— Cosa volete dire?
— Può aver fatto propaganda per loro. Forse senza saperlo, ma possono averlo indotto a dire cose che volevano farci sentire. Quella faccenda delle incursioni, per esempio, forse gliel’hanno fatta dire per spaventarci.
— È un’idea interessante. Che ne pensate, Sadler? Siete l’ultimo a essere arrivato dalla Terra.
Questo attacco diretto colse Sadler di sorpresa, tuttavia lui ebbe la destrezza di respingerlo.
— Non credo che la Terra si lasci spaventare per così poco. Il punto che invece mi ha maggiormente colpito è l’allusione alle riserve lunari. Si direbbe che stiano circolando voci in proposito.
Questa indiscrezione era stata lanciata a bella posta da Sadler. In fondo, poi, non era tanto indiscreto, in quanto non c’era nessuno all’Osservatorio che non sapesse, primo che Jamieson e Wheeler si erano imbattuti in una impresa governativa di tipo insolito nel Mare Imbrium, e secondo che avevano avuto l’ordine di non parlarne. Sadler era molto ansioso di vedere come l’avrebbero presa.
Jamieson assunse un’aria di falsa innocenza, ma Wheeler non esitò ad abboccare all’amo.
— Che vi aspettate? — domandò. — Metà Luna deve aver visto quelle astronavi scendere nel Mare. E devono esserci centinaia di operai, laggiù. Non possono essere venuti tutti dalla Terra, e poi andranno a Central City e racconteranno alla loro ragazza tutto quello che sanno, quando avranno bevuto un bicchierino di troppe.
“Come hai ragione!” pensò Sadler. “E che grattacapo è mai questo piccolo problema, per il Dipartimento della sicurezza!”
— Comunque — proseguì Wheeler — io sono di larghe vedute. Facciano pure quello che vogliono, laggiù, purché non disturbino il mio lavoro. Visto dal di fuori non ci si capisce niente, salvo che costa un sacco di soldi al povero contribuente.
Si udì il tossicchiare nervoso di un ometto timido del reparto Strumenti, reparto dove quella mattina stessa Sadler aveva passato due noiosissime ore a guardare nei telescopi a raggi cosmici, a esaminare magnetometri, sismografi, orologi a risonanza molecolare, e batterie d’altri congegni che certo erano capaci di condensare informazioni più rapidamente di quanto non si facesse in tempo ad analizzarne.
— Non so se a voi abbiano dato fastidio, so che a me ne hanno dato moltissimo.
— Che cosa volete dire? — chiese qualcuno.
— Mezz’ora fa ho esaminato le misurazioni delle forze dei campi magnetici. Solitamente sono costanti, salvo quando c’è una tempesta nella zona. Ma in quel momento stava succedendo qualcosa d’insolito. Il campo continuava ad aumentare e diminuire, non molto, solo di qualche microgauss, e sono sicuro che la causa fosse artificiale. Ho controllato tutto il macchinario dell’Osservatorio, e tutti mi hanno giurato di non aver usato magneti. Mi chiedevo se ne fossero responsabili quei misteriosi tipi del Mare, e tanto per non sbagliare ho continuato il controllo. Ma non ho scoperto niente finché non sono arrivato ai sismografi. Ne abbiamo uno telemetrico, laggiù accanto alla parete meridionale del cratere, sapete, e l’ho trovato tutto sottosopra. Alcune delle indicazioni parevano dovute a sussulti causati da esplosioni… me ne intendo perché sono simili a quelli rilevati all’epoca degli scoppi di Igino e delle altre miniere. Ma c’erano anche altri segni strani, sincronizzati con gli impulsi magnetici. Tenendo in considerazione il lasso di tempo dovuto alla propagazione attraverso la roccia, la distanza concorda. Non c’è dubbio circa il punto di provenienza.
— Davvero interessante — commentò Jamieson. — Ma a quale conclusione porta?
— È un fatto che si può interpretare in più d’un modo. Secondo me, però, laggiù nel Mare Imbrium qualcuno sta generando un campo magnetico colossale con impulsi di circa un secondo alla volta.
— E i terremoti?
— Non sono che un sottoprodotto. Ci sono moltissime rocce magnetiche, da queste parti, e credo che facciano dei gran sobbalzi quando il campo entra in azione. Voi probabilmente non vi accorgereste del moto tellurico neppure se foste nel punto dove ha origine, ma i nostri sismografi sono talmente sensibili che riescono a localizzare una meteora che cade a venti chilometri di distanza.
Sadler ascoltò con vivissimo interesse le conclusioni tecniche. Con tante menti acute che si arrovellavano, era inevitabile che qualcuno intuisse la verità, e inevitabile che altri la scoprissero con le loro teorie. Ma questo non aveva importanza, quel che più gli importava era scoprire se qualcuno mostrava eccessiva competenza o curiosità in materia.
Ma nessuno dimostrò l’una o l’altra, e così Sadler rimase con le sue tre scoraggianti ipotesi: il signor X era troppo intelligente per lui; il signor X non era all’Osservatorio; il signor X non esisteva.
11
La Nova Draconis cominciava a svanire; ormai non superava più in luminosità gli altri soli della galassia. Tuttavia, nel cielo della Terra era ancora più brillante di Venere al suo massimo splendore, e potevano passare altri mille anni prima che gli uomini ne vedessero un’altra simile.
Brillava con pari intensità su Mercurio infuocato e sui ghiacciai di acido nitrico di Plutone. E sebbene fosse solo un fenomeno temporaneo, aveva distolto per un attimo le menti degli uomini dalle loro faccende costringendoli a pensare alle realtà sovrumane.
Ma non per molto. Ora la vivida luce violetta della più grande nova della storia illuminava pianeti che, cessato di lanciarsi minacce, si preparavano all’azione.
Né la Terra né la Federazione erano state sincere coi loro sudditi. Chiusi nei loro laboratori segreti, gli uomini avevano trasformato in armi mortali le scoperte cui erano giunti ognuno per conto proprio. Era inevitabile che le armi da essi create sarebbero state simili, poiché identica era la tecnica fondamentale.
Ma ciascuna parte aveva i suoi agenti di spionaggio e di controspionaggio, e ciascuna, quindi, sapeva almeno approssimativamente quali armi stesse fabbricando l’altra. Ci sarebbero potute essere, certo, delle sorprese, e qualcuna anche decisiva, ma nel complesso, gli antagonisti si bilanciavano.
La Federazione aveva, sotto un certo aspetto, un grande vantaggio: poteva tenere segrete le proprie attività, ricerche e prove, relegandole sulle lune e sugli asteroidi sparsi nel vuoto. La Terra, invece, non poteva lanciare un’astronave senza che entro pochi minuti Marte e Venere lo venissero a sapere.
L’incertezza più tormentosa che affliggeva entrambe le parti era causata dall’inabilità dei propri Servizi Segreti. Se fosse scoppiata una guerra sarebbe stata una guerra da dilettanti. Un servizio segreto richiede una lunga tradizione, anche se non si tratta di una tradizione onorevole. Non ci si può improvvisare spia in quattro e quattr’otto, e nessuno più di Sadler se ne rendeva conto. Talora si domandava se i suoi sconosciuti colleghi, sparsi in tutto il Sistema Solare, si sentivano avviliti come lui. Da quando era arrivato sulla Luna non aveva mai parlato — per quanto gli era dato di sapere — con un altro membro del Servizio Segreto. Tutti i suoi contatti con il Central Intelligence erano stati impersonali e indiretti. Pensava spesso al suo prossimo incontro con un collega, incontro precombinato da settimane. Sebbene fosse convinto che non avrebbe approdato a niente d’importante, tuttavia sapeva che avrebbe giovato molto al suo morale così in ribasso.
Sadler aveva ormai, se non altro, la soddisfazione di essersi familiarizzato, in linea generale, sia con i particolari tecnici sia con quelli amministrativi dell’Osservatorio. Aveva guardato, a rispettosa distanza, nel cuore infuocato della micropila che costituiva la principale fonte di energia dell’Osservatorio, aveva visto gli enormi specchi dei generatori solari in paziente attesa del levarsi del Sole. Erano fuori uso da anni, ma era piacevole sapere che in caso di necessità si trovavano lì, pronti a sfruttare le illimitate energie del Sole.