Flinx fu colto di sorpresa. — Come? Portandomi a Horseye? — Guardò con diffidenza il pozzo nero.
— No. Forse possiamo mostrartene un po'. Noi non possiamo vederlo, ma possiamo aiutare te a vedere. Non sarà pericoloso… speriamo. — Fluff si era avvicinato e aveva posato una zampa sulla spalla di Flinx. — Dobbiamo sapere, Flinx-amico. Anche per noi è importante. Potrebbe essere abbastanza serio da fermare il gioco. Da fermare tutti i giochi.
Doveva davvero pensarci? Aveva davvero una scelta?
— Come farete a mostrarmelo? La minaccia è qua vicino?
— È molto, molto lontana. Possiamo solo indovinare dove si trova. Dovrai fidarti di noi. L'insegnate deve fidarsi degli allievi.
— Se è così lontano, come potete mostrarmelo?
— Nello stesso modo in cui siamo riusciti a trovarti qui. — Un grosso dito indicò il suo collo. Percependo le emozioni dirette verso di lei, Pip sollevò la testa incuriosita.
— Pip?
— Lei — Fluff lottò per esprimere un concetto difficile, — è un amplificatore per qualcosa che si trova dentro di te, nel profondo, dentro la tua mente. Qualcosa che non possiamo vedere. Qualunque sia la cosa che ti fa dire quello che provano gli altri e che forse un giorno ti farà fare altre cose. Noi possiamo aiutarti nello stesso modo, un poco. La tua piccola compagna è un amplificatore. Noi possiamo essere un preamplificatore. Uno molto, molto grosso. — Piegò la testa per guardare il soffitto.
— Il tuo corpo rimarrà qui, ma possiamo mandare la tua mente da un'altra parte.
— Da un'altra parte? Non potete essere un po' più precisi?
— Verso il pericolo, la minaccia. Per osservare e imparare. Noi non possiamo farlo, ma possiamo farlo con te. Perché tu sei diverso da noi. Perché tu sei diverso da chiunque altro.
Le proporzioni del piccolo problema degli Ujurriani stavano dilatandosi molto più in fretta di quanto lui riuscisse a tenergli dietro. — Perché non scavate una delle vostre gallerie in quella direzione?
— Perché è troppo lontano. Incommensurabilmente lontano.
— Se è così incommensurabilmente lontano, come può rappresentare una minaccia per noi?
— Si può muovere. In questo momento non sembra che si muova da questa parte, ma non ne siamo sicuri. Dobbiamo esserne sicuri. — Fluff guardò Flinx con occhi pieni di affetto. — Non ti vogliamo costringere, maestro.
— Oh, al diavolo, questo lo so. Ma che differenza fa? Solo, assicuratevi di non perdermi, dopo che mi avrete lanciato là fuori, dovunque sia il luogo in cui mi manderete. — Trasse un lungo sospiro. — Cosa devo fare?
— Sarebbe meglio se ti sdraiassi, Flinx-amico, in modo da non cadere e farti del male.
— Mi sembra sensato. Se devo impegnarmi in una qualche proiezione astrale Ujurriana, o quel che è, non vorrei mai uscirne con un polso slogato. — Come al solito, il suo sarcasmo andò perduto con i suoi amici pelosi, ma lo aiutò a mascherare un po' la paura che stava cominciando a nascere in lui.
Fece un passo in direzione del sarcofago, ma subito ci ripensò. Non sarebbe tornato in quella bara. In fondo alla stanza c'erano un paio di brande: scelse la più vicina e si sdraiò, dopo essersi assicurato che le spire di Pip non lo stringessero. Tenne le braccia lungo i fianchi, desiderando di non essere così rigido e a disagio come certo doveva apparire.
— Va bene. Cosa devo fare, ora? Mi prendete e mi gettate verso il soffitto? — fece una risata nervosa. Gli Ujurriani si sistemarono ai quattro capi del letto. Tra Fluff e Bluebright vide Clarity, che lo fissava ansiosa.
— Flinx, forse non dovresti farlo.
— Probabilmente hai ragione. Ma non sono mai stato capace di fare quello che era meglio per me. Sembra sempre che finisca col fare quello che è meglio per gli altri. — Chiuse gli occhi, chiedendosi che differenza faceva. — Procedi, Fluff, fate quello che dovete.
Non ci fu transizione, non ci fu un passaggio. Era di nuovo nel lago, con Pip accanto. Ma questa volta non stava galleggiando senza una meta. Era in grado di muoversi. Per prova, fece qualche cerchio nuotando, e Pip lo seguì. Il liquido trasparente non gli colò giù per le narici e i polmoni, soffocandolo.
Quando ebbe completato il quarto cerchio, il lago cominciò ad oscurarsi. Continuò a nuotare ed ebbe la sensazione di muoversi a grande velocità, anche se il suo corpo sembrava non muoversi per nulla. Le mani e i piedi si agitavano pigramente, mentre il cosmo gli sfrecciava accanto.
La trasparenza e la luce del sole cedettero il posto a strisce cremisi e porpora, come se ciò che lo circondava stesse subendo un incredibile effetto Doppler. Stelle e nebulose esplosero verso di lui, solo per svanire rapidamente sotto i suoi piedi. Un'illusione interessante, ma niente di più.
Era questo che si provava ad essere un quasar? pensò distratto.
Gli sarebbe piaciuto indugiare a studiare ogni stella ed ogni pianeta. Come scintille elettriche, immagini di potenti razze e civiltà immense gli sfiorarono per un istante la mente e poi scomparvero. Erano tutte nuove, sconosciute, aliene e insospettate. La sua mente le sfiorò ed esse si ritrassero, come un'onda che si infrange e si ritrae sulla riva del mare.
Al di là dell'ultimo pensiero sapiente e ancora più in là, null'altro che un concetto, una pecca nei precetti della fisica convenzionale. Non una particella, nient'altro che un ripensamento sfuggito alla prigione della mente.
Le stelle erano tutte scomparse, come pure l'ultima saggezza, e luì si trovò in una regione che non avrebbe dovuto esistere. Un luogo in cui il vuoto era macchiato solo da dimenticati refoli di idrogeno interstellare e dove l'occasionale cuore di una stella brillava come una candela in una bottiglia messa a mare in un oceano di nulla.
E qualcosa d'altro.
Troppo grande per essere vivo, eppure viveva. Una torbida ridefinizione della vita e della morte, del bene e del male.
La forza che lo spingeva avanti cercava di spingerlo nel mezzo della cosa, ma lui rallentò, ritraendosi, Aveva toccato intere civiltà, aveva compreso intere galassie, ma questa cosa era troppo vasta e troppo terribile perché la sua coscienza disincarnata potesse comprenderla. Ne intravvide le ombre e si ritrasse, ripiegandosi in se stesso, e corse, corse a ritroso lungo la strada che aveva percorso…
E mentre fuggiva, la cosa si accorse di lui. Lui cercò di accelerare, mentre l'universo gli scivolava accanto come una massa piatta di colori brillanti. Lenta ma immensa, la cosa si tese verso l'intruso… e lo mancò. Di un chilometro, di un anno luce, di un diametro galattico… Flinx non lo avrebbe mai saputo. L'unica cosa che importava era che l'aveva mancato e l'aveva lasciato intoccato, senza insozzarlo con ciò che era.
Fuggì indietro, in se stesso e all'ultimo istante sfrecciò accanto ad una mente grande ma confusa, più innocente persino degli Ujurriani, un esecutore di un potenziale ancor più grande. Era un verde in espansione, una pallida immagine congelata nel vetro, in cui lui vide riflesso se stesso e Clarity e tutta l'umanità. Una colla color smeraldo teneva tutto insieme. Poi scomparve.
E venne rimpiazzata da un'altra, tanto diversa da quella precedente come lo era lui da essa. Nuotava in un altra parte del lago. Quando gli passò accanto, toccandolo appena, Flinx percepì un grande senso di pace. Questa seconda sapienza era calda, amica, persino contrita. Era lì, e poi scomparve, nella stessa direzione del verde.
Il terzo tocco, e il più leggero di tutti, venne da una consapevolezza che lui finalmente riconobbe. Un richiamo solitario. Un grido che nessuno si sarebbe mai aspettato da un'intelligenza artificiale. Lontano, al di là dei confini del Commonwealth, nel Blight. Un'arma e uno strumento insieme, che attendeva il suo ritorno, per dirigerla, per dare uno scopo alla sua esistenza, anche se tutti i vecchi nemici erano scomparsi.