Ciononostante, mezz’ora dopo aver iniziato l’ascesa, Wheeler ansimava come un mantice, e la finestrella del suo casco era talmente offuscata dal vapore acqueo che il giovane doveva sbirciare dai lati per poter vedere. Sebbene fosse troppo cocciuto per proporre di rallentare l’andatura, fu tuttavia contento quando Jamieson disse di fermarsi.
Sovrastavano ormai di un buon chilometro la pianura, e la loro vista poteva spaziare per una cinquantina di chilometri in direzione nord.
Bastò loro un momento per trovare quello che cercavano. A metà strada verso l’orizzonte, due enormi astronavi da trasporto se ne stavano acquattate sui loro supporti come ragni giganteschi. Per quanto grandi fossero, parevano nani accanto alla singolare costruzione a forma di cupola che spuntava dal fondo della pianura. Non si trattava di una delle solite cupole a pressione, e pareva che tutte le sue proporzioni fossero sbagliate. Aveva l’aspetto di una sfera completa, immersa per una piccola parte nella sabbia, in modo che ne restavano visibili tre quarti. Col binocolo speciale grazie al quale si poteva vedere bene nonostante il casco, Wheeler riuscì a distinguere uomini e macchine in movimento intorno alla base della cupola. Di tanto in tanto nubi di polvere salivano al cielo per poi ricadere, come se laggiù stessero facendo esplodere qualcosa. “Ecco un’altra cosa strana sulla Luna” pensò il giovane. “Quasi tutti gli oggetti cadono troppo lentamente in questo campo gravitazionale, ma la polvere cade troppo in fretta, anche se poi la velocità è proporzionalmente la stessa, perché non c’è aria che ne ostacoli la discesa.”
— Ecco — commentò Jamieson dopo aver guardato anche lui a lungo col binocolo. — Qualcuno sta spendendo un sacco di quattrini, laggiù.
— Cosa credi che sia? Una miniera?
— Può darsi — rispose l’altro con la sua solita cautela. — Forse hanno deciso di esaminare i minerali giacenti in quel posto e l’impianto di estrazione si trova sotto la cupola. Ma è solo una ipotesi.
— Possiamo arrivare là in meno di un’ora. Di’, ci andiamo a dare un’occhiata più da vicino?
— Temevo proprio di sentirtelo dire. Non mi pare che sia una cosa saggia. Potrebbero non lasciarci più andar via.
— Hai letto troppi libri gialli. Si direbbe che siamo in guerra e noi due siamo una coppia di spie. Non ci possono trattenere. All’Osservatorio sanno dove siamo. Se non tornassimo il direttore farebbe fuoco e fiamme.
— Ho idea che farà fuoco e fiamme comunque, quando torneremo. Quindi, tanto vale rischiare. Vieni, la discesa è più facile.
— E chi ha detto che la salita fosse più difficile? — protestò Wheeler, senza eccessiva convinzione. Pochi istanti dopo, mentre seguiva Jamieson giù per il pendio, verso il punto dove avevano lasciato il trattore, lo colpì un pensiero inquietante.
— Non credi che quelli ci stiano ascoltando? Immagina che qualcuno abbia inserito una stazione di sorveglianza sulla nostra frequenza… e che qualcuno abbia sentito quello che abbiamo detto. In fin dei conti ci troviamo in linea retta rispetto a loro.
— Chi esagera, adesso? Nessuno, oltre all’Osservatorio, sta in ascolto su questa frequenza, e i nostri non ci possono sentire, con tutte le montagne di mezzo. A sentirti parlare così si direbbe che hai la coscienza sporca.
Era una velata allusione, questa, a uno spiacevole incidente accaduto poco dopo l’arrivo di Wheeler. Da allora, l’astronomo non aveva più dimenticato di stare attento a come parlava, perché se sulla Terra le conversazioni a tu per tu sono una faccenda privata, non lo sono altrettanto sulla Luna quando si indossa la tuta spaziale, perché in questo caso chiunque possa captare la trasmissione l’ascolterà fin nei minimi particolari.
Man mano che scendevano verso la pianura, l’orizzonte si restringeva davanti a loro, ma loro avevano già preso accurati rilievi e sapevano dove dirigersi, una volta tornati a bordo di Ferdinando. Quando ripartirono, Jamieson guidò con estrema cautela perché non aveva mai percorso quel tragitto. Ci vollero quasi due ore prima che l’enigmatica cupola cominciasse a stagliarsi contro il cielo, affiancata poco più innanzi dai cilindri appiattiti delle astronavi da trasporto.
Poi Wheeler tornò a dirigere l’antenna del trattore verso la Terra e chiamò l’Osservatorio per spiegare quello che avevano scoperto e quello che intendevano fare. Troncò la comunicazione prima che qualcuno avesse il tempo di dirgli di non farlo, riflettendo a quanto fosse pazzesco il fatto di dover mandare un messaggio a ottocentomila chilometri di distanza per poter parlare con qualcuno lontano solo cento.
Ma non c’era altro modo per ottenere una comunicazione a distanza sul livello del suolo: tutto ciò che si trovava oltre l’orizzonte veniva bloccato dalla Luna che funzionava come uno schermo. Talvolta, è vero, servendosi delle onde lunghe era possibile inviare segnalazioni a grande distanza, col sistema di rifletterle dalla tenue ionosfera della Luna, ma non ci si poteva fidare che questo metodo funzionasse sempre. Per ogni uso pratico, il contatto radio lunare doveva aver luogo sulla base della “linea visiva”.
Fu alquanto divertente notare il movimento provocato dal loro arrivo. A Wheeler pareva d’essere in un formicaio stuzzicato con un bastoncino. In pochi istanti si trovarono circondati da trattori, altri veicoli e uomini eccitati in tuta, che li attorniarono così da vicino da obbligare Ferdinando a fermarsi.
— Da un momento all’altro chiameranno le guardie — disse Wheeler.
— Non dovresti scherzare così — lo rimproverò Jamieson. — Potrebbe accadere sul serio, sai?
— Ecco il comitato di ricevimento. Leggi che cos’ha scritto sull’elmetto? S Due, no? Dev’essere “sezione”.
— Sì, ma potrebbe anche essere “sicurezza”…
In quella si udirono dei colpi perentori sulla parte esterna della porta stagna. Jamieson premette il pulsante che l’apriva, e un momento dopo il “comitato di ricevimento”, entrato in cabina, si toglieva l’elmetto. Era un uomo coi capelli brizzolati, i lineamenti duri, un’espressione preoccupata che sembrava intimamente connessa con il suo carattere. Non aveva affatto l’aria di essere lieto di vederli.
Guardò i due giovani pensosamente, mentre loro sfoderavano il sorriso più cordiale.
— Di solito non abbiamo visite da questi queste parti — disse. — Come mai siete capitati qui?
— È la nostra giornata di libertà — rispose Wheeler. — Lavoriamo all’Osservatorio. Questo è il signor Jamieson, io sono Wheeler. Tutti e due astrofisici. Sapevamo che vi trovavate da queste parti e abbiamo deciso di venire a dare un’occhiata.
— Come facevate a saperlo? — ribatté bruscamente l’altro. Non si era presentato, e se una cosa simile sulla Terra sarebbe parsa maleducata, sulla Luna era addirittura urtante.
— Come forse sapete — spiegò Wheeler conciliante — su all’Osservatorio abbiamo un paio di telescopi potentissimi, e voi ci avete dato un sacco di fastidio. Il bagliore provocato da un razzo, per esempio, mi ha rovinato due spettrogrammi. Vi sembra quindi tanto inspiegabile la nostra visita?
Un lieve sorriso addolcì per un attimo l’espressione dello sconosciuto e subito sparì. Però l’atmosfera sembrò un poco alleggerita.
— Forse è meglio che veniate in ufficio con me, mentre facciamo qualche controllo.
I due astronomi s’infilarono le tute e seguirono la loro guida fuori dalla porta stagna. Nonostante l’aggressività che gli derivava dal sentirsi innocente, Wheeler cominciava a essere un po’ preoccupato. Prevedeva già ogni sorta di spiacevoli conseguenze, e per tutta consolazione gli tornava alla mente tutto quello che aveva letto a proposito di spie, segregazione, muri di mattoni all’alba…
Furono condotti davanti a una porta nascosta nella curva dell’enorme cupola, e una volta entrati si ritrovarono davanti a un secondo muro sferico, concentrico al primo. I due involucri erano divisi da un complesso reticolato di materia plastica, di cui era formato anche il pavimento. Tutto questo parve molto strano a Wheeler, ma non ebbe il tempo di esaminare né pareti né pavimento: la loro guida silenziosa li precedeva di buon passo, come se volesse evitare di proposito che vedessero quello che li circondava. Entrarono nella cupola interna attraverso una seconda porta stagna e si tolsero le tute. Wheeler si chiese quando gli avrebbero dato il permesso di tornare a indossarle. La lunghezza del compartimento stagno stava a indicare che la cupola interna era di spessore enorme, e allorché la porta che immetteva nel suo interno si aprì, i due astronomi percepirono un odore noto: odore di ozono, che indicava non lontana la presenza di un impianto elettrico ad alto voltaggio. Questo particolare non aveva in sé niente di notevole, però era anch’esso da notare, in previsione di dover riferire quanto avevano visto.