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Il gruppo delle grandi cupole cominciò a profilarsi all’orizzonte. Una luce rosea ne illuminava la sommità, ma per il resto erano tutte immerse nelle tenebre e non vi si notava alcun segno di vita. Sadler sapeva che alcune potevano diventare trasparenti, ma adesso erano tutte opache, per preservare il calore interno dai rigori della notte lunare.

La vettura imboccò una lunga galleria alla base di una delle cupole, e Sadler scorse un’infilata di grandi porte che si richiudevano dopo il loro passaggio. “Non vogliono correre rischi” pensò, approvando la precauzione. Intorno si udiva l’inconfondibile rombo dell’aria. Poi si aprì l’ultima porta e il veicolo si fermò con un rollio accanto a una banchina che sembrava quella di una qualunque stazione terrestre. A Sadler fece un certo effetto guardare dal finestrino e vedere gente che andava avanti e indietro senza tuta spaziale.

— Dovete andare in qualche posto particolare? — gli domandò Wagnall mentre aspettavano di scendere.

— No — rispose Sadler scuotendo la testa. — Ho soltanto intenzione di fare un giretto per dare un’occhiata al posto. Sono proprio curioso di vedere come voialtri riuscite a spendere tutti i vostri quattrini.

Wagnall non capì se scherzava o no, e con gran sollievo di Sadler non si offrì di fargli da guida. Era un’occasione, quella, in cui Sadler era ben felice di essere solo.

Uscì dalla stazione e si ritrovò sulla sommità di una larga rampa che scendeva dolcemente nel cuore della piccola città, venti metri più in basso.

Solo quando fu a metà discesa, Sadler si accorse che lo sovrastava un cielo azzurro, che il Sole brillava alle sue spalle e che alti cirri fluttuavano nell’aria.

L’illusione era talmente perfetta che a tutta prima il giovane non dubitò della realtà di quanto vedeva, dimenticando per un attimo che sulla Luna era mezzanotte. Tenne a lungo lo sguardo fisso nelle vertiginose profondità di quel cielo sintetico senza trovare una pecca nella sua perfezione. Capiva, ora, perché le città lunari avevano insistito a volere quelle cupole costose, mentre sarebbero potute benissimo essere tutte sotterranee come l’Osservatorio.

Non c’era rischio di perdersi, a Central City. Tutte le sette cupole connesse tra loro erano formate da strade a cerchio concentrico da cui si dipartivano viali radianti. Tutte, tranne la Cupola 5, principale centro produttivo e industriale che, virtualmente, era un’unica grossissima fabbrica, e che Sadler decise di trascurare.

L’uomo del Central Intelligence vagabondò a casaccio per un poco, andando dove lo spingeva il capriccio. Voleva riuscire ad afferrare “l’atmosfera” della città, dal momento che non poteva umanamente visitarla a fondo nel poco tempo a disposizione. Una cosa lo colpì subito: Central City aveva personalità, carattere. Nessuno può dire perché certe città l’abbiano e altre no, e Sadler fu un po’ stupito che un posto artificiale come quello l’avesse. Ma poi gli venne in mente che tutte le città, sia sulla Terra sia sulla Luna, erano artificiali…

I tre nitidi squilli che parevano di campanello, lo colsero di sorpresa. Si guardò intorno, ma non riuscì a scoprire da dove provenissero. Dapprima gli parve che nessuno facesse caso al segnale, qualunque cosa esso volesse dire. Poi notò che le strade andavano lentamente vuotandosi e che il cielo si faceva più oscuro.

Le nuvole avevano coperto il Sole, nere e minacciose, con gli orli frangiati di fiamma. Una volta di più Sadler si stupì per l’abilità con cui le immagini — altro non potevano essere — venivano proiettate sulla cupola. Un temporale vero non sarebbe potuto essere più realistico; e quando il primo rombo rotolò in cielo, Sadler si affrettò a cercare un riparo. Anche se le strade non si fossero già vuotate, era chiarissimo che gli organizzatori della bufera non avrebbero trascurato alcun particolare.

Il piccolo caffè nel quale entrò era affollato di altri passanti. Caddero le prime gocce, e la prima lingua di un lampo lambì il cielo. Tutte le volte che vedeva un lampo, Sadler non poteva fare a meno di contare i secondi finché non scoppiava il tuono. Il rombo giunse quando era arrivato a “sei”, indizio, questo, che la scarica elettrica era avvenuta a circa due chilometri di distanza. La si sarebbe dunque dovuta localizzare fuori della cupola, nel vuoto dello spazio… Be’, qualche licenza artistica andava pur concessa, e non stava bene fare i pignoli su particolari del genere!

Voltandosi al vicino che osservava il temporale con palese ammirazione, Sadler disse: — Scusatemi, ma succede spesso?

— Circa due volte al giorno… parlo di giorni lunari, beninteso — fu la risposta. — E viene sempre preannunciato con qualche ora d’anticipo, perché non intralci le nostre attività.

— Non per essere curioso — continuò Sadler, convinto invece di esserlo — ma mi stupisce che vi prendiate tanto disturbo. Questo realismo è proprio necessario?

— Forse no… ma ci piace. Non dimenticate che occorre un po’ di pioggia per levare la polvere e mantenere la pulizia. Così abbiamo provato e l’abbiamo fabbricata a puntino.

Se Sadler nutriva ancora qualche dubbio in proposito, quei dubbi vennero dissipati quando un doppio arcobaleno trionfante si inarcò sulle nuvole. Le ultime gocce caddero sul marciapiede, e il tuono si smorzò in distanza con un brontolio sordo. Lo spettacolo era finito, e le strade ancora bagnate di Central City tornarono a riempirsi di vita.

Sadler si fermò a mangiare nel caffè e dopo qualche difficoltosa contrattazione riuscì a cambiare un po’ di valuta terrestre poco al di sotto della quotazione ufficiale. Con una certa sorpresa, trovò che il cibo era eccellente. Doveva, beninteso, trattarsi di roba sintetica o cresciuta nei serbatoi di clorella, però era preparata e servita con grande abilità. Sulla Terra, pensava Sadler, il cibo era una cosa talmente naturale che era impossibile prestargli l’attenzione che si meritava. Qui invece non si poteva far conto sulla natura, e lo si doveva fabbricare briciola per briciola, ragione per cui, dal momento che lo si doveva creare, c’era chi badava affinché fosse fatto nel miglior modo possibile. Proprio come il tempo…

Ma era ora di muoversi. L’ultima levata della posta per la Terra sarebbe avvenuta fra due ore, e se non avesse fatto in tempo, Jeanette non avrebbe ricevuto la sua lettera prima di una settimana terrestre. Ed era già abbastanza in pena.

Si tolse di tasca la lettera aperta e la rilesse per vedere se aveva bisogno di un ritocco finale.

«Mia carissima Jeanette,

vorrei poterti dire dove mi trovo, ma non posso. Contro la mia volontà, sono stato scelto per un incarico speciale e ho dovuto far buon viso a cattivo gioco. Sto bene e, per quanto non possa mantenermi in contatto diretto con te, ti assicuro che potrò ricevere entro breve tempo le lettere che tu indirizzerai alla Cassetta N. 1.

«Mi è immensamente dispiaciuto essere via il giorno del nostro anniversario, ma non ci potevo fare proprio niente. Spero che il regalo ti sia giunto sano e salvo… e che ti sia piaciuto.

«Senti la mia mancanza? Quanto vorrei poter tornare a casa! So che quando sono partito, eri addolorata e sconvolta, ma devi credermi, e capire che non potevo metterti al corrente degli avvenimenti. Certo capisci quanto desideri anch’io Jonathan Peter. Ti prego di avere fiducia in me e di non pensare che sia stato per egoismo o perché non ti amo, che ho agito così. Ho delle ottime ragioni, che ti spiegherò poi, un giorno.

«Soprattutto non preoccuparti e non essere impaziente. Sai che tornerò non appena mi sarà possibile. E ti prometto una cosa: quando sarò tornato a casa, andremo avanti… Vorrei solo poter essere sicuro che questo avverrà prestissimo!