— Qui c’è un tipo di contaminazione per cui non abbiamo droghe — disse, e s’accorse che stava piangendo. — Siamo tutti pazzi.
Anche Clara piangeva. — Oh, caro! Cos’hai fatto? Dove sono le droghe?
L’acqua dell’Hudson continuava a evaporare in cristalli di ghiaccio che si alzavano fin nella stratosfera, e quel lenzuolo di corpuscoli scintillava riflettendo i lampi delle lontane esplosioni atomiche. Ma il brontolio di quel bombardamento si trasformò in una nota acuta… era il segnale di una chiamata urgente sul visifono della camera da letto, e Bill si risvegliò con un sussulto.
Clara s’era avvolta nella vestaglia e nell’incamminarsi verso l’apparecchio era rigida per l’apprensione. Con un movimento rapido Bill si alzò e andò a nascondersi in un angolo della stanza per togliersi dal campo visivo delle lenti.
Dal visifono uscì una voce fredda e controllata: — Clara Manz?
— Sì. — Quella di Clara non salì in una nota allarmata solo perché strinse i denti.
— Qui è la direzione della Sorveglianza Medica. Un controllo di routine ci ha rivelato che lei sta prolungando di due ore il suo turno di ego-rotazione. È un periodo di tempo superiore a quelli medi nella statistica dei casi di deviazioni. La prego di darmi una spiegazione esauriente.
— Io… — Clara dovette deglutire un groppo di saliva per poter continuare. — Penso di aver preso un dose eccessiva di Soporina.
— Signora Manz, le nostre registrazioni indicano che lei ha già ritardato di alcune ore l’ego-rotazione in numerosi altri turni. Abbiamo fatto su questo un controllo di routine, ma la scoperta è abbastanza grave. — Ci fu un silenzio teso, un silenzio che esigeva una risposta razionale. Ma come avrebbe potuto esserci una risposta razionale?
— La mia iperego non si è lamentata, e io… be’, io ho lasciato che una cattiva abitudine mi prendesse un po’ la mano. Capisco che… ma questo non accadrà più.
La voce snocciolò gelidamente una piatta ramanzina circa le responsabilità che una personalità aveva verso l’altra e sui doveri dei cittadini prima che Clara potesse spegnere il visifono.
Entrambi restarono seduti dov’erano senza dire parola, a lungo, finché l’onda di terrore che li aveva sommersi non cominciò a ritrarsi. E quando si guardarono, dai due lati opposti della camera oscura e silenziosa, sapevano entrambi che restava loro soltanto un’altra occasione di vedersi prima che la Sorveglianza Medica li prendesse.
Cinque giorni dopo, l’ultimo giorno del suo turno di ego-rotazione, Mary Walden prese una matita indelebile e sotto l’ascella sinistra si scrisse l’indirizzo di Conrad Manz, l’ipoego del suo padre-assegnato.
Per tutto il mattino suo padre e sua madre avevano litigato, rovinando il giorno di riposo della famiglia. Il motivo era stato il ritardo con cui la ipoego di Helen continuava a effettuare l’ego-rotazione. Suo padre non la riteneva una cosa importante, ma sua madre si era irritata e aveva minacciato di lamentarsi con la Sorveglianza Medica.
Durante il pranzo non aprirono bocca, salvo che a un certo punto quando Bill disse: — Mi sembra che siano Conrad e Clara Manz i responsabili di un matrimonio anomalo, e non noi. Tuttavia loro ne sembrano perfettamente soddisfatti; la sola che si lamenta sei tu. Se questa donna ha preso l’abitudine di usare troppa Soporina per il pisolino che fa nel suo giorno di riposo, perché non le lasci un appunto?
La replica di Helen fu una sola. Le sibilò fra i denti in un sussurro teso: — Bill, vorrei soltanto che la bambina non avesse idea della sordida situazione in cui hai coinvolto anche lei.
Mary s’irrigidì a quella frase, incredula che la madre potesse ignorare sia la sua presenza, sia la possibilità che lei capisse, sia i suoi sentimenti nel vedersi tagliata fuori a quel modo dalla discussione.
Dopo pranzo Mary sparecchiò la tavola gettando i resti del cibo e i piatti di carta nell’inceneritore di rifiuti. Suo padre s’era chiuso in biblioteca, ed Helen si stava vestendo per recarsi all’Assemblea Cittadina. La sentì tornare in cucina, per salutarla, mentre era occupata a lavare la tavola. Ma pur sapendo che Helen era alle sue spalle, ben vestita e impaziente di uscire, finse di non essersi accorta di lei.
— Cara, io vado all’Assemblea Cittadina.
— Eh? Oh… sì.
— Fai la brava bambina, e non ritardare la tua ego-rotazione. Hai soltanto un’ora prima che il tuo turno scada. — Il volto un po’ altero di Helen si addolcì in un sorriso.
— Sì, sarò puntuale.
— E non badare troppo alle cose che io e tuo padre abbiamo discusso questa mattina. Vuoi?
— Certo.
La donna uscì. Non era passata a salutare Bill. Mary era acutamente conscia della presenza di suo padre che non s’era mosso dalla biblioteca. Passò in punta di piedi davanti alla porta e lo vide seduto su una sedia, con lo sguardo fisso sul pavimento. La ragazzina rimase in soggiorno, immobile presso la finestra e con gli occhi tesi: se lui si fosse alzato, se avesse voltato una pagina, se avesse sospirato, avrebbe potuto sentirlo. Ma non udì niente.
S’avvicinava il momento in cui avrebbe dovuto lasciare il corpo se voleva che Susan Shorrs arrivasse in tempo alla prima ora di scuola del suo turno. Perché i bambini dovevano fare l’ego-rotazione con mezza giornata di anticipo sugli adulti?
Finalmente Mary riuscì a pensare a qualcosa da dire. Doveva fargli sapere che era abbastanza grande da capire il motivo del loro litigio, se soltanto lui glielo avesse spiegato.
Mary entrò in biblioteca e con aria esitante sedette sul bordo di una poltrona accanto a lui. Il padre non alzò lo sguardo. Anche nella luce piena del giorno il suo volto appariva grigio. In quel momento Mary capì che anche lui era solo e ne fu commossa.
— Qualche volta penso che tu e Clara Manz — disse d’un tratto — siate gli unici a non essere così scioccamente puntigliosi su questa storia di dover fare la rotazione proprio all’ora obbligatoria. Be’, a me non importa se Susan Shorrs va a scuola anche con un’ora di ritardo!
Lui se la prese sulle ginocchia e per qualche istante il cuore di Mary batté così forte che le parve di sentirselo andare in pezzi. Fu come se avesse pronunciato una formula magica, un incantesimo che le avesse aperto la porta del suo amore. Ma soltanto dopo che lui le ebbe spiegato perché rincasava sempre tardi il primo giorno del loro turno di famiglia, Mary capì che qualcosa di grave stava succedendo. Bill le disse e le ripeté che sapeva di renderla infelice, e che questo lo faceva sentire in colpa. Ma nello stesso tempo le accarezzava!a testa e scrutava nei suoi occhi come se avesse paura di lei.
Mentre il padre parlava, Mary cominciò a leggere nei tremiti del suo corpo, nelle sue mani sudate, nei suoi occhi supplichevoli la paura della morte. La paura che lei potesse ucciderlo dicendo o facendo qualcosa di sbagliato, o forse con il semplice fatto che lei esisteva.
Ma non fu questo ad addolorare Mary, perché all’improvviso qualcosa era piombato come un macigno su ogni altro suo pensiero: vorrei soltanto che la bambina non avesse idea della sordida situazione in cui hai coinvolto anche lei.
Coinvolta. Doveva dunque esserci qualcosa che la coinvolgeva con Conrad e Clara Manz, visto che erano loro l’oggetto della discussione.
Quando poco dopo suo padre uscì di casa, Mary andò alla scrivania di lui e tirò fuori i documenti di famiglia. Appena ebbe trovato l’indirizzo di Conrad Manz le venne l’idea di annotarlo sul suo stesso corpo. E poiché era sicura che Susan Shorrs non si lavava mai, quello le parve un lampo di genio: a un’ora qualsiasi del giorno di riposo di Susan, ovvero di lì a cinque giorni, l’avrebbe costretta a un’ego-rotazione anticipata e sarebbe andata a trovare Conrad e Clara Manz. Il suo piano era tanto semplice nell’esecuzione quanto vago negli obiettivi che si prefiggeva di ottenere.