Lentamente, come se muoversi gli costasse sofferenza, Bill spense la luce e nella penombra andò a sdraiarsi. Dopo un poco i battiti del suo cuore si placarono e cominciò a rilassarsi. Ma si sentiva come un esiliato, convinto di non rivedere mai più la patria, a cui fosse stato detto: Domani potrai oltrepassare quella collina e sarai a casa.
Per l’intera notte non riuscì a chiudere occhio passando da stati di panico a momenti di desiderio disperato, in un cerchio senza fine. All’alba, quando un freddo grigiore penetrò nella camera silenziosa, cadde in un sonno tormentoso.
Si svegliò che era già pieno giorno allorché un inserviente venne a portargli la colazione. L’eccitazione gli impedì di mangiare. Dopo che l’infermiere fu uscito, si lavò in fretta e indossò un’uniforme da ospedale pulita. Con mani tremanti si rifece il trucco, mise a posto il letto e sedette sul bordo in attesa che lo chiamassero.
Per un’ora non venne nessuno.
Finalmente entrò il giovane sorvegliante medico che due giorni prima gli aveva fatto l’iniezione per impedirgli l’ego-rotazione. Bill se lo trovò davanti quasi all’improvviso.
— Buongiorno, signor Walden. Come si sente?
Bill aveva continuato a oscillare fra stati di violenta tensione e un’inerzia nella quale non gli importava più nulla di se stesso. Voleva soltanto rivedere Clara e quel desiderio era una sofferenza.
Fu come in sogno che seguì il giovanotto lungo un paio di corridoi e poi in un ascensore. A uno dei piani superiori dell’ospedale il sorvegliante medico aprì una porta e gli fece cenno di entrare. Bill sentì appena il battente chiudersi alle sue spalle.
Clara stava guardando fuori da una finestra e non accennò neppure a voltarsi. Accigliato Bill si disse che le pareti di quel locale dovevano brulicare di apparecchi per la sorveglianza visiva e sonora, ma questo non gli importava. Tutta la sua attenzione era focalizzata sulla schiena della giovane donna rivolta alla finestra, e si sentiva il sangue pulsare negli orecchi come un tamburo. Pian piano, tuttavia, fu costretto ad accorgersi che qualcosa non andava, e quando la chiamò per nome la sua voce si spezzò.
Sempre evitando di voltarsi Clara disse, in tono stranamente piatto: — Voglio che tu capisca che ho accettato d’incontrarti qui soltanto perché il maggiore Grey ha detto che è necessario.
Gli occorse un minuto buono prima di riuscire a parlare. — Clara, io… ho bisogno di te.
Lei si girò di scatto: — Non te ne vergogni? Tu sei il marito della mia iperego. Non capisci che significa? — D’improvviso i suoi occhi si riempirono di lacrime, e il rossore che le invase le guance era quello di una vergogna cocente. — Come potrà perdonarmi Conrad dopo che sono stata con il suo iperego e ho parlato dei suoi fatti personali? Oh, come posso esser stata così pazza?
— Loro ti hanno fatto qualcosa — ansimò lui, tremando per la tensione.
Clara sollevò la testa. Era il suo atteggiamento di sfida, come Bill sapeva, ma non sfida verso di lui — lui non esisteva più ai suoi occhi — quanto verso quella parte di se stessa che un giorno aveva avuto bisogno di lui, e che le avevano strappato. — Mi hanno curata — dichiarò la giovane donna. — Mi hanno curata di tutto fuorché della vergogna, e mi aiuteranno a liberarmi anche di questa non appena uscirò da qui.
Bill la fissò a lungo prima di trovare l’energia di lasciare quella stanza. Nel corridoio, il giovane medico che lo aspettava non lo guardò in faccia. Lo riaccompagnò nella sua stanza e Io lasciò solo senza dire una parola. Bill si distese sul letto.
Da lì a poco il maggiore Grey entrò. Si avvicinò al letto. — Mi spiace che sia dovuto succedere in questo modo, Bill.
Lui fu costretto a schiarirsi la gola più volte: — Era proprio necessaria questa crudeltà?
— Era necessario mettere alla prova le sue reazioni dopo l’intervento di psicochirurgia cui è stata sottoposta. Inoltre le sarà d’aiuto per superare la vergogna. Altrimenti potrebbe restare in lei la vaga paura che il suo amore illecito non sia morto.
Bill non provava più nessuna emozione. Fissando il soffitto riuscì solo a pensare che in quel modo non c’era più posto per lui, non c’era più nessuno che avesse bisogno di lui. L’unica altra persona per cui la sua presenza avesse contato era stata Mary, e gli rimordeva la coscienza al pensiero di come l’aveva trattata. Ora la Sorveglianza Medica la stava curando dal male che lui le aveva fatto. E da Clara avevano estirpato come una pianta maligna il sentimento che li aveva uniti.
D’improvviso l’atroce ironia della cosa lo fece ridere. — Io sono una malattia di cui gli altri devono essere curati!
— Sì, Bill. Non c’è altro da fare. — Quando lui smise di ridere, la voce di Grey si fece secca: — Venga con me. È l’ora del suo processo.
La vasta aula dove si tenevano i processi era completamente vuota, salvo al centro, dove campeggiava un largo tavolo di quercia circondato da numerose poltrone. Gli ufficiali della Sorveglianza Medica presenti erano tre, più il maggiore Grey.
Helen non disse verbo quando Bill fu condotto avanti. Fu fatto sedere dallo stesso lato del tavolo, con uno degli ufficiali fra loro. Due guardie si piazzarono dietro la poltrona occupata da lui. A parte questi, nel locale non c’era nessun altro.
Le grandi finestre erano alte rispetto al pavimento e mostravano soltanto il cielo terso. Ogni tanto Bill vedeva comparire uno stormo di piccioni, che volavano in cerchio come lampi argentei. Salvo lui, tutti al tavolo avevano una copia del rapporto completo sul suo caso, e ne stavano discutendo con brevi commenti. Nel vuoto fra il soffitto e il pavimento un vago gioco di echi faceva da sfondo alle chiacchiere dei presenti.
La discussione sul rapporto s’interruppe quando il maggiore Grey si alzò in piedi. I suoi occhi seri passarono da volto a volto mentre esordiva, in tono ufficiale: — Questo è un tribunale medico, dove si valuteranno sia i referti clinici sia le richieste delle persone interessate allo scopo di giungere a una decisione su Bill Walden, considerato un malato. Egli è stato ricoverato in ospedale in seguito a un rifiuto di droghe e a un comportamento antisociale. Davanti a noi abbiamo un rapporto medico riguardante il malato. Tutti i presenti ne hanno preso visione accurata?
Sotto il suo sguardo gli altri annuirono.
— Tutti i presenti si ritengono competenti per emettere il loro giudizio su questo caso?
Di nuovo la risposta fu un assenso generale.
Il maggiore Grey continuò: — È mio dovere informarvi, in presenza del malato, della sostanziale differenza esistente fra un processo per semplice rifiuto di droghe ed uno in cui quest’aberrazione è unita al comportamento antisociale.
«È accertato che nessun genere di aberrazione è possibile allorché le droghe vengono prese come da prescrizione medica. Dopotutto, le droghe sono la base della nostra società schizofrenica. Nonostante ciò il semplice rifiuto di esse rappresenta di solito soltanto un caso psicologico, a cui è abbastanza facile porre rimedio.
«Il comportamento antisociale provoca invece un danno molto più grave al nostro mondo. Generalmente ha motivazioni profonde nella psiche del malato, e di conseguenza non è accessibile alla terapia. Un malato di questo tipo è affascinato dall’esplorazione emotiva delle antiche passioni, e indotto a stati d’animo d’estremo orgoglio, sul genere Datemi la libertà o la morte! senza più curarsi del benessere della società.
Bill continuava a osservare il cielo in cui ogni tanto ricomparivano i piccioni: una manciata di creature lanciate nell’azzurro. Non aveva mai provato tanta attrazione per il cielo libero. Se mi rinchiuderanno in ospedale, pensò, non chiederò altro che di star seduto e di poter guardare fuori da una finestra, per sempre.