— D’accordo, è finita. Mi arrendo. Non ha voluto neppure ascoltare. Chiama Reed e digli che abbandono.
— Che abbandoni ogni tentativo di convincere T’uupieh? — chiese Garda. — Ne sei sicuro? Potrebbe ancora tornare sulle sue decisioni. Metti più enfasi sulle… sull’aspetto spirituale. Dobbiamo esser certi di aver fatto tutto quello che potevamo per… per farle cambiare idea.
Per salvare la sua anima, pensò lui, acido. Garda aveva ricevuto la sua prima istruzione in un istituto dedito alla lettura della Bibbia; durante le ultime ore, egli aveva scoperto in lei il desiderio ancora vivo, anche se inconscio, di far proseliti. Ma quale anima? — Stiamo sprecando il nostro tempo. Sono ormai sei ore che non mi rivolge più la parola. E non ha alcuna intenzione di tornare a farlo… Di’ pure a Reed che intendo abbandonare tutto. Non voglio esser qui per la scena madre, ne ho avuto abbastanza.
— Tu non parli sul serio — ribatté Garda. — Sei stanco. Hai anche tu bisogno di riposo. Quando T’uupieh si sveglierà, potrai parlarle di nuovo.
Egli scosse la testa, ricacciando indietro i capelli. — Dimenticatene. Chiama Reed e basta. — Guardò fuori dalla finestra, all’alba brumosa contro la quale cominciavano a stagliarsi i profili dei condomini balneari.
Garda scrollò le spalle, delusa, e si voltò verso il telefono.
Shannon studiò le senso-piastre del sintetizzatore, ancora avvolte dalla fosforescenza e in attesa, le quali invitavano, mute, le sue mani stanche e appesantite a tentare ancora una volta… E pensò che se avesse fatto quell’ultimo appello, non sarebbe più stato costretto, almeno, a farlo davanti agli occhi e agli orecchi di un mondo in attesa: era assai difficile che vi fossero dei cronisti talmente dediti al proprio mestiere da trovarsi ancora, a quell’ora, nella sala-osservatorio dalla parete di vetro. La sera prima, sul presto, le loro domande erano state interminabili, e avevano scavato impietose nei suoi sentimenti, nelle sue motivazioni, nei suoi progetti, interrogandolo sulla moralità di «Robin Hood», o meglio sulla mancanza di essa… e anche sulla sua moralità, e frugando fra cento altre cose che erano soltanto affari suoi, di lui, Shannon.
Un tempo, anche il mondo della musica aveva tentato di fare lo stesso con lui, ma allora c’erano stati dei paraurti, agenti, addetti alla pubblicità, a proteggerlo. Ora, invece, quando c’era tanto di più in gioco, lui non aveva goduto di nessuna protezione, anzi, Reed, al microfono, aveva ricacciato con la sua eloquenza l’intera stanza e il resto della gente sullo sfondo, esibendo Shann il Terrestre come attrattiva principale, un prodigio (o un mostro?), fino a quando lui aveva cominciato a sentirsi come un uomo spalmato di miele e sepolto in un formicaio. I cronisti guardavano dall’alto delle loro torri d’avorio, criticando le risposte di T’uupieh e le sue, e riempivano gli spazi di tempo fra una domanda e l’altra, quando lui avrebbe avuto più necessità di riflettere, con interruzioni che lo facevano infuriare. Il successo di Reed nello spremere ogni goccia di pathos e d’interesse «umano» dalla sua lotta per impedire la vendetta di T’uupieh contro degli innocenti era stato totale… e proprio in tal modo era riuscito a farlo fallire.
No. Egli si rizzò a sedere, cercando di alleviare la pressione sulla schiena. Non poteva farne colpa a Reed. Quando finalmente ciò che lui rispondeva era diventato realmente importante, i cronisti avevano smesso di ascoltarlo. Il fallimento era suo, soltanto suo: la sua abilità non era bastata, il suo messaggio non era stato abbastanza convincente, lui, soltanto lui non era stato capace di vedere con sufficiente chiarezza attraverso gli occhi di T’uupieh, cosicché lei vedesse attraverso i suoi. Egli aveva avuto questa possibilità di comunicare veramente, per una volta nella sua vita: di comunicare qualcosa d’importante. E aveva fatto fiasco.
Una mano gli comparve davanti e appoggiò una tazza di caffè fumante sulla mensola sotto il terminal. — C’è una cosa buona in questo computer — mormorò una voce. — È programmato per una buona tazza di caffè.
Egli scoppiò a ridere, stupito per questo suo atto istintivo; alzò gli occhi. Il volto di sua madre era stanco e tirato, e lei reggeva un’altra tazza di caffè in mano. — Grazie. — Egli prese la propria tazza e ne inghiottì un sorso, sentì il liquido caldo che gli scivolava nello stomaco vuoto. Senza sollevare un’altra volta gli occhi, disse: — Be’, hai avuto quello che volevi. E così anche Reed. Ha avuto tutte le emozioni che voleva, e anche i suoi assassinili.
Lei scosse la testa: — Non è questo che volevo. Non voglio vederti rinunciare a tutto quello che hai fatto qui, soltanto perché non ti piace il modo in cui Reed se ne serve. Non vale la pena che tu rinunci per questo. Il tuo lavoro significa troppo per questo progetto… e significa troppo per te.
Egli tornò ad alzare lo sguardo.
— Ja — s’intromise Garda. — Tua madre ha ragione, Shannon. Non puoi andartene adesso; abbiamo troppo bisogno di te. E anche T’uupieh ha bisogno di te.
Egli rise di nuovo, senza volerlo: — Come uno jo-jo di cemento. Che cosa stai cercando di fare, Garda… di usare il mio moralizzare contro di me?
— Ti sta dicendo ciò che anche un cieco potrebbe vedere stanotte… se non l’avesse visto già molti mesi fa… — La voce di sua madre suonava stranamente remota. — Che questo progetto, cioè, non avrebbe ottenuto i suoi incredibili risultati senza di te. E che avevi ragione, circa il sintetizzatore. E che perderti adesso potrebbe…
S’interruppe, voltandosi a guardare Reed che stava entrando dalla porta in fondo. Una volta tanto era solo, e niente affatto inappuntabile. Shannon intuì che doveva essere addormentato quando gli era giunta la telefonata, e si sentì irrazionalmete contento per averlo svegliato in quel modo.
Reed non era altrettanto contento. Shannon osservò la sua fronte corrugata, che poteva essere o no un segno di preoccupazione, o di dispiacere, o di entrambi, mentre egli attraversava la stanza echeggiante, diretto verso di loro. — Che cosa intendi dire, con questa dichiarazione che vuoi andartene? Soltanto perché non riesci a far cambiare idea a una mente aliena? — Infilò la testa nel cubicolo e scrutò il terminal per assicurarsi che tutti i microfoni collegati con l’esterno della stanza fossero spenti, immaginò Shannon. — Sapevi che era una cosa azzardata, probabilmente senza speranza… Devi accettare il fatto che lei non vuole cambiare, devi renderti conto che i valori di una cultura aliena possono essere diversi dai nostri…
Shannon tornò a lasciarsi andare contro lo schienale, un muscolo all’interno del suo gomito aveva preso a contrarsi per la fatica. — Questo posso accettarlo. Ciò che non posso accettare è che tu voglia trasformarci in un branco di dannati mezzani. Cristo! E non hai neppure un briciolo di giustificazione! Io non sono venuto qui per comporre la colonna sonora di un film di omicidi. Se hai intenzione d’insistere e di dare in pasto al mondo questo massacro, io ne esco fuori. Non ho alcuna intenzione di rinunciare, ma non voglio restare per un carnevale di porno-uccisioni!
Le rughe di Reed si fecero più profonde, ed egli volse lo sguardo altrove. — Be’, e gli altri? Anche voi, nel vostro intimo, mi tacciate di complicità in questi assassinii? Carly?
— No, Marcus… non esattamente. — Ella scosse la testa. — Ma tutti noi sentiamo che non dovremmo screditare la nostra ricerca facendo di essa uno spettacolo pubblico. Dopotutto la gente di Titano ha diritto alla sua privacy e al rispetto come qualunque altra cultura sulla Terra.
— Ja, Marcus… credo che siamo tutti d’accordo su questo.
— E quant’è, secondo voi, la privacy di cui oggigiorno chiunque può disporre sulla Terra? Buon Dio, ricordate il Tasaday? Ed è stato trent’anni fa. Non rimane una singola cima montana o un’isola deserta che l’occhio onnipresente delle telecamere non abbia trasmesso in tutto il mondo. E come chiamereste le leggi sulla prevenzione dei crimini? La nostra vita è tutta una serie di buchi di serratura dove in qualunque momento un occhio vi può guardare.