«Le prometto» Norman gli disse «che se un giorno sconvolgerò la scienza della sociologia, lei sarà il primo a saperlo. Buona sera» e uscì con un leggero inchino.
Appena giunto a casa tirò fuori il suo codice. “W” era la lettera che contrassegnava il primo foglio. Ne ricordava il significato ma preferì assicurarsene.
W — sortilegio per fare uscire l’anima dal corpo.
Sì, era proprio quello. Si mise a studiare il foglio aggiunto da Carr, con lo svolgimento dei calcoli, e decifrò accuratamente l’equazione finale: C — nastro di rame con intaccature. Annuì. T — attorcigliare da Est a Ovest. Aveva pensato che questo elemento si sarebbe annullato. Per fortuna si era rivolto a un matematico per semplificare le diciassette equazioni, ognuna delle quali rappresentava la formula del sortilegio usato da gente di varie razze per fare uscire l’anima dal corpo: arabi, zulù, polinesiani, americani, indo-americani, negro-americani, ecc. C’erano tutte: le formule più recenti e quelle in uso da molto tempo.
A — Òvolo velenoso. Capperi! Avrebbe scommesso che questo termine si sarebbe annullato. Ci voleva del tempo per scovare il fungo micidiale. Ma forse si poteva fare a meno di quella formula se fosse stato necessario. Prese due altri fogli.
V — sortilegio per dominare l’anima di un’altra persona.
Z — sortilegio per immergere nel sonno gli abitanti di una casa.
Si mise a decifrare uno di essi. In pochi minuti si era assicurato che il reperimento degli ingredienti non offriva particolari difficoltà salvo che la formula del foglio “Z” richiedeva una mano mozza e della terra di cimitero da lanciare sul tetto della casa dove si voleva imporre il sonno. Ma non doveva essere difficile rubare una mano di morto dal laboratorio d’anatomia, e quindi se…
Conscio di un’improvvisa stanchezza e di una repulsione per quelle formule che persistevano ad apparire più ignobili che ridicole, si spinse indietro con la sedia. Per la prima volta da quando era tornato in casa, guardò la figura vicino alla finestra. Sedeva sulla sedia a dondolo, col viso voltato verso le tende abbassate. Quand’era stato che aveva cominciato a dondolarsi? Norman non lo ricordava, ma una volta dato il via, i muscoli del suo corpo proseguivano automaticamente nello slancio ritmico.
Con la fulmineità di uno scoppio, gli venne un desiderio struggente di Tansy, delle sue intonazioni, dei suoi gesti, delle sue moine, delle sue trovate bislacche, di tutte quelle piccole cose che contribuiscono a rendere reale, umana e adorabile una donna. Quelle cose lui le voleva subito, all’istante, e la presenza di quell’imitazione di morta-viva, quella spoglia di Tansy, gli rendeva questo desiderio ancora più crudele. Ma che razza d’uomo egli era mai per gingillarsi con formule di occultismo mentre in quel momento…
“Ci sono cose che si possono fare a un’anima”, aveva detto Tansy. E anche: “Le domestiche dei Gunnison hanno raccontato certe cose…”. Doveva recarsi subito dai Gunnison, bloccare Hulda e obbligarla ad agire.
Si sforzò di calmare la sua ira. Un gesto del genere avrebbe rovinato ogni cosa. Come si fa ad usare apertamente la forza con qualcuno che trattiene in sé, quale ostaggio, la mente, la coscienza stessa della persona amata? No, aveva già valutato questa eventualità e la sua linea di condotta era già decisa, avrebbe combattuto contro quelle donne usando le loro stesse armi. Le formule segrete che tanto gli ripugnavano erano la sua speranza migliore. Era stato castigato per aver commesso il solito errore di guardare quel volto. Deliberatamente sedette dall’altra parte del tavolo, voltando le spalle alla sedia a dondolo.
Ma si sentiva irrequieto, i muscoli gli dolevano per la stanchezza e doveva smettere per un po’ di lavorare.
A un tratto le chiese: «Cos’è secondo te che ha mutato tutti i rapporti in un odio così implacabile e micidiale?»
«L’equilibrio è stato spezzato» rispose.
«Com’è successo?» Istintivamente stava per voltarsi ma si trattenne.
«È accaduto quanto io ho smesso di praticare la magia.» Quel dondolio era di una esasperante monotonia.
«Ma perché questo fatto ha dato luogo a tanto odio?»
«Perché ha spezzato l’equilibrio.»
«Va bene, ma come si può spiegare la repentinità del mutamento, il passare brusco da mosse aggressive piuttosto blande a una malvagità omicida?»
Il dondolio era cessato. Non vi fu alcuna risposta. Ma, come si disse Norman, sapeva già la risposta che quella mente informe dietro di lui stava preparando. Questo conflitto fra streghe, lui lo paragonava alla guerra di trincea, a una battaglia fra due linee fortificate, o a uno stato d’assedio. Nello stesso modo in cui il cemento o le armature di metallo sminuiscono l’azione dei proiettili, così i contro-amuleti, gli anti-sortilegi e i processi protettivi rendevano relativamente futili i più violenti attacchi. Ma una volta spariti, il cemento e le armature, e che la strega avesse rinnegato la stregoneria, essa si trovava in una specie di terra di nessuno e…
Anche il timore di violenti contrattacchi lanciati da posizioni così altamente fortificate, scoraggiava ogni aggressione diretta. L’unica cosa da fare in quelle circostanze era di acquattarsi nell’ombra, attendere senza muoversi, sparare da una posizione coperta ed attaccare il nemico soltanto se esso si fosse imprudentemente scoperto. Inoltre vi doveva essere tutto un freno alla violenza.
Questa idea spiegava forse perché l’atteggiamento di Tansy, con la sua apparenza pacifica, aveva rotto l’equilibrio. Come avrebbe reagito una nazione se nel bel mezzo di una guerra il suo nemico avesse disarmato tutte le sue navi da guerra, demolito gli aerei, mettendosi apparentemente alla sua mercé? Ragionando realisticamente, la risposta poteva essere una sola, cioè che il nemico avesse escogitato un’arma molto più potente delle navi da guerra e degli aerei, e che avrebbe presto proposto un armistizio, il quale si sarebbe poi rivelato un tranello. Quindi l’unica mossa da fare era di colpire immediatamente e fortissimo, prima che l’arma segreta si fosse potuta adoperare.
«Io credo che…» cominciò a dire.
In quel momento, forse un leggero sibilo nell’aria o uno scricchiolio del pavimento sotto la pesante moquette, o una sensazione meno tangibile, lo costrinse a voltarsi.
Con un balzo fulmineo da una parte riuscì, ma riuscì appena, a spostare il capo fuori della traiettoria di ciò che in quel momento gli parve un oggetto metallico. Con un atroce sibilo esso si piantò sullo schienale della poltrona, e la forza del colpo si attuti. Ma la sua spalla che aveva ricevuto il colpo già attutito s’intorpidì immediatamente.
Aggrappandosi al tavolo con il braccio sano si gettò contro il tavolo e ne fece il giro.
Quel che vide lo fece indietreggiare come se avesse ricevuto un altro colpo: cercò appoggio dietro di sé con la mano per non cadere.
Quell’essere inumano era in piedi nel centro della stanza dov’era tornata d’un balzo indietro, come quello d’un gatto, dopo aver fallito il primo colpo. Le gambe erano quasi rigide ma il peso del corpo era portato in avanti. Era senza scarpe, le pantofole che avrebbero fatto rumore erano rimaste accanto alla sedia a dondolo. Brandiva le molle di ferro che aveva preso senza farsi sentire dal loro supporto vicino al camino.
Nel viso c’era ora una certa vitalità. Ma era una vitalità che le faceva stringere la mascella e sbavare, una vitalità che le dilatava le narici ad ogni respiro, che allontanava la ciocca di capelli sugli occhi con gesti rapidi, febbrili, una vitalità che infuocava il suo sguardo.
Con un riso diabolico la figura alzò l’attizzatoio e non colpì Norman, bensì il lampadario che pendeva sul suo capo. L’oscurità invase la stanza che egli aveva chiuso accuratamente con le tende per evitare che si potesse curiosare dall’esterno.