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Arthur C. Clarke

Ombre sulla Luna

1

Il treno monorotaia diminuì di velocità affrontando la salita alla fine dei bassopiani in ombra. Sadler pensava che, ormai, potevano raggiungere la zona illuminata da un momento all’altro. La linea dell’oscurità si muoveva così lentamente, qui, che la si sarebbe potuta seguire senza troppa fatica, in modo da aver sempre il sole in equilibrio sull’orizzonte, finché non ci si fosse fermati per riposare. Ma anche allora il confine luminoso si sarebbe ritratto con tale riluttanza, che sarebbe trascorsa più d’un’ora prima che l’ultimo segmento abbagliante svanisse oltre l’orlo della Luna, e avesse inizio la lunga notte lunare.

In quella notte Sadler aveva attraversato alla media di cinquecento chilometri all’ora le .lande che i pionieri avevano reso accessibili più di duecento anni prima. Oltre all’annoiato inserviente che pareva non avesse altro da fare che preparare il caffè quando glielo chiedevano, nel vagone c’erano solo altre quattro persone, tutti astronomi dell’Osservatorio. Quando lui era salito a bordo, l’avevano salutato con un cenno cortese, poi si erano subito rituffati in una discussione tecnica, ignorando Sadler che all’inizio restò un po’ male nel vedersi messo al bando, ma poi si consolò al pensiero che probabilmente l’avevano preso per un veterano e non supponevano che fosse arrivato allora allora, e per la prima volta, sulla Luna.

Le luci nell’interno della vettura impedivano di vedere la buia superficie su cui il treno correva nel silenzio più assoluto. “Buia”, naturalmente, era una definizione relativa. Infatti, il Sole era scomparso, ma, non lontano dallo zenith, la Terra stava avviandosi verso il primo quarto. Sarebbe aumentata di continuo fino alla mezzanotte lunare, in capo a una settimana, diventando gradatamente un disco abbagliante che sarebbe stato impossibile fissare a occhio nudo.

Sadler si alzò, superò il gruppo degli astronomi sempre immersi nella loro discussione, e si avviò verso il tendaggio che separava il resto della vettura dal salotto situato nella parte anteriore. Non era ancora abituato a pesare solo un sesto del suo peso normale e procedeva con cautela esagerata nello stretto corridoio fra le toilettes e la cabina dei comandi.

Adesso poteva vedere bene. I finestrini non erano grandi quanto gli sarebbe piaciuto, perché misure di sicurezza impedivano che superassero una data grandezza; però non c’erano luci interne che infastidissero, quindi poteva finalmente ammirare in pieno la visione superba di quell’antichissima terra deserta.

Freddo… sì, riusciva benissimo a rendersi conto che al di là dei finestrini c’erano già duecento gradi sotto zero, nonostante che il Sole fosse tramontato da poche ore soltanto. Qualcosa nella luce che si rifletteva dai lontani oceani e dalle nubi della Terra dava questa impressione. Questa luce era sfumata in verde e in azzurro, era una luce artica dalla quale non emanava calore. “Un vero paradosso” pensava Sadler “dal momento che proviene da un mondo caldo e illuminato.”

Davanti alla vettura che continuava a procedere veloce, l’unica rotaia, sostenuta da pilastri disposti a una distanza inquietante l’uno dall’altro, si perdeva a est. Ecco un altro dei paradossi di cui questo mondo abbondava: perché il Sole non tramontava a ovest come sulla Terra? A questa domanda doveva esserci una semplice risposta astronomica che al momento Sadler non riusciva a trovare.

La salita continuava lenta, e a destra un picco limitava la visuale. A sinistra… vediamo un po’, dovrebbe essere il sud, no?… il terreno accidentato terminava in una serie di affioramenti come se un miliardo di anni prima la lava prorompente dal cuore della Luna si fosse solidificata in ondate successive e sempre più lente. Una scena che agghiacciava il sangue, e tuttavia neppure sulla Terra mancavano località tetre come quella. Le Badlands dell’Arizona, per esempio, altrettanto desolate, e i pendii superiori dell’Everest, ancora più ostili, perché qui, almeno, mancava l’eterno vento rabbioso.

D’un tratto, Sadler per poco non mandò un grido: la parete rocciosa sulla destra si era interrotta come se mostruose cesoie l’avessero tagliata di netto, e non toglieva più la visuale, così che lui ora poteva vedere chiaramente verso nord. Lo spontaneo senso artistico della natura era riuscito a produrre un effetto così sorprendente che riusciva difficile convincersi che fosse solo un caso dovuto al tempo e al luogo.

Lontano, stagliati contro il cielo in uno splendore fiammeggiante, si elevavano i picchi degli Appennini, resi incandescenti dagli ultimi raggi del Sole ormai invisibile. Quell’improvvisa esplosione di luce abbagliò Sadler che si portò una mano agli occhi per proteggerli. Quando tornò a guardare, la trasformazione era completa. Le stelle di cui il cielo era pieno fino a un momento prima, erano scomparse: le sue pupille contratte non riuscivano più a scorgerle. Anche la Terra abbacinante adesso aveva assunto una debole luminescenza verdastra. Il bagliore riflesso dalle montagne illuminate dal Sole, lontane centinaia di chilometri, aveva eclissato ogni altra sorgente luminosa.

Le vette parevano fluttuare nel cielo come fantastiche piramidi fiammeggianti, distaccate dal suolo, come le nuvole di un tramonto terrestre. La linea dell’ombra era così netta, i pendii più bassi dei monti così avvolti nell’oscurità assoluta, che spiccavano solo le cime infuocate. Dovevano passare diverse ore prima che l’ultimo di quei picchi superbi ricadesse nell’ombra lunare e si arrendesse alla notte.

Dietro Sadler, la tenda fu scostata, e uno dei suoi compagni di viaggio entrò nel salottino e si sedette accanto a una finestra. Sadler era incerto se attaccare discorso o no. Si sentiva ancora un po’ offeso per essere stato messo da parte. Ma l’altro risolse il problema per lui.

— Vale la pena di venire dalla Terra per vedere questo spettacolo, vero? — disse una voce dall’ombra.

— Certamente — rispose Sadler. Poi, per darsi un po’ di tono, aggiunse: — Però immagino che si finisca con l’abituarcisi.

Dal buio venne una risata.

— Non direi. Ci sono cose a cui non ci si abitua, anche vivendo qui a lungo. Appena arrivato?

— Sì, ieri sera con il “Tycho Brahe”. Non ho ancora avuto tempo di vedere gran che.

Senza volerlo, Sadler stava imitando il modo di parlare conciso del compagno. Chissà se tutti parlavano così sulla Luna. Forse sì, pensando di risparmiare aria.

— Lavorerete all’Osservatorio?

— In un certo senso sì, ma non per sempre. Sono contabile, e devo fare delle analisi sui costi delle vostre operazioni.

Seguì un silenzio pensoso, rotto da un: — Scusatemi… avrei dovuto presentarmi. Sono Robert Molton. Capo della Sezione Spettroscopia. Sarà piacevole avere a portata di mano qualcuno che ci spieghi come riempire la dichiarazione dei redditi.

— Mi aspettavo di sentirlo dire — fece Sadler seccamente. — Io sono Bertrand Sadler, dell’Audit Bureau.

— Uhm. Pensate che quassù sprechiamo i quattrini?

— Starà ad altri dirlo. Io sono qui solo per vedere come li spendete, non perché.

— Allora avrete di che divertirvi. Quassù tutti si danno da fare a spendere il doppio di quello che guadagnano. E sarà molto curioso vedere come farete a mettere il calmiere alle ricerche scientifiche.

Anche Sadler aveva pensato a questo problema, ma giudicò più opportuno non dare altre spiegazioni. La sua storia era stata accettata ovunque senza riserve; se avesse cercato di renderla convincente, avrebbe potuto tradirsi. Non era un abile mentitore, per quanto sperasse di migliorare con la pratica.

Comunque, quello che aveva detto a Molton corrispondeva alla verità, ma lui avrebbe voluto che fosse tutta la verità e non solo una piccolissima parte di essa.

— Mi stavo domandando come faremo ad attraversare quelle montagne — disse, indicando i picchi fiammeggianti. — Li valicheremo o ci passeremo sotto?