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Erano soltanto cinque scarabocchi, ma Norman sapeva che quattro di essi si ricollegavano a qualcosa che non ricordava sul momento, ma che giaceva in fondo alla sua memoria. Uno sguardo al morto gli fornì la risposta.

Carte.

Ma questa cognizione si riferiva all’antica storia delle carte, quando tutto il mazzo era una fonte di magia, quando vi era un cavaliere fra il fante e la regina, quando i semi erano spade, bastoni, coppe e denari, e quando vi erano ventidue tarocchi speciali, o carte, per indovinare il futuro, delle quali soltanto il Joker era rimasto.

Che Evelyn Sawtelle possedesse cognizioni di cose tanto remote come le carte dei tarocchi? E così bene da scarabocchiarle distrattamente? Quella stupida manierata, convenzionale Evelyn Sawtelle? Era impensabile, eppure… Quattro carte del mazzo di tarocchi, rappresentavano un giocoliere, l’imperatrice, una torre e l’impiccato.

Solo il quinto scarabocchio, quello dell’uomo e del veicolo non quadrava. Vishnu e il suo carro? La vittima urlante che sta per essere travolta dalle ruote di un idolo inarrestabile? Era molto probabile. Ecco un punto in favore della cultura esoterica della stupida Evelyn Sawtelle.

Poi, di colpo, comprese. Quello era lui. Lui e un camion, un camion enorme. Era il significato della quinta figura.

Evelyn Sawtelle conosceva dunque la sua più intima avversione?

La guardò fissamente. Lei cancellò i suoi scarabocchi e gli restituì lo sguardo con sussiego.

La signora Gunnison era china in avanti, muoveva le labbra come se stesse contando gli atout.

La signora Carr sorrideva. Giocò la carta di apertura. Il vento si era alzato e ricominciava a ululare con quello strano boato intermittente che già si era fatto udire all’inizio della serata.

Norman scoppiò a ridere stupidamente e le tre donne lo guardarono. Che sciocco era stato. Crucciarsi pensando a qualche stregoneria mentre gli scarabocchi di Evelyn Sawtelle non raffiguravano altro che un bambino nell’atto di giocare alla palla. Un bambino: il figlio che lei non poteva avere. Una regina fatta di aste: lei stessa. Una torre: la cattedra di sociologia ambita da suo marito o qualche altra, molto più fondamentale potenza. Un impiccato: l’impotenza di Hervey (questa era un’idea di Norman!). Un uomo spaventato da un camion: lei, Evelyn con la sua energia sessuale che spaventava e schiacciava Hervey.

Rise di nuovo e le tre donne si accigliarono. Le guardò l’una dopo l’altra con espressione enigmatica.

Eppure, si chiese, proseguendo nella sua meditazione, ma in una vena più leggera, perché no? Erano tre megere che usavano scienze occulte né più né meno di Tansy, per mandare avanti la carriera del marito ed emergere contemporaneamente anche loro. Tre megere che si servivano del sapere dei mariti per infondere alla stregoneria una piega mostruosa. Inquiete, sospettose del fatto che Tansy avesse rinunciato alla magia, spaventate all’idea che Tansy avesse escogitato una magia più forte e progettasse di farne uso.

Tansy, invece, era lì, improvvisamente disarmata, forse ignara dei cambiamenti avvenuti nel loro atteggiamento, perché, rinunciando alla magia, aveva perduto la sua sensibilità alle cose soprannaturali, il suo intuito femminile. E perché non andare fino in fondo al suo ragionamento? Le donne erano tutte custodi delle antiche usanze e delle tradizioni dell’umanità, compreso l’uso della magia. Combattevano le battaglie dei loro mariti dietro le scene per mezzo della stregoneria. E mantenevano segreto il loro armeggiare. Se venivano scoperte, lo addebitavano a una debolezza femminile per la superstizione.

Metà della razza umana praticava dunque attivamente la stregoneria? E perché no?

«Tocca a lei, Norman» disse piano la signora Sawtelle.

«Sembra che lei abbia qualcosa in mente» disse la signora Gunnison.

«Come te la cavi, laggiù, Norman?» disse Gunnison. «Non ti sei ancora fatto stritolare da quelle donne?»

Stritolare. Norman tornò alla realtà con un sussulto. Era proprio ciò che quelle tre erano quasi riuscite a fare. Tutto ciò, perché l’immaginazione umana era uno strumento del quale non ci si poteva assolutamente fidare. Un po’ come un regolo elastico. Vediamo: se lui giocava il suo re, la signora Gunnison rimaneva padrona del seme con una regina e si giocava di fila tutti i suoi picche.

Mentre la signora Carr copriva il re con il suo asso, Norman fu conscio del sorriso enigmatico che si era diffuso sulle labbra di quella donna.

Dopo quel giro, Tansy servì rinfreschi. Norman la seguì in cucina.

«Hai visto come ti guardava» disse allegramente a Norman in un sussurro. «Mi vien quasi da pensare che quella cagna sia innamorata di te.»

Rise «Vuoi dire Evelyn?»

«No, naturalmente, intendo la signora Carr. Nel suo intimo è ancora una donna ardente. Non hai visto come guarda talvolta gli studenti, come se sperasse di avere anche l’aspetto conforme ai loro desideri?»

Norman ricordò di aver pensato esattamente la stessa cosa al mattino.

Tansy proseguì: «Non mi lusinga l’idea di averla vista guardare anche me nello stesso modo. Mi vengono i brividi a pensarci».

Norman assentì. «Mi fa pensare alla cattiva…» Si trattenne.

«…Strega di Biancaneve, non è vero? E ora faresti meglio a tornare in salotto, caro mio, o arriveranno tutte qui a ricordarmi che un professore di Hempnell non è al suo posto in cucina.»

Tornando nel soggiorno, sentì che la conversazione abituale, su questioni di collegio, era già cominciata.

«Ho visto Pollard, oggi» notò Gunnison servendosi un’ampia porzione di torta al cioccolato. «Mi ha detto che aveva una riunione con i consiglieri domattina per decidere, fra le altre cose, l’assegnazione della cattedra di sociologia.»

Hervey Sawtelle si strozzò con una briciola di torta e stava quasi per rovesciare la sua tazza di cacao.

Norman vide la signora Sawtelle che gli lanciava sguardi velenosi. Poi, cambiando espressione mormorò: «Ah? molto interessante». Norman sorrise, Quell’odio era comprensibile, non si poteva confondere con la stregoneria.

Tornò in cucina per prendere un bicchier d’acqua per la signora Carr e incontrò la signora Gunnison che usciva dalla camera da letto. Stava infilando nella sua capace borsetta un libriccino rilegato in pelle. A Norman venne in mente il diario di Tansy. Probabilmente si trattava del libretto degli indirizzi di Hulda.

Totem sgattaiolò dietro di lei, sibilando pomposamente.

«Odio i gatti» disse la signora Gunnison bruscamente e gli passò davanti.

Il professor Carr aveva provveduto a sistemare, per un ultimo giro di bridge, mettendo insieme tutti gli uomini, mentre le donne avrebbero giocato fra loro.

«Ma questa è una barbara sistemazione» disse Tansy strizzando l’occhio. «Non penserete che riusciremo mai a giocare seriamente?»

«Al contrario, mia cara. Credo che giocherete benissimo» rispose Carr seriamente. «Ma sono io, lo confesso, che talvolta preferisco giocare con gli uomini, Intuisco meglio che cos’hanno in mente. Mentre le donne, mi sconcertano ancora.»

«E così dev’essere» aggiunse la signora Carr. Tutti scoppiarono a ridere.

Le carte, improvvisamente, si fecero fantasiose, con le sequenze molto anormali, e il gioco divenne interessante. Ma Norman non riusciva a concentrarsi e questo rese Sawtelle, il suo compagno di gioco, ancor più nervoso e agitato del solito.

Norman continuava a tendere l’orecchio a ciò che dicevano le donne all’altro tavolo. La sua immaginazione ribelle persisteva a scoprire allusioni nascoste nelle più innocue osservazioni.

«Generalmente hai delle ottime mani, Tansy. Oggi invece non ti viene neppure una carta» disse la signora Carr. Che invece si riferisse alle mani ritagliate nella flanella?