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Il compartimento stagno si apriva su di un piccolo corridoio fiancheggiato da porte su cui erano stampati dei numeri e spiccavano targhette recanti scritte come: Privato — Solo Personale Tecnico — Informazioni — Energia di Emergenza — Controllo Centrale. Né Wheeler né Jamieson erano in grado di trarre molte deduzioni da queste notizie, ma si guardarono pensosi quando si fermarono finalmente davanti a una porta su cui era scritto: Sicurezza.

L’espressione di Jamieson significava: «Te lo avevo detto!».

Dopo una breve pausa, un «Avanti!» luminoso brillò sul pannello e la porta si aprì automaticamente. Al di là c’era un comunissimo ufficio dominato da un uomo dal piglio deciso che sedeva davanti a una scrivania enorme, le cui dimensioni proclamavano ai quattro venti che lì non si badava a spese. Gli astronomi fecero un amaro confronto con l’arredamento dei loro uffici. Una telescrivente di tipo insolitamente complesso era posata su un tavolo in un angolo, mentre per il resto le pareti erano ricoperte da schedari.

— Allora? — disse il funzionario della Sicurezza. — Chi sono questi due?

— Due astronomi dell’Osservatorio di Platone. Sono capitati qui con un trattore e ho pensato che vi sarebbe piaciuto vederli.

— Certo! Come vi chiamate?

Seguì un noioso quarto d’ora durante il quale i loro dati vennero accuratamente trascritti e l’Osservato rio fu chiamato per radio. “Il che” pensò Wheeler “significa che la frittata è fatta.” I loro amici del reparto Segnalazioni che avevano tracciato tutto il tragitto in previsione di qualche incidente avrebbero dovuto fare un rapporto ufficiale sulla loro assenza.

Quando, alla fine, la loro identità fu stabilita, l’uomo seduto all’imponente scrivania li guardò perplesso. Poi il suo cipiglio si spianò, e lui disse: — Vi renderete certo conto che qui siete d’impiccio. Non ci aspettavamo visite, altrimenti avremmo messo dei cartelli per vietare l’accesso. Inutile dire che abbiamo i mezzi per scoprire qualunque tentativo clandestino d’ingresso, posto che ci sia qualcuno così poco intelligente da non venire qui apertamente come avete fatto voi. Comunque, siete qui e mi pare che non sia successo niente di male. Avrete già indovinato che questo è un progetto governativo, e per ora non vogliamo che se ne parli minimamente. Vi rimandiamo all’Osservatorio ma esigo due cose da voi.

— E cioè? — fece Jamieson, sospettoso.

— Voglio che mi promettiate di non parlare più del necessario di questa visita. I vostri amici sapranno dove vi siete recati, ragion per cui non potrete tenerlo segreto; però non dovrete starne a discutere con loro. Ecco tutto.

— D’accordo — convenne Jamieson. — E la seconda?

— Se qualcuno dovesse insistere a farvi domande e a mostrare un particolare interesse nei riguardi di questa avventura, riferitemelo subito. Questo è tutto. Spero che farete un buon viaggio.

Cinque minuti dopo, tornati sul trattore, Wheeler ribolliva ancora d’ira:

— Accidenti a lui e alle sue arie! Non ci ha neppure offerto da fumare.

— Io penso che siamo stati fortunati a cavarcela così facilmente — obiettò Jamieson in tono conciliante. — Deve trattarsi di un progetto di grande importanza…

— Non mi piacciono le storie di quel genere. Ti è parso che fosse una miniera, quella? E perché mai dovrebbero scavare una miniera in un cratere sterile?

— Io sono convinto che si tratti proprio di una miniera. Mentre stavamo arrivando ho visto qualcosa che somigliava molto a una perforatrice, al di là della cupola. Ma non riesco a conciliare tutto questo con quella cretineria di segreti e misteri.

— A meno che non abbiano scoperto qualcosa che vogliono tenere nascosto alla Federazione.

— In tal caso neppure noi riusciremo a scoprire di che si tratta, ragione per cui sarà meglio che la smettiamo di scervellarci. Ma per tornare ad argomenti d’ordine pratico, da qui dove andiamo?

— Continuiamo a seguire il nostro progetto originale. Potrebbe passare molto tempo prima che si abbia ancora l’occasione di servirci di Ferdinando, e quindi è meglio sfruttare il momento. Inoltre è sempre stato uno dei miei desideri vedere da vicino il Sinus Iridum.

— Ma si trova a trecento chilometri buoni a est di qui!

— Sì, però tu hai detto che il percorso è pianeggiante: se evitiamo le montagne, ce la potremo fare in cinque ore. Sono anch’io un buon conducente e potrò darti il cambio, se vorrai riposarti.

— No, finché saremo su un tratto mai percorso… sarebbe troppo rischioso. Ma possiamo scendere a un compromesso. Io guiderò fino al Promontorio Laplace, così potrai dare un’occhiata alla baia. Dopo guiderai tu fino a casa, seguendo la traccia segnata da me. E ricordati che dovrai seguirla con la massima precisione, mi raccomando.

Wheeler accettò volentieri. Aveva temuto che Jamieson volesse rinunciare alla gita per tornare direttamente all’Osservatorio, ma dovette ammettere di aver giudicato male il compagno.

Nelle tre ore che seguirono, zigzagarono lungo le pendici dei Monti Teneriffe, poi attraversarono la pianura fino a Straight Range, la solitaria catena montuosa che pareva una debole copia delle Alpi. Jamieson era attentissimo alla guida, ora che si trovava in una zona sconosciuta: non voleva correre rischi. Di tanto in tanto indicava all’amico dei punti famosi, che Wheeler controllava sulla carta topografica.

Si fermarono a mangiare a una decina di chilometri a est di Straight Range, esaminando il contenuto delle scatole fornite dalla cucina dell’Osservatorio. Un angolo del trattore era stipato di provviste, come una piccola dispensa, ma i due giovani non avevano intenzione di approfittarne troppo. Né Wheeler né Jamieson erano abbastanza bravi cuochi per divertirsi a organizzare un pranzo, e quel giorno, in fin dei conti, erano in vacanza.

— Sid — disse a un tratto Wheeler tra un boccone e l’altro — che ne pensi della Federazione? Ne hai conosciuti più membri di me…

— Sì, e mi hanno fatto un’ottima impressione. Peccato che tu sia arrivato dopo la partenza dell’ultimo gruppo. All’Osservatorio ce n’erano una dozzina venuti per il montaggio del telescopio. Hanno intenzione di montarne uno da un metro e quindici su una delle lune di Saturno.

— Ottimo progetto. Ho sempre detto che qui siamo troppo vicini al Sole. Lassù non avranno la luce zodiacale e tutte le altre specie di pulviscolo astrale che disturbano nei pianeti interni. Ma tornando al discorso di prima: ti è parso che avessero voglia di mettersi a litigare con la Terra?

— Difficile dirlo. Erano molto aperti e cordiali con noi, ma forse il fatto di trovarsi tutti fra scienziati contribuiva molto a questo. Se fossero stati politicanti o statali, le cose magari sarebbero andate diversamente.

— Ma anche noi siamo statali, in fondo! Quel tale… quel Sadler, me l’ha ricordato non più tardi dell’altro giorno.

— Siamo però almeno statali scientifici, il che è diverso. Ti assicuro che se ne infischiavano della Terra anche se erano troppo preoccupati per dirlo. Certo, sono seccati per via dell’assegnazione dei metalli, perché li ho sentiti lamentarsi più volte in proposito. Insistono soprattutto sul fatto che loro incontrano molte più difficoltà di noi nello stabilirsi sui pianeti esterni e che la Terra spreca metà delle materie che adopera.