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— Avanti, signor Walden, la smetta di agitarsi, adesso.

Bill cercò di controllare il suo respiro affannoso. — Mi avete preso; non posso più fare la rotazione, è così?

— Sì, è così, signor Walden. Non fino a quando non lo vorremo noi. — Il giovanotto raccolse i suoi strumenti e si scostò dal letto.

Bill si accorse che nella stanza c’era un altro sorvegliante medico. L’uomo lo stava osservando con pensosa malinconia, come da lontano. — Io sono il maggiore Grey, Bill. Mi occupo del suo caso.

Lui non rispose. Lasciò vagare lo sguardo sul soffitto di quella camera d’ospedale. Poi s’accorse che la bocca gli si piegava in un sorriso.

— Cos’è che la diverte? — chiese il maggiore Grey.

— L’aver lasciato il mio ipoego con mia moglie — rispose candidamente Bill. La cosa aveva già smesso di apparirgli comica, ma vide il maggiore Grey sorridere a dispetto di se stesso.

— Erano piuttosto sconvolti quando li ho trovati insieme. Credo che avessero appena terminato una discussione abbastanza spiacevole. — L’uomo si accostò al letto e sedette sulla poltroncina lasciata libera dal giovane medico. — Lei sa, Bill, che dovremo farle un’analisi completa. Vogliamo fare tutto il possibile per salvarla ma questo richiede la sua collaborazione.

Bill annuì con un nodo alla gola. Ecco che accadeva, pensò. E per scoprire cosa lo aveva fatto agire, sarebbero arrivati anche a spaccarlo in due.

Il maggiore Grey parve intuire in lui l’amara volontà di resistere. La sua espressione si ammorbidì, la sua voce suonò comprensiva. — Vorrei che lei desiderasse aiutarci spontaneamente. Non possiamo costringerla a far niente.

— Salvo che a morire — disse Bill.

— Forse l’aiutarci ad avere quelle informazioni che potranno salvarle la vita al processo non le riuscirà tanto spiacevole. Ma la sua aberrazione ha gravemente compromesso la vita di diverse persone. Non crede che sia ora suo dovere, verso di loro, aiutarci a far sì che questo non abbia a ripetersi in futuro? — Il maggiore si passò una mano su una tempia grigia. — Penso che le farà piacere sapere che Mary si riprenderà del tutto. Presto cominceremo ad abituarla ai suoi nuovi genitori-assegnati, che verranno a farle visita ogni giorno. Questo la aiuterà a guarire più in fretta. Naturalmente per ora non può vedere nessuno.

L’immagine, brutalmente nitida, di Mary rannicchiata sul pavimento del ripostiglio si ripresentò alla mente di Bill. Dopo un poco sentì il calore delle lacrime che gli scendevano sulle guance, e non fu capace di trattenere i singhiozzi. Il giovane medico tornò a chinarsi su di lui e gli iniettò una dose di Soporina. Bill si addormentò, ma non prima d’aver capito che avrebbe fatto ciò che la Sorveglianza Medica voleva.

Il giorno successivo lo sottoposero a un’interminabile serie di esami fisici. Quelli psicologici furono lunghi e stressanti. Venne messo in un centinaio di diverse situazioni artificiali, e ogni sua reazione psicofisica fu registrata e analizzata. Ogni volta gli furono iniettate piccole quantità di droghe per controllare il modo in cui reagiva ad esse.

A tarda sera il maggiore Grey venne a interrompere il sorvegliante medico che gli stava facendo per la sesta volta l’encefalogramma dopo avergli fatto prendere un’altra dose di Talamblok.

— Benissimo, Bill. Lei sta collaborando in modo soddisfacente. Spero che non le importerà se dopo cena verrò in camera sua a fare quattro chiacchiere con lei.

Quando Bill ebbe finito di mangiare si accorse d’attendere con impazienza l’arrivo del sorvegliante medico. Il maggiore Grey entrò quasi subito. Scosse il capo alla muta domanda che lesse nei suoi occhi.

— No, Bill. Non avremo i risultati dei suoi esami fino a domattina. Ma in ogni caso questo è un argomento di cui non posso parlare con lei prima del processo.

— Quando ci sarà?

— Appena si finirà di valutare i risultati dei suoi esami. — Si passò una mano sul mento e parve sospirare. — Mi dica, Bill, lei cosa pensa del suo caso? Come si è messo in quella situazione e come le appare adesso, vista in retrospettiva? — Sedette nell’unica sedia della stanza, e accennò a Bill di accomodarsi sul divano.

L’improvviso desiderio di parlare dei propri guai stupì Bill, che mascherò l’imbarazzo con una risatina. — Suppongo di sentirmi come se fossi sotto accusa per aver cercato di restare sobrio — disse, usando quell’antica parola con un’enfasi d’ironica rettitudine che sapeva il maggiore avrebbe compreso.

Grey sorrise. — E come si sentiva quando era sobrio?

Bill lo fissò. — Come si sentivano gli antichi Moderni, credo. Sentivo non solo ciò che mi accadeva, ma anche il modo in cui mi accadeva e non la sensazione artificiale che si prova quando si è drogati. Credo che ci sarebbe il modo di vivere senza le droghe e apprezzare ugualmente l’esistenza. Lei non ha mai provato a diminuire le sue dosi di droga, maggiore?

Il sorvegliante medico scosse il capo.

Bill gli rivolse un sorriso sognante. — Dovrebbe fare la prova. È come vedersi d’improvviso aprire la porta di una nuova vita: ogni cosa appare diversa.

Dopo una pausa continuò: — Vede, con una vita media di cento anni ciascuno di noi vive cinquant’anni, e il suo alter-ego altrettanti. Non è poco, ma c’è il fatto che in questa mezza vita noi assaporiamo solo per metà il senso dell’esistenza a causa delle droghe. Dovrebbe esserci data la possibilità di provare il vero amore, o il vero odio, o il vero desiderio di vivere. Dovremmo poter provare, almeno ogni tanto, quegli intensi momenti di vita che fecero grandi gli antichi Moderni, non importa quali errori questo ci porterebbe a commettere.

Il maggiore Grey disse, rigido: — Gli antichi erano grandi nell’uccidere, nel rubare, nel degradarsi a vicenda. La loro sobrietà era peggiore dell’ubriachezza. — Stavolta la parola antica non lo fece sorridere.

Bill capiva l’implacabile logica con cui si stava scontrando. Era la logica che aveva salvato l’uomo dalla distruzione annichilendo il suo spirito. Era la vittoriosa logica delle droghe che avevano reso innocue le personalità asociali, rimodellandole in macchine efficienti e utili a una società dove non c’era l’infelicità perché non esisteva la vera felicità, e dove i soli crimini erano il rifiuto delle droghe e i rapporti sessuali fra alter-ego di tipo diverso. Senza droghe (e in quel momento non c’erano droghe nel suo sangue) era capace di rabbia e non riuscì a trattenerla del tutto.

— Senza droghe si riesce a vedere la stupidità di questi nostri tabù sociali. Questo stupido nascondersi all’altra metà di se stessi! Questi mostri a due teste che snocciolano la loro morale artificiale e le loro interminabili prescrizioni di droghe! Sono persone da manicomio! Che scopo c’è a vivere in un mondo come questo? Se siamo tutti quanti malati con due teste in una, faremmo meglio a suicidarci…

Bill s’interruppe, con un ansito, e nella stanzetta ci fu un lungo silenzio teso.

Infine il maggiore Grey disse: — Penso che lei possa capire, Bill, che il suo desiderio di vivere senza droghe è incompatibile con questa società. E noi non possiamo costringerla artificialmente a provare desiderio per le droghe che la manterrebbero sano. Soltanto se potessimo dimostrare con certezza che quest’aberrazione non è parte intima della sua personalità, potremmo intervenire con la terapia o la chirurgia per estirparla.

Dapprima Bill non comprese le implicazioni di quella frase. Quando ne afferrò il senso fu alla sorte di Clara che pensò, prima che alla sua, e la voce gli uscì in un sussurro: — Avete scoperto una… un’aberrazione in Clara?

Il maggiore Grey non rispose neppure con lo sguardo. — Ho fatto in modo che lei possa parlare un poco con Clara Manz, domattina. — Si alzò, gli augurò la buonanotte e uscì dalla camera.