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Cosi, seduto nella piacevole frescura del salone del Volojet Club, Conrad sorseggiò il suo drink tranquillamente e senza curarsi di dare il minimo contributo alla conversazione che languiva attorno a lui.

— Guardiamola a questo modo — disse malinconicamente Albert, un pilota inglese la cui faccia era in sintonia con la voce. — Occorrono circa 10.000 unità di credito per sollevare un velivolo di 40 tonnellate fino all’altezza del satellite e fargli girare sei volte il percorso di gara. Per noi questa è una spesa abituale. D’altra parte, un intellettualoide che buttasse via tutti i suoi giorni di riposo in una biblioteca a scartabellare microfilm non spenderebbe 1.000 unità di credito in un anno intero. Anzi, potrebbe dimostrare che per lui quest’attività si risolve in un guadagno. Il Ministero dell’Economia non viene a dirci che il tempo libero deve risolversi in un guadagno. Però dice che le gare di volojet costano più unità di credito di quante molti piloti ne guadagnano nei loro giorni lavorativi. Secondo me il giorno in cui quelli decideranno di mettere al bando il volojet non è lontano.

— Proprio così — intervenne un altro pilota. — C’è stato un tempo in cui potevate dimostrare che le gare di volojet erano utili per la progettazione di astronavi migliori. Ma miglioramenti tecnici non ce ne sono più da decenni. Dal loro punto di vista noi non facciamo che bruciare risorse allo stesso ritmo con cui altri le creano. E far notare che ricaviamo introiti dalla televisione è ancora peggio: il Ministero può dimostrare che per trasmettere uno slalom di razzo-sci la televisione spende cento volte meno che per una gara di volojet.

Conrad Manz sogghignò nel suo drink. Da qualche minuto si era accorto che la piccola e procace Angela, la moglie dagli occhi dolci e dalla voce rauca di Albert, stava cercando d’intercettare il suo sguardo. Ma da li a un quarto d’ora i ragazzi della rampa avrebbero avuto un jet pronto per lui. E per quanto Angela gli piacesse, non intendeva lasciar perdere la gara per dedicarsi a lei.

Tuttavia permise al suo sorriso di allargarsi, e quando lo sguardo di Angela s’incrociò di nuovo con il suo le rivolse un malizioso cenno di complicità. La donna interpretò quel segnale proprio nel modo da lui previsto. Bene, pensò, se non altro le avrebbe offerto il modo di sganciarsi da una conversazione noiosa.

Si alzò e quando le fu accanto la prese per mano. Lei non esitò a baciarlo, aprendo le labbra procaci contro le sue.

Conrad si volse ad Albert, che stava parlando, e lo toccò su una spalla. — Angela e io vorremmo trascorrere un po’ di tempo insieme se non ti secca.

Ciò che seccava Albert era d’essere stato interrotto a metà del discorso, ma esibì una doverosa cortesia. — Naturalmente, fate pure. Sono lieto che vi troviate bene insieme.

Conrad elargì al gruppetto un sorriso inespressivo. — Voialtri ragazzi non avete mai provato un razzo-sci? C’è più eccitazione genuina in dieci minuti di quella roba che in un’ora di volojet. Personalmente non m’importerebbe niente se il Ministero proibisse i jet. Non farei che filarmela sulle Montagne Rocciose, il mio giorno di riposo.

Conrad sapeva perfettamente che, se avesse detto una cosa del genere prima di chiedere il permesso ad Albert, lui avrebbe trovato una scusa per non lasciargli portare via sua moglie. Tutte le facce presenti mostrarono lo sdegno dei veri appassionati per uno che improvvisamente si rivelava un voltagabbana. Chi diavolo credevano d’essere, pensò, un antico ordine di nobili cavalieri?

Conrad prese Angela sottobraccio e la condusse elegantemente via prima che Albert riuscisse a escogitare un motivo per trattenerla.

Sul vialetto fuori dal salone del Club lei gli si strinse a una spalla con divertita ammirazione. — Sono felice che tu sia libero per me. Quell’Harold avrebbe parlato di jet fino a farmi venire le convulsioni.

Conrad si piegò a baciarla, ma disse: — Angela, mi spiace ma in progetto non c’è la cosa che pensi. Ho un jet che mi aspetta fra pochi minuti.

Lei si scostò, battendogli un pugno su una spalla: — Oh, Conrad Manz! Tu… e mi hai fatto credere di…

Lui rise, attraendola a sé. — Avanti, tesoro! Io ti abbandono per volare in cielo, almeno, non per parlarne. E sai bene che quando ti faccio venire le convulsioni… non è con le chiacchiere.

Dopo qualche istante lei non riuscì a trattenere la sua risatina un po’ roca e melodiosa. — Non sono la sola ad aver scoperto in te queste doti. Comunque, Clara e io abbiamo preso un drink insieme, dopo l’ultima Assemblea Cittadina. Le ho consigliato di tenerti chiuso a chiave in casa.

Lui si accigliò, contrariato che il discorso fosse scivolato su quell’argomento. Un presentimento continuava a dirgli che in Clara c’era qualcosa che non andava, qualcosa di ancor peggiore del suo strano e preoccupante sognare di dieci giorni prima. Da parecchi turni di ego-rotazione era fredda con lui, e la causa non poteva essere una momentanea mancanza d’interesse per lui, perché si mostrava fredda anche con tutti gli uomini di loro conoscenza verso i quali era sempre stata espansiva. E in quanto a lui, era costretto a rivolgersi ad amiche occasionali come Angela. Non che questo fosse spiacevole, ma si dava per scontato che fra due coniugi vi fosse una regolare ed equilibrata vita sessuale, e quando questa s’interrompeva significava guai con la Sorveglianza Medica.

Angela lo fissò: — Ora che ci ripenso, Clara non ha riso alla mia battuta di spirito. Forse fra voi c’è qualcosa che non va?

— Oh, no — dichiarò lui, seccato. — Talvolta Clara è così… non afferra l’umorismo di certe battute.

Un fattorino del Club li avvicinò mentre passeggiavano sulla rotonda e informò Conrad che il suo jet era pronto.

— Scusami, Angela. Ma mi farò perdonare da te: è una promessa.

— So che la manterrai, dolcezza. Be’, se non altro mi hai tirata fuori dal mare di noia in cui mi stavano facendo affogare, là dentro. — Angela si alzò in punta di piedi a dargli un bacetto, e poco dopo, mentre scompariva dietro la porta a vetri, si volse a salutarlo con un sorriso.

* * *

Sulla rampa Conrad trovò un altro pilota pronto a gareggiare con lui. Si accordarono su una scommessa doppia: una su chi sarebbe stato il primo a raggiungere il percorso di gara, e una su chi avrebbe tagliato il traguardo in testa al termine di sei giri sul tracciato aereo di forma esagonale.

Al segnale i due possenti jet schizzarono verso l’alto, e Conrad salì su una colonna di fiamma con un’accelerazione che lo schiacciò nella poltroncina sagomata. Il decollo era la sua specialità e sapeva che avrebbe vinto quella prima parte della scommessa. Sul percorso, tuttavia, se il suo avversario si fosse dimostrato di media abilità, Conrad avrebbe probabilmente perso: a lui piaceva soprattutto fare evoluzioni spericolate, belle dal punto di vista spettacolare ma controproducenti per chi desiderava mantenere la testa fino al traguardo.

Conrad tenne la propulsione al massimo fino all’ultimo secondo, poi accese di colpo i razzi di testa. Il jet vibrò in tutte le strutture per un centinaio di chilometri finché la brusca decelerazione non lo portò a fermarsi fra le boe aeree da segnalazione. L’altro pilota ansimò un’imprecazione quando Conrad gli gridò via radio: — Il vincitore ti saluta, amico!

In gara, generalmente si presupponeva di dover usare il carburante per alimentare al massimo i razzi di spinta, e di accendere i razzi di frenata posti sul muso soltanto per correggere deviazioni di rotta. — Che intenzioni hai? — replicò l’avversario, accostandosi con una breve fiammata dei propulsori. — Vuoi bruciare tutto il carburante e poi tornare a terra con il paracadute?