— Sopra — rispose Molton. — Fanno un grande effetto, ma non sono poi altissimi. Aspettate di vedere i monti Leibnitz o la Catena Oberthe. Sono il doppio di questi.
“Per cominciare, anche questi bastano” pensò Sadler. Il lungo vagone del treno monorotaia attraversava la zona d’ombra in lento, ma continuo declivio. Nell’oscurità circostante si distinguevano appena i dirupi e i pendii che passavano con velocità vertiginosa per poi sparire. Sadler capiva che in nessun altro posto si sarebbe potuta raggiungere senza pericolo una simile velocità con un veicolo terrestre, e nessun reattore, volando sulle nubi intorno alla Terra, dava un’impressione di velocità come quel treno.
Se fosse stato giorno, Sadler avrebbe potuto vedere i prodigi tecnici che avevano permesso la realizzazione di quella linea lungo i pendii degli Appennini. Ma le tenebre celavano i ponti vertiginosi e le curve rasenti i burroni, e lui poteva vedere solo i monti che andavano avvicinandosi, ancora magicamente naviganti sopra il mare della notte.
D’un tratto, all’estremo oriente, un arco luminoso spuntò oltre l’orizzonte. Erano usciti dall’ombra, avevano raggiunto le montagna risplendenti. Avevano raggiunto la zona illuminata. Sadler distolse lo sguardo dal bagliore che si era riversato nella cabina, e per la prima volta vide in faccia l’uomo che gli sedeva a fianco.
Il dottor (o era professore?) Molton era sulla cinquantina, ma aveva ancora i capelli neri e folti. La sua era una faccia brutta ma attraente, di quelle che ispirano fiducia a prima vista. La faccia di un filosofo bonario, comprensivo, del moderno Socrate, abbastanza distaccato dal mondo per dare saggi consigli, e tuttavia non alieno dai contatti umani. “Un cuore d’oro sotto una scorza ruvida” pensò Sadler.
Gli occhi dei due uomini si scambiarono uno sguardo di mutua approvazione. Poi Molton sorrise, e la sua faccia si corrugò, increspandosi come il paesaggio circostante.
— È la vostra prima alba sulla Luna. Se si può chiamarla alba. Peccato che duri solo dieci minuti, cioè fin quando saremo sulla cima, perché poi torneremo a sprofondare nella notte. Dopo, dovrete aspettare un paio di settimane prima di rivedere ancora il Sole.
— Non è un po’… noioso doversene stare al buio per quattordici giorni? — domandò Sadler, dandosi immediatamente dello sciocco.
Molton spiegò gentilmente: — Vedete, sottoterra, giorno o notte fa lo stesso. Però si può uscire tutte le volte che se ne ha voglia. Certi preferiscono quando è notte, perché il chiaro di Terra rende più romantici.
La monorotaia aveva ormai raggiunto l’apice della sua traiettoria attraverso le montagne, e i due viaggiatori smisero di parlare mentre i picchi che li affiancavano raggiungevano il culmine e poi cominciavano a digradare dietro di loro. Avevano valicato la barriera, e stavano iniziando la discesa dei precipitosi pendii che sovrastavano il Mare Imbrium. Mentre scendevano, il Sole, che la velocità del treno aveva salvato dalla notte, digradò da un arco a un filo, da un filo a un puntino di fuoco, e infine si spense. All’ultimo istante di quel falso tramonto, qualche secondo prima di precipitare ancora nell’ombra della Luna, ci fu un momento fantastico che Sadler non avrebbe dimenticato mai più. Procedevano su una cresta da cui il Sole si era già ritirato, ma la rotaia sollevata di un metro scarso sopra il livello del suolo riceveva ancora gli ultimi raggi, così che pareva di correre su un nastro di luce sospeso nel vuoto, su un filamento di fiamme che la stregoneria, più che la tecnica umana, sembrava aver creato. Poi caddero le tenebre, complete, e la magia finì. Le stelle ripresero il loro posto nel cielo, e gli occhi di Sadler tornarono ad abituarsi alla notte.
— Siete stato fortunato — osservò Molton. — Ho fatto questo percorso un centinaio di volte, ma non avevo mai visto questo spettacolo. Meglio tornare di là… tra poco serviranno uno spuntino. Tanto, non c’è altro da vedere.
Quanto a questo, Sadler aveva i suoi dubbi. Il chiarore abbagliante della Terra risorta in tutto il suo splendore, ora che il Sole non c’era più, inondava tutta l’immensa piana che gli antichi astronomi aveva battezzato, con scarsa precisione, Mare delle Piogge. In confronto alle montagne che si erano lasciati alle spalle, lo spettacolo non era un gran che, tuttavia era sempre tale da mozzare il fiato.
— Aspettate ancora un momento — disse Sadler. — Non dimenticate che tutto è nuovo per me, e io non voglio perdere niente.
— Non posso darvi torto — ribatté Molton, con un sorriso bonario.
La monorotaia stava ora scendendo un lungo pendio talmente inclinato che percorrerlo a quella velocità sulla Terra sarebbe equivalso a un suicidio. La fredda pianura illuminata dalla luce verdognola pareva salire loro incontro; una catena di basse collinette, in confronto alle montagne che 6i erano lasciati alle spalle, limitava la visuale. E poi, ancora una volta, l’orizzonte così spiacevolmente vicino di quel piccolo mondo li richiuse.
Sadler seguì Molton nell’interno del vagone dove l’inserviente stava preparando i vassoi per la piccola comitiva.
— Ci sono sempre così pochi passeggeri? — s’informò Sadler. — Mi pare un’attività molto poco economica!
— Dipende da quello che s’intende per economico — ribatté Molton. — Molte cose vi sembreranno strane, nel nostro bilancio. Ma tenere in attività questa linea non costa molto. Basta pensare che il materiale durerà per sempre. Niente ruggine, niente erosione dovuta alle intemperie. Basta una revisione ogni due anni.
A questo Sadler non aveva pensato. Ma erano molte le cose che doveva ancora imparare, e parecchie le avrebbe imparate a sue spese.
I cibi si rivelarono gradevoli, anche se indefinibili. Come tutto quello che si mangiava sulla Luna, erano stati prodotti nelle grandi fattorie idroponiche che si estendevano lungo la linea dell’equatore per chilometri e chilometri quadrati di serre pressurizzate. La carne però doveva essere sintetica: pareva manzo, ma Sadler sapeva che l’unica mucca esistente sulla Luna conduceva una vita invidiabile nello Zoo Hipparcus. Questa era una delle tante notizie che la sua mente ricettiva aveva afferrato per non scordare più.
Lo spuntino sembrò sgelare un po’ gli altri astronomi, che si mostrarono abbastanza cordiali quando Molton fece le presentazioni, e per qualche minuto riuscirono a non parlare del loro lavoro. Si capì subito, però, che la missione di Sadler li preoccupava. Il giovane ebbe l’impressione che esaminassero mentalmente le rispettive posizioni, chiedendosi come avrebbero dovuto comportarsi in caso di contestazione. Era sicuro che ciascuno avrebbe tirato fuori una storia molto plausibile e avrebbe cercato di confonderlo con formule scientifiche, se lui avesse tentato di metterli con le spalle al muro. Si era già trovato altre volte in circostanze simili anche se questa era una contingenza particolare.
Il treno percorreva ora l’ultima parte del tragitto e in poco meno di un’ora sarebbe giunto all’Osservatorio. Per i seicento chilometri di traversata del Mare Imbrium il percorso era diritto e pianeggiante, salvo una breve deviazione verso est, per evitare le colline che circondano il gigantesco altopiano di Archimede. Sadler si mise comodo nella poltrona, tolse alcune carte dalla borsa e si accinse a studiarle.
Lo schema dell’organizzazione copriva tutto il tavolino; era stampato nitidamente a diversi colori, a seconda dei vari reparti dell’Osservatorio, e Sadler lo guardava con un certo disagio. Ricordava che, una volta, l’uomo era stato definito come animale artefice. Ma ora, secondo lui, sarebbe stato più opportuno definirlo animale sperperatore di carta.
Sotto i titoli “Direttori” e “Vice-Direttori” c’erano tre colonne intestate “Amministrazione”, “Servizi Tecnici” e “Osservatorio”. Sadler cercò il nome di Molton e lo trovò nella colonna “Osservatorio” subito dopo il Capo della sezione e in cima al breve elenco di nomi contrassegnato “Spettroscopia”. Molton, a quanto risultava, aveva sei assistenti, di cui due — Jamieson e Wheeler — facevano parte della comitiva che era sul treno. L’altro viaggiatore, come Sadler aveva potuto scoprire, non era un vero e proprio scienziato. Nello schema il suo nome spiccava isolato, e doveva rendere conto di sé soltanto al direttore. Sadler aveva il sospetto che questo segretario Wagnall fosse una potenza locale e che valesse la pena di coltivarlo.