E poi, stanotte… — Stai per uccidere tua sorella, T’uupieh — le aveva detto, — e due bambini innocenti. Che cosa provi, dentro di te? — Ella aveva risposto subito, in tutta sincerità: — Che il nuovo giorno non sorgerà mai abbastanza presto per me! Ho aspettato tanto a lungo, troppo a lungo, per vendicarmi di Klovhiri! Mia sorella e i suoi mocciosi partecipano della sua sozzura: meglio trucidati, prima che possano moltiplicarsi! Istintivamente, aveva estratto il pugnale, conficcandolo nella poltiglia muschiosa, con l’identico ardore con cui l’avrebbe cacciato dentro i loro cuori.
Il demone aveva taciuto a lungo, come sempre faceva (la tradizione affermava che i demoni erano immortali, e perciò lei aveva sempre supposto che non avessero alcun motivo di darle rapide risposte, anche se, a volte, avrebbe desiderato che questo mostrasse un po’ di considerazione per la sua vita breve… Poi, alla fine, il demone aveva replicato, con la sua voce piena di strane risonanze: — Ma i bambini non hanno fatto del male a nessuno. E Ahtseet è la tua sola sorella, lei e i bambini sono i tuoi consanguinei. Ella ha condiviso la tua vita. Hai detto che una volta tu… — Il demone fece una pausa, cercando nel suo limitato magazzino di parole: — … Tu la adoravi, proprio per questo. Ciò che un tempo lei significava per te, non conta più nulla, adesso? Non rimane alcun amore in te che possa arrestare la tua mano, mentre la levi su di lei?
— Amore! — aveva esclamato lei, incredula. — Che razza di discorsi sono mai questi, o Senz’anima? Ti fai gioco di me… — Una rabbia improvvisa le aveva fatto digrignare i denti. — L’amore è un giocattolo, mio demone, e io mi sono lasciata alle spalle, da tempo, i giocattoli. E anche Ahtseet… ella non è più una mia consanguinea. Traditrice! — Le parole erano sibilate come le braci morenti del falò del campo; si era allontanata disgustata dal demone, per riattizzare, sotto lo strato isolante di polvere sulfurea, il falò, aggiungendovi qualche ramo inzuppato. Y’lirr, il suo secondo in comando, le aveva sorriso dal punto in cui era disteso, avvolto nel suo mantello, invitandola a dormire. Ma lei l’aveva ignorato, ed era tornata alla sua veglia sulla collina.
Anche se quella notte era fredda al punto da rivestire di cristalli i rami degli alberi di safilil, l’equinozio era passato da tempo, e ora la nebbiolina sottile, lo spolverio di pioggia di polimeri, faceva presagire i giorni dorati dell’estate in arrivo. T’uupieh, avvoltasi più strettamente nel mantello, aveva tirato su il cappuccio, per impedire che la nebbiolina vischiosa le si attaccasse alle ali e le insudiciasse le membrane auricolari; la precedente estate, la sua prima estate, le ritornò, come sempre, alla memoria.
…Ahtseet era una piccolina goffa, le minuscole ali sbattacchianti, quando quella prime estate era cominciata, e T’uupieh, la bambina più grandicella, aveva pensato che quella sua nuova sorella era stupida e inutile. Ma l’estate aveva lentamente traformato il mondo, e riempito i suoi occhi di miracoli; e anche la sua piccola sorella si era trasformata in un’allegra compagna di giochi, ubbidiente e fedele seguace in ogni avventura. Insieme avevano imparato a servirsi delle proprie ali, e a servirsi delle calde correnti ascendenti per esplorare i confini e le vaste estensioni del loro dominio.
E adesso, mentre la primavera nuovamente andava trasformandosi nell’estate, T’uupieh si aggrappava ferocemente a quella visione, non volendo perderla, o per ricordare che quella dolce, irragionevole estate della sua giovinezza non sarebbe mai più ritornata, anche se le stagioni ritornavano, poiché la Ruota della Vita, girando, non ripassava mai su se stessa. Nessun ritorno, dunque… Lei era diventata adulta alla fine dell’estate, e non si sarebbe mai più levata in volo libera e leggera sulle sue giovani ali. E Ahtseet, la piccola Ahtseet, sempre dietro di lei come un’ombra… No! Non avrebbe provato rincrescimento! Sarebbe stata lieta di…
— Hai mai pensato, T’uupieh — aveva detto il demone all’improvviso, — che è sbagliato uccidere qualcuno? Tu non vuoi morire… nessuno vuol morire troppo presto. Perché mai dovrebbe? Ti sei mai chiesta come sarebbe il mondo se potessi cambiarlo in modo che tu… che tu trattassi tutti gli altri allo stesso modo in cui vorresti che gli altri trattassero te, e gli altri la pensassero allo stesso modo? Se tutti potessero vivere, e lasciar vivere… — La sua voce era scivolata in una confusione di suoni acuti che lei non era più riuscita a seguire.
Ella aveva aspettato, ma il demone non aveva detto altro, come per invitarla a riflettere su ciò che aveva appena udito. Ma non c’era bisogno di pensare a ciò che era ovvio: — Soltanto i morti «vivono e lasciano vivere». Io tratto tutti come mi aspetto che essi trattino me, altrimenti finirei per raggiungere fin troppo presto quei morti così pacifici! La morte è una parte della vita. Noi moriamo quando il fato lo vuole, e quando il fato lo vuole, noi uccidiamo.
— Tu sei immortale, tu hai il potere di distorcere la Ruota, di deviare il destino, se lo vuoi. Puoi anche giocare con oziose fantasie, perfino farle diventare reali, e non soffrirne mai le conseguenze. Noi non abbiamo posto per simili cose nella nostra breve vita. Non importa quanto io tenti di amarti, alla fine morirò come tutti gli altri. Noi non possiamo cambiare nulla, la nostra vita è preordinata. Così è fra i mortali. — Ed ella era ripiombata nel silenzio, piena d’inquietudine a causa delle strane divagazioni della mente del demone. Ma lei non doveva permettere che ciò intaccasse il suo sangue freddo. Ben presto sarebbe spuntato il giorno, non doveva essere nervosa; doveva avere il completo controllo di se stessa, quando avrebbe guidato l’attacco contro Klovhiri. Nessun’altra emozione doveva interferire… non importava quanto ardesse dal desiderio di sentire il sangue bluastro di Klovhiri schizzare sulle sue mani, e quello di sua sorella, e quello dei suoi figli… I mocciosi di Ahtseet non avrebbero mai sentito il vento caldo sollevarli nel cielo, né si sarebbero tuffati, come lei aveva fatto, nelle profondità dai colori dell’arcobaleno, né avrebbero visto le torri spuntare alte e sottili fra gli alberi. Mai! Mai!
E all’improvviso aveva trattenuto il respiro, quando un fiammeggiante ruotaspillo era schizzato fuori dall’intricata cortina dei cespugli, dietro di lei, ruzzolando oltre la sua testa nella radura dell’accampamento. Lei l’aveva visto girare intorno al fuoco, sputacchiando scintille, sibilando furioso nell’aria tranquilla, tre volte e mezzo prima di proseguire la sua rapida corsa nei buio. Nessuno dei dormienti si era svegliato e soltanto un paio si erano mossi. Ella afferrò una delle gambe dure e angolose del demone, scossa nell’intimo, poiché sapeva che quel girare in cerchio intorno al fuoco aveva il significato d’un presagio… che però le era oscuro. Il bruciante silenzio che esso si era lasciato alle spalle l’opprimeva; lei continuò incessantemente ad agitarsi, allungando le ali.
E, completamente impassibile, il demone aveva cominciato a ronzare ancora una volta i suoi strani e cupi pensieri: — Non tutto ciò che hai sentito sui demoni è vero. Noi possiamo soffrire… — sembrò cercare le parole, — … le conseguenze delle nostre azioni. Fra noi lottiamo e moriamo. Siamo cattivi e brutali, e spietati. Ma non ci piace essere così. Noi vogliamo cambiarci in qualcosa di meglio, di più misericordioso, di più pronto a perdonare. Sbagliamo più spesso di quanto facciamo le cose giuste… ma crediamo di poter cambiare. E tu sei più simile a noi di quanto ti renda conto. Tu puoi tracciare una linea fra… fra la lealtà e il tradimento, fra il giusto e lo sbagliato, fra il bene e il male; puoi scegliere di non varcare mai quella linea…