Выбрать главу

Tansy e lui cantavano a squarciagola St. James Infirmary. E lui pensava: “E perché le donne non dovrebbero essere delle streghe? Posseggono l’istinto, il senso della tradizione, sono irrazionali. E, soprattutto, sono superstiziose. Inoltre, per la maggior parte, come Tansy, non sono mai certe dei loro sortilegi”.

Avevano arrotolato il tappeto e si erano messi a ballare sull’aria di Chloé. Tansy, chissà in quale momento, si era messa la vestaglia rosa.

Norman pensava: “Nella seconda categoria ci metto il drago di Estrey, animato da uno spirito, umano o disumano, introdottovi per sortilegio dalla signora Gunnison e manovrato per mezzo di fotografie. Ci metto anche il coltellino di ossidiana, il vento a comando, l’aggressività omicida del camion.”

Ora che suonavano il Bolero di Ravel, Norman segnava il tempo battendo col pugno.

E proseguiva nel suo ragionamento. “I magnati della finanza giocano in borsa seguendo i consigli delle cartomanti. I cultori di numerologia dirigono la carriera dei divi del cinematografo. Metà del mondo si lascia governare dall’astrologia; la pubblicità usa costantemente riferimenti alla magia, al miracolo e gran parte dell’arte moderna, fra l’altro l’arte surrealista, non è altro che un tentativo di stregoneria con l’aiuto di forme prese a prestito agli stregoni e idee rubate ai teosofi moderni.”

Guardava Tansy che si era messa a cantare St. Louis Blues, con una voce rauca, singhiozzante. Era proprio vero, come Welby aveva sempre sostenuto, che Tansy era un’attrice nata. Sarebbe stata un’ottima cantante.

E d’altra parte ragionava: “Tansy ha fermato il drago di Estrey con i nodi. Ma le sarà difficile rifare qualcosa di simile perché la signora Gunnison le ha rubato il diario contenente le formule e può escogitare altri espedienti per circuirla”.

Stavano bevendo dallo stesso bicchiere un whisky così forte che gli avrebbe bruciato la gola se questa non fosse stata intorpidita, e ne sentiva tutto il cordiale beneficio.

Pensava: “Quel pupazzo col camion è la chiave di una serie di sortilegi. Le carte sono state, all’origine, strumenti di magia, come l’arte. Queste magie mirano alla mia distruzione. La raganella agisce da altoparlante. La cosa invisibile, che mi sta alle spalle, con la voce monotona e le mani pesanti, è un guardiano assegnato alla mia persona e bada aché io non esca dal sentiero del mio destino. La galleria stretta. Ancora due settimane”.

La cosa singolare di questi pensieri stava nel fatto che non erano affatto repellenti. Avevano la loro bellezza, selvaggia, scura, velenosa, avevano un loro scintillìo affascinante e mortale. Possedevano il fascino dell’impossibile, dell’incredibile. Suggerivano paesaggi inverosimili. Anche nella loro forma più paurosa non perdevano nulla della loro agghiacciante, struggente bellezza. Erano come le visioni indotte da una droga proibita. Attiravano la mente come l’ignoto peccato e la suprema bestemmia. Norman capiva ora qual era la forza che costringeva i praticanti di magia nera a correre qualsiasi rischio.

L’alcool gli infondeva sicurezza perché aveva suddiviso la sua mente in infinite particelle, e quelle particene erano immuni dalla paura perché non potevano essere colpite. Così come gli atomi, nel corpo dell’uomo, non vengono annientati dal proiettile che lo uccide.

In quel momento le particelle mentali vorticavano all’impazzata. La lucidità si allontanava.

Tansy era fra le sue braccia e gli sussurrava con voce invitante:

«Tutto ciò che è mio è tuo? Tutto ciò che è tuo è mio?»

La domanda destava sospetto nella sua mente, non capiva perché. Pensava che quelle parole costituissero un tranello. Ma quale tranello? I suoi pensieri procedevano inciampando…

Lei diceva (e parevano quasi parole della Bibbia): «Ho bevuto nella tua coppa e tu hai bevuto nella mia».

Il suo viso era un tremulo ovale, e i suoi occhi due annebbiati gioielli.

«Tutto ciò che hai è mio? Me lo dai senza ritegno e di tua spontanea volontà?»

Un tranello, c’era un tranello nascosto da qualche parte.

«Tutto ciò che è tuo è mio? Dillo, Norman, una volta almeno, per farmi piacere.»

Egli l’adorava, naturalmente, l’amava più di qualsiasi cosa al mondo. Avvicinò il viso di lei al suo, e tentò di baciare quegli occhi annebbiati.

«Sì, sì, tutto…» si sorprese a dire.

Poi la sua mente si afflosciò, sprofondò in un oceano senza fondo, fatto di oscurità, di silenzio e di pace.

12

Il sole batteva sulle persiane chiuse, formando macchie luminose e morbide. Una luce filtrata riempiva la stanza da letto come un liquido ghiacciato e ardente nello stesso tempo. Gli uccelli cinguettavano con aria d’importanza. Norman chiuse di nuovo gli occhi e si stiracchiò pigramente.

Vediamo un po’, era venuto il momento di pensare a scrivere quell’articolo per l’American Anthropologist. Gli rimaneva inoltre da rivedere qualcosa del suo Trattato di Etnologia: certamente aveva ancora tempo, davanti a sé. Ma era meglio mettersi all’opera al più presto. C’era anche da parlare seriamente con Bronstein della sua tesi di laurea. Il ragazzo aveva tante buone idee ma bisognava moderarlo un po’. Infine c’era il suo discorso di fine anno alle madri degli alunni. Tanto valeva dir loro qualcosa di utile.

Gli occhi sempre chiusi assaporavano la più piacevole delle sensazioni: aveva davanti a sé il cumulo di lavoro che un uomo è capace di svolgere con piacere e con competenza, ma al quale non ha bisogno di metter mano subito. Quella per esempio era una giornata in cui giocare a golf. Guai a lasciarla sfuggire. Avrebbe dato un’occhiata a Gunnison, per verificare se faceva progressi. E poi, lui e Tansy non avevano fatto neppure una scampagnata in tutta la primavera. Ne avrebbero parlato insieme a colazione. La prima colazione del sabato era sempre qualcosa di speciale. Probabilmente Tansy la stava preparando in quello stesso momento. Norman pensò che una doccia gli avrebbe stimolato l’appetito. Era tardi?

Aprì un occhio e guardò la sveglia. Dodici e trentacinque? Ma allora a che ora si era coricato quella notte? Che cosa aveva fatto?

Il ricordo dei giorni precedenti si dipanò come un gomitolo e così velocemente che il suo cuore cominciò a martellare. Ma c’era una notevole differenza nei suoi ricordi. Sin dal primo momento gli erano sembrati incredibili e irreali. Aveva l’impressione di leggere la storia molto particolareggiata di un’altra persona, che possedeva un sacco di strane idee sulla stregoneria, il suicidio, la persecuzione, e chissà quant’altro. Questi ricordi non collimavano con il suo attuale senso di benessere. E, cosa ancora più strana, non turbavano affatto il suo stato.

Cercò traccia nella sua mente di una paura soprannaturale, di quell’impressione di essere sorvegliato, spiato, di quell’impulso autolesionista. Non riusciva a scoprire e neanche a suggerire a se stesso la minima traccia di queste sensazioni. Qualsiasi cosa fosse stata, faceva ormai parte del passato, era estranea a ogni suo senso, tranne che alla memoria intellettuale. Spirali di pensieri ostili! Perfino quell’espressione suonava strana. Eppure tutto questo era successo. Qualcosa era successo.

Senz’accorgersene era arrivato sotto la doccia. E mentre si insaponava e l’acqua tiepida gli cadeva sulle spalle, si chiese se non era il caso di parlarne a Holtrom, del reparto psicologia, o a un buon medico psichiatra. Le convulsioni mentali che lo avevano travagliato i giorni scorsi fornivano materiale sufficiente a compilare tutto un trattato. Ma si sentiva quella mattina in uno stato di salute così perfetto che gli era antipatica perfino l’idea di un serio disturbo mentale. No, ciò che era accaduto era soltanto uno dei quegli strani inspiegabili spasmi di irrazionalità che colpiscono la gente più sana, forse proprio perché è così sana. Una specie di sfogo per la morbosità troppo a lungo repressa. Si sentiva di aver turbato Tansy con le sue faccende personali, anche se era stato il suo piccolo complesso di strega, ora felicemente domato, ad avere provocato le confidenze. Poverina, si era data tanto da fare per tirargli su il morale, la sera avanti, mentre avrebbe dovuto essere il contrario. Ebbene Norman avrebbe cercato di farselo perdonare.