La voce all’altro capo del telefono proseguì dal punto in cui era stata interrotta, ma crescendo d’intensità. «… Fino a domani per ritirare le sue accuse e farmi riammettere a Hempnell.»
Dopodiché irruppe in un torrente di insulti e di oscenità, pronunciate a voce così squillante che Norman le sentiva chiaramente mentre riponeva il telefono sul supporto.
Un paranoico, ecco l’effetto che gli faceva.
Si lasciò cadere sulla poltrona e rimase immobile, a pensare.
Alle otto, la sera prima, egli aveva bruciato un talismano probabilmente inteso ad allontanare da lui ogni influenza maligna, l’ultima delle manie di Tansy.
Alla stessa ora circa, Margaret Van Nice aveva deciso di confessargli la sua folle passione, e Theodore Jennings aveva deciso di renderlo responsabile di un immaginario complotto a suo danno. Il mattino successivo, il puritanissimo consigliere Fenner aveva chiamato Thompson al telefono per riferirgli del ricevimento degli Utell e Hervey Sawtelle, frugando nell’archivio aveva scoperto…
Sciocchezze.
Con un riso rabbioso come per burlarsi della propria credulità, prese il cappello e si diresse verso casa.
5
Tansy era raggiante, più carina di quanto lo fosse stata da diversi mesi a questa parte. Due volte, mentre cenavano, Norman l’aveva sorpresa mentre sorrideva a se stessa.
Le diede il biglietto della signora Gunnison. «Anche la signora Carr mi ha chiesto di te. Mi è caduta addosso, molto elegantemente, naturalmente. Poi più tardi…» Stava per raccontarle l’incidente della sigaretta e della signora Carr che aveva fatto finta di non vederlo, nonché la storia di Margaret Van Nice; ma era inutile darle ora delle preoccupazioni, riferendole incidenti che potevano addebitarsi alla sfortuna. Senza contare ciò che lei avrebbe potuto costruirci sopra.
Tansy diede un’occhiata al biglietto e lo porse a Norman dicendo:
«Ha proprio tutto il sapore di Hempnell, non ti pare?»
Egli lesse:
“Cara Tansy, dove ti nascondi? Ti ho vista solo una o due volte al campus in tutto il mese. Se sei impegnata in qualcosa di interessante perché non lo dici anche a noi? Perché non vieni a prendere il tè questo sabato, e mi racconti tutto?
P.S. Ricordati che devi portare quattro dozzine di pasticcini al ricevimento delle mogli dei professori, sabato l’altro.”
«Mi sembra un po’ confuso» disse Norman «ma avverto chiaramente l’aggressività della signora Gunnison. Mi sembrava particolarmente sciatta, oggi.»
Tansy rise. «Siamo stati davvero poco socievoli in queste ultime settimane. Penso di invitarli per un bridge domani sera. Capisco che il preavviso è breve, ma in genere sono sempre liberi al mercoledì. E anche i Sawtelle.»
«Dobbiamo proprio invitare anche loro? Quella rompiscatole…»
Tansy rise. «Non so come te la caveresti senza di me…» Si fermò di botto. «Temo tu debba proprio sorbirti Evelyn. Dopo tutto, tu e Hervey siete gli unici professori di sociologia, ed è logico che vi incontriate anche fuori scuola. Per fare due tavoli interi inviterò anche i Carr.»
«Tre donne spaventose» disse Norman. «Se queste rappresentano il tipo medio della moglie del professore, mi ritengo fortunato di aver scovato una donna come te.»
«Talvolta penso la stessa cosa dei mariti… delle mogli dei professori» disse Tansy.
Mentre bevevano il caffè fumando una sigaretta, Tansy gli disse un po’ esitante: «Norm, ti ho detto che non volevo parlare della faccenda di ieri. Ora però c’è qualcosa che ti voglio dire.»
Egli annuì.
«Ieri non te l’avevo detto, Norm, ma quando abbiamo bruciato quelle… cose io ho provato una tremenda paura. Mi è sembrato che noi buttavamo giù dei muri che mi erano costati anni di fatica a innalzare e che non vi era più nulla per tenere a bada i…»
Egli non disse nulla, rimase seduto, immobile.
«E difficile da spiegare; ma, fin dal giorno in cui ho cominciato a… giocare con quelle cose, ho avvertito una pressione dall’esterno, un impreciso timore nervoso, simile a ciò che provi tu quando senti passare un grosso camion. Sentivo che le cose cercavano di farsi strada per spingersi sino a noi. E io dovevo respingerle, combattere con il mio… È come una prova di forza, il braccio di ferro che gli uomini fanno talvolta. Ma non era questo che intendevo dire…
“Sono andata a letto ieri sera infelice e terrorizzata. La pressione esterna era sempre presente e continuava ad agire su di me, a stringermi e io non avevo alcun modo di difendermi perché avevo bruciato tutto. Poi, improvvisamente, mentre ero sdraiata nell’oscurità, circa un’ora dopo essere andata a letto, ho provato il più meraviglioso senso di sollievo. La pressioni esteriori erano scomparse, e io tornavo a galla dopo essermi quasi annegata. In quel momento ho saputo che… che avevo superato quella mia follia. È per questo che sono così felice.»
Norman faticò a non aprire bocca e a non dire a Tansy ciò che stava pensando in quel momento. Quella nuova coincidenza superava tutte le altre. Quasi al momento in cui aveva bruciato l’ultimo amuleto e aveva avvertito una sensazione di paura, Tansy aveva provato invece un gran sollievo. Questo gli avrebbe insegnato a costruire teorie sulle coincidenze!
«Perché vedi, caro, io in un senso ero pazza» gli stava dicendo Tansy. «Poche persone avrebbero preso la cosa come l’hai presa tu».
Le rispose: «Non era pazzia la tua. Pazzia è un termine labile, che si può applicare a chiunque. Eri soltanto preda della malignità delle cose».
«La malignità…?»
«Sì. Esempio: i chiodi che si ostinano a piegarsi quando tu li pianti nel muro, come se lo facessero di proposito. Oppure l’ostinazione delle cose meccaniche che rifiutano di funzionare. La materia è una cosa buffa. Collettivamente, obbedisce alle leggi della natura, ma se prendi l’atomo da solo, o l’elettrone, è tutta una questione di fortuna o di capriccio.» Quella conversazione non prendeva la strada che lui aveva inteso, e fu grato a Totem che balzò sul tavolo fornendogli un diversivo.
Finì che quella serata fu deliziosa, da anni non ne avevano trascorsa insieme una simile.
Ma al mattino successivo, arrivando a Morton, Norman avrebbe preferito non aver parlato della malignità delle cose. L’argomento si era fissato nella sua mente. Si accorse di notare le minime cose. Come, ad esempio, la posizione precisa di quel drago di cemento. Ricordava di aver notato ieri che esso occupava l’esatta metà dello spigolo discendente del tetto. Ora però costatava che si trovava ai due terzi della discesa, proprio accanto all’architrave che sormontava l’enorme e inutile portico di stile gotico che divideva il collegio di Estrey da quello di Morton. Perfino un semplice professore di sociologia avrebbe dovuto avere più spirito di osservazione di così.
Il telefono trillò in perfetta coincidenza con il campanello delle nove.
«Saylor?» era la voce melliflua di Thompson. «Mi spiace doverti disturbare ancora, ma ho appena ricevuto una telefonata da uno dei consiglieri, questa volta è Liddell. Si tratta del discorsetto (non ufficiale, certo) che hai pronunciato, a quanto pare, alla stessa epoca del… be’ di quel ricevimento, sul tema “Gli errori dell’educazione universitaria”.»
«E con questo? Non pretenderai che nell’educazione universitaria non vi sia niente di sbagliato? O l’argomento è tabù?»
«No, no di certo. Ma dal modo con cui mi parlava il consigliere pareva che tu avessi fatto la critica di Hempnell.»
«La critica dei piccoli colleghi del tipo di Hempnell, sì. Di Hempnell in particolare, no.»