«Mah! Sfortunata al gioco… sapete com’è il proverbio…»
Chissà come intendeva finire la frase, la signora Sawtelle? Fortunata in amore? Fortunata in magia? Stupida idea.
«Tansy, hai fatto due dichiarazioni emotive l’una dietro l’altra. Farai bene a stare attenta, o ti raggiungeremo.»
Cosa poteva significare, nel gergo della signora Gunnison “due dichiarazioni emotive”? Una specie di bluff nelle scienze occulte? Una falsa pretesa di rinunciare alla stregoneria?
«Io mi chiedo» mormorò dolcemente la signora Carr a Tansy «se questa volta non nascondi una meravigliosa mano, cara, e se non ci prepari un tranello.»
Il regolo di gomma. Ecco il guaio con la fantasia. Con un regolo elastico, un elefante sarebbe parso un sorcio, una linea a zig-zag e una curva sarebbero state uguali e parallele. Cercò di concentrarsi sulla sua dichiarazione di slam.
«Le donne fanno del gioco una lunga chiacchiera» mormorò Gunnison a mezza voce.
Gunnison e Carr vinsero una strenua partita di duemila punti, e chiacchierarono ancora piacevolmente mentre attendevano, in piedi, di congedarsi.
Norman ricordò una domanda che voleva fare alla signora Gunnison.
«Harold mi diceva che lei ha scattato un certo numero di fotografie di quel drago di pietra, quel grondone o doccione, che si voglia chiamare, che sta sul tetto di Estrey. È proprio di fronte alla finestra del mio studio.»
Lei lo guardò un po’, poi assentì.
«Credo di averne una qui con me, l’ho scattata circa un anno fa.»
Estrasse un’istantanea molto sciupata dalla borsetta. Lui la studiò e gli venne retrospettivamente un brivido. Era davvero incomprensibile. Invece di essere posto al centro del tetto, o sull’orlo, il drago era situato sulla cima. Che cosa significava? Uno scherzo che durava da mesi, da settimane? Oppure…? La sua mente ondeggiò, si impennò come un cavallo impaurito. Eppur si muove…
Guardò il retro della fotografia. Vi era un’iscrizione confusa segnata con un rossetto per le labbra. La signora Gunnison gliela tolse di mano per mostrarla agli altri…
«Il vento ulula come un’anima perduta» disse la signora Carr, stringendosi nel suo soprabito, mentre Norman apriva la porta.
«Un’anima molto chiacchierona, probabilmente quella di una donna» aggiunse suo marito con un risolino.
Quando l’ultimo degli ospiti ebbe preso congedo, Tansy prese il braccio del marito e disse: «Sto proprio invecchiando. Mi è sembrato meno pesante del solito. Perfino le occhiate della signora Carr non mi hanno scioccata. Per una volta, parevano tutti umani».
Norman la guardò intensamente. Tansy sorrideva, tranquilla. Totem era uscita dal suo nascondiglio e si fregava il muso contro la sua gamba.
Con uno sforzo Norman tornò alla realtà e assentì dicendo: «Difatti. Ma, santo cielo, quel cacao! Beviamo qualcosa».
7
Dappertutto regnavano le ombre, e la terra sotto i passi di Norman era molle ed incerta. Lo spaventoso boato rintronava da ore e ore, lo scuoteva fino al midollo. Eppure quel rumore non riusciva a soffocare l’altra voce, monotona, antipatica, senza inflessioni, la voce che, dentro di lui, gli ordinava di far qualcosa… non sapeva che cosa, ma sentiva che questa cosa gli avrebbe fatto del male. Era una voce che egli distingueva chiaramente; pareva quella di una persona che gli sussurrava nel cervello. Tentò di sfuggire a quella imposizione, di deviare dalla direzione che essa gli ordinava di prendere, ma le robuste mani lo afferrarono subito per riportarlo al punto di prima.
Le ombre erano prodotte da vaste nubi che si rincorrevano e che assumevano di volta in volta la forma di facce gigantesche che lo osservavano cupamente, facce dagli occhi come pozzi oscuri, dalle labbra imbronciate e cattive, dai capelli come masse enormi, fluttuanti dietro di loro.
Non doveva ubbidire agli ordini di quella voce. Eppure sì, lo doveva. Lottò strenuamente. Il rombo si gonfiò sino a diventare un frastuono, un pandemonio tale da scuotere la terra. Le nubi si mutarono in un torrente nero che investiva ogni cosa.
Poi di colpo la camera da letto si sovrappose a quella immagine e con un ultimo strappo egli si svegliò.
Si fregò gli occhi appesantiti dal sonno e tentò di ricordare che cosa la voce gli avesse ordinato di fare. Ne sentiva l’eco nell’orecchio. Un’alba grigia filtrava delle persiane. La pendola indicava un quarto alle otto.
Tansy era ancora raggomitolata su se stessa, con un braccio fuori dalle coperte. Un sorriso all’angolo della bocca le arricciava il naso. Norman scese cautamente dal letto. Il suo piede scalzo si posò su una puntina staccata, di quelle che servono a fissare la moquette sul pavimento. Trattenne un grugnito di rabbia e si allontanò zoppicando.
Per la prima volta da molti mesi si tagliò radendosi. Due volte la lama nuova scivolò di fianco, troppo tagliente, e portò via piccoli ma nitidi brandelli di pelle. Guardò nello specchio con irritazione, il suo viso bianco di sapone, macchiato di rosso e spinse con molta lentezza la lama lungo il mento, ma la pressione era troppa, e si tagliò per la terza volta.
Al momento in cui andò in cucina, l’acqua che aveva messo sul fuoco bolliva già. Mentre la versava nella caffettiera, il manico allentato della casseruola si staccò del tutto e le sue caviglie furono irrorate di acqua bollente. Totem fece un salto per scansarla, poi tornò alla sua ciotola di latte. Norman imprecò, poi sorrise. Che cos’aveva detto a Tansy a proposito della malignità delle cose? Come per dimostrare questa teoria con un ultimo ridicolo esempio, si morse la lingua mentre mangiava un biscotto col caffè. Malignità delle cose inanimate… o piuttosto malignità causata dal sistema nervoso umano? Era vagamente conscio di una emozione potentemente conturbata, ma non identificabile (residuo del suo incubo?), come una figura disgustosa intravista mentre nuota sotto il pelo di un’acqua piena di alghe.
Era una sensazione affine a quella di una sorda irritazione, poiché, mentre si affrettava a raggiungere Morton Hall, si trovò intimamente in guerra con l’ordine stabilito delle cose, e in particolare le istituzioni educative. La vecchia esasperazione giovanile per le ipocrisie e i compromessi della società civilizzata, si accumulava come fanno le acque burrascose, che poi superavano la barriera che un realismo maturo aveva opposto alla loro esuberanza. Che vita era mai questa per un uomo? Educare le menti immature di ragazzi già cresciuti, ritenendosi fortunati di trovare almeno uno studente un po’ promettente in tutto l’anno scolastico. Giocare a bridge con una manica di vecchi barbosi. Offrire ricevimenti a degli agitati incompetenti come Hervey Sawtelle. Inchinarsi alle mille e una regola e tradizioni di un collegio di seconda categoria. E per che cosa?
Lunghe nubi sfilacciate correvano sul suo capo, promettendo la pioggia. Gli ricordavano il suo sogno. Ebbe voglia di urlare una sfida infantile a quelle nubi.
Un camion gli passò accanto silenziosamente, riportandogli alla memoria il disegno che Evelyn Satwelle aveva scarabocchiato sul blocchetto del bridge. Lo seguì con lo sguardo. Quando tornò a voltarsi, vide la signora Carr.
«Lei si è tagliato» disse con affettuosa sollecitudine, scrutandolo attentamente attraverso le lenti.
«Eh, sì!…»
«Poverino…»
Norman non aggiunse nulla. Camminarono insieme sino al cancello che divideva Estery da Morton. Riuscì, da quel punto, a distinguere il muso del drago di cemento posto sulla grondaia di Estery.
«Volevo dirle, ieri sera, quanto ero avvilita, caro Saylor, per la faccenda di Margaret Van Nice. Naturalmente non era il momento adatto. Mi è tanto spiaciuto che avesse tirato in ballo lei. Che disgustosa accusa! Immagino cosa deve aver provato!»
Parve equivocare sulla smorfia con la quale Norman commentò la frase, perché proseguì d’un fiato: «Naturalmente non ho creduto neanche un minuto che lei avesse commesso la minima scorrettezza, ma pensavo che qualcosa dovesse giustificare la storia della ragazza. La raccontava con tale abbondanza di particolari…» La signora Carr studiava con interesse il viso di Norman. I suoi occhi, dietro gli occhiali, parevano quelli di un gufo. «Oggigiorno, professor Saylor, alcune delle ragazze che vengono ad Hempnell sono davvero terribili. Io non riesco a capire dove vadano a prendere quelle odiose idee.»