lago. C'erano delle cose che si muovevano nelle profondità, molto al di sotto di lui, laggiù, dove l'acqua diventava fredda e oscura. C'era un'immensa cosa verde, senza forma, che cercava disperatamente di raggiungerlo, cercando di risvegliare la sua coscienza, come una pietra che trae scintille da un'altra roccia. Forme nel vuoto, familiari e al tempo stesso irriconoscibili.

Per quanto cercasse di concentrarsi, la cosa verde senza forma e quella sensazione strana scomparvero, mentre i visi demoniaci diventavano duri come il vetro. Gli sembrò di cominciare ad innalzarsi verso la superficie del lago, come se stesse acquisendo una sorta di galleggiamento mentale e non solo fisico. Ma anche così, quando attraversò la superficie, non era pronto.

Niente aveva senso. Quando fluttuava sott'acqua, il suo respiro era normale e rilassato. Ora che era tornato nell'atmosfera, si trovava a boccheggiare in cerca d'aria. Gli occhi sembravano schizzargli dalle orbite e i polmoni annaspavano. Accanto a lui, Pip e Scrap erano due ammassi di spire contorte.

Quando il contenitore era stato abbandonato, era andato alla deriva sulle sue ancore di levitazione, finendo contro la parete sotterranea. La scatola beige che conteneva i cilindri di morfogas e la valvola di flusso, avevano subito una leggera scossa. Il risultato era stata una frattura in uno dei tubi di raccordo. Monconqui avrebbe potuto notarlo in una delle sue ispezioni, ma purtroppo, quel gentiluomo era stato occupato con altre cose, per un po'.

L'aria della stanza entrava nel sarcofago, mentre il gas ne usciva. Molto lentamente, l'atmosfera nel contenitore stava tornando alla normalità e pur continuando ad essere sigillato, non era a prova di suono. Dall'interno si udivano le voci che discutevano e gli spari delle armi.

Ma con la lastra di copertura chiusa, l'interno continuava ad essere buio come le caverne di Longtunnel.

Flinx cercò di rimettere in moto il cervello. L'ultima cosa che ricordava era di trovarsi seduto sul letto della sua camera di albergo, a guardare il tridi, con Pip arrotolata su di una sedia lì accanto e Scrap che cercava di avvolgere la coda sul lampadario. E ora invece si trovava sdraiato in un qualche tipo di contenitore, con Pip e Scrap accanto a lui. Il suono ovattato delle grida e degli spari giungeva fino a lui. Le voci sembravano umane, quindi era probabile, anche se non sicurissimo, che all'esterno della sua prigione ci fosse aria respirabile.