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— Non ho mai cambiato idea — rispose pacatamente sua madre. — E neppure mi è mai piaciuto tutto questo. Quand’ero ragazza, avevamo l’abitudine di credere che le nostre azioni potessero cambiare il mondo; forse non ho mai smesso di volerlo credere.

— Ma a Marcus non piacerà che ci mettiamo a tramare dietro la sua schiena. — Garda agitò il suo bastone. — E che mai potreste obiettare al fatto che, forse, è proprio vero che abbiamo bisogno di questa pubblicità?

Shannon si voltò a guardarla, irritato: — Pensavo che tu fossi dalla parte degli angeli, non l’avvocatessa del diavolo.

— Ma io sono dalla parte degli angeli! — Garda fece una smorfia. — Però…

— E allora che cosa c’è che non va nel fatto che la sonda cercherà di compiere un salvataggio all’ultimo minuto? Non sarà anche questa una notizia sensazionale?

Vide che sua madre sorrideva, per la prima volta dopo tanti mesi.

— Sensazionale… sempre che T’uupieh non ci abbandoni in mezzo alla palude, per il nostro tradimento.

Shannon replicò, in tono più calmo: — No, se T’uupieh desidera veramente il nostro aiuto. E io so che lo vuole… Lo sento. Ma in che modo potremo aggirare l’ostacolo del ritardo?

— Io sono l’ingegnere, ricordi? Mi servirà un tuo messaggio registrato, e un po’ di tempo per trafficarci sopra. — Sua madre gli indicò il terminal del computer. Shannon lo accese, e lasciò libero il seggiolino. Sua madre prese posto e cominciò a formare un programma sullo schermo, prelevando dati dalla memoria del computer. Sullo schermo si formò la scritta: TELECOMUNICAZIONI A COMANDO MANUALE. — Vediamo… — disse. — Mi servirà un controllo a retroazione sull’avvicinarsi del gruppo di Klovhiri.

Shannon si schiarì la gola: — Dicevi sul serio, prima che Reed entrasse?

Ella sollevò lo sguardo, e lui percepì la risposta inespressa che si formava sul volto di lei, che finì per sfumare in un nuovo sorriso: — Garda… questo è mio figlio il Linguista, no?

— E quando mai ti è capitata fra le mani quella canzone di Pete Seeger?

— Ma ti sei mai chiesta perché ho anche un figlio musicista? — A sua volta Shannon fu spinto a sorridere. — Ho ascoltato qualche disco, ai miei tempi — proseguì sua madre, e il suo sorriso sembrò rivolgersi, assorto, a qualche ricordo interiore, mentre continuava a fissarlo: — Credo di non averti mai detto di essermi innamorata di tuo padre perché mi ricordava Elton John.

T’uupieh restò silenziosa, fissando l’occhio impassibile del demone. Il nuovo giorno stava trasformando le nuvole da cumuli bronzei in un fiammeggiare dorato; il bagliore filtrava tra le fronde scintillanti degli alberi nodosi, riflettendosi sulle verdi, lucide superfici dei dirupi e dei pendii, e infine sulla superficie brunita del carapace del demone. Lei rosicchiò le ultime sfilacciature di carne da un osso, costringendosi a nutrirsi, appena cosciente di ciò che stava facendo. Aveva già inviato degli osservatori in direzione della città, per tener d’occhio Chwiul… e il gruppo di Klovhiri. Dietro di lei il resto della banda si stava adesso preparando, provando le armi e i riflessi, oppure riempiendosi la pancia.

E il demone non le aveva ancora parlato. C’erano state altre occasioni in cui aveva scelto di non parlare per molte interminabili ore; ma dopo le sue folli farneticazioni della notte prima, lei era ossessionata dal pensiero che potesse non parlarle mai più. La sua preoccupazione crebbe, accendendo la miccia della sua collera, che quel mattino era già fin troppa. Al punto che, in un accesso di rabbia, avanzò e sconsideratamente colpì la sonda con la mano aperta: — Parlami, mala’ingga!

Ma quando la sua mano toccò la superficie, un dolore, come una fiammata incandescente, le attraversò fulmineo i muscoli del braccio. Ella balzò indietro con un’esclamazione di sorpresa, scrollando la mano. Mai prima di allora il demone aveva reagito contro di lei, mai le aveva fatto del male in alcun modo. Ma lei, non aveva mai osato colpirlo prima di allora, lo aveva sempre trattato con calcolato rispetto. Sciocca! Ella si guardò la mano, temendo di vederla malamente ustionata, il che avrebbe costituito una grave menomazione per l’attacco di oggi. Ma la pelle era perfettamente liscia e senza vesciche, e soltanto un’intensa sensazione di bruciore testimoniava della scossa ricevuta.

— T’uupieh, stai bene?

Si girò e vide Y’lirr, che le era giunto silenziosamente alle spalle, fra il serio e lo spaventato. — Sì — lei annuì, frenando una risposta più tagliente alla vista della sua preoccupazione. — Non è stato nulla. — Egli le aveva portato il suo arco doppio e la faretra, lei si protese ad afferrarli proprio con la mano che le faceva male, con gesto disinvolto, e se li infilò a tracolla. — Vieni, Y’lirr, noi dobbiamo…

— T’uupieh. — La voce arcana del demone la chiamò all’improvviso. — T’uupieh, se credi nel mio potere di cambiare il destino a volontà, allora devi tornare indietro e ascoltarmi.

Ella si voltò; sentì Y’lirr esitare alle sue spalle. — Sì, io credo in tutti i tuoi poteri, mio demone! — Si sfregò la mano colpita.

Le profondità ambrate dell’occhio assorbirono la sua espressione, lessero la sua sincerità; o per lo meno, lei lo sperò. — T’uupieh, so che non sono riuscito a convincerti. Ma voglio che tu… — le sue parole si fecero inintellegibili, — … in me. Voglio che tu sappia il mio nome. T’uupieh, il mio nome è…

Ella udì Y’lirr che, dietro di lei, lanciava un grido di orrore. Girò la testa, vide che si copriva gli orecchi; poi si voltò nuovamente a fissare il demone, paralizzata dall’incredulità.

— … Shang’ang.

Questa parola la sferzò quanto il fuoco del demone, ma questa volta fu colpita soltanto la sua mente. T’uupieh urlò, protestando disperatamente, ma il nome era già penetrato nella sua coscienza. Troppo tardi!

Passò un lungo attimo, poi ella respirò profondamente e scosse la testa. L’incredulità l’inchiodava ancora alla sua immobilità, mentre lasciava che i suoi occhi scrutassero l’accampamento che andava illuminandosi e ascoltava i suoni della foresta che si risvegliava, respirando l’acidulo aroma dei germogli di primavera. Poi, scoppiò a ridere. Aveva udito un demone pronunciare il proprio nome, e lei viveva ancora! E non era né cieca, né sorda, né pazza. Il demone aveva scelto lei, si era unito a lei, si era finalmente arreso a lei!

Stordita dall’improvvisa esultanza, non si rese conto, sulle prime, che il demone aveva continuato a parlarle. Ma subito interruppe la canzone trionfale che s’innalzava dentro di lei, e ascoltò:

— … Quindi ti ordino di condurmi con te quando partirai quest’oggi. Devo vedere ciò che accade a Klovhiri e ai suoi.

— Sì! Sì, mio… Shang’ang. Sarà fatto come tu desideri. Il tuo capriccio è il mio desiderio. — Ella si girò e cominciò a scendere il pendio, ma si arrestò là dove Y’lirr si era gettato a terra quando il demone aveva pronunciato il proprio nome. — Y’lirr? — Ella lo spinse col piede. Provò sollievo quando vide che alzava la testa; vide la propria incredulità riflessa sul volto di lui, quand’egli la fissò.

— Mia signora… non ti ha…

— No, Y’lirr — lei gli rispose in un sussurro. Poi aggiunse, in tono più brusco: — Naturalmente non l’ha fatto! Adesso io sono veramente la Consorte del Demone, nessun ostacolo potrà più fermarmi. — Lo urtò nuovamente col piede, con più forza. — Alzati. Che cosa mai ho qui con me, un branco di codardi piagnucolanti pronti a rovinare il mattino del mio trionfo?

Y’lirr si tirò su in piedi, ripulendosi. — Questo mai, T’uupieh! Siamo pronti a qualunque tuo ordine! Pronti a eseguire la tua vendetta. — La sua mano si strinse intorno all’elsa del pugnale.