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L’uomo in blu sistemò la cinghia dell’apparecchio fotografico, fece un cenno a Sadler e ridiventò un qualunque turista.

— Datemi dieci minuti per allontanarmi — disse — e se per caso torniamo a incontrarci, ricordatevi che non ci conosciamo.

Sadler per poco non si offese a questo ammonimento. Dopo tutto, non era un dilettante: lavorava già da quasi mezza giornata lunare.

Al piccolo caffè della stazione di Igino non c’erano avventori, e Sadler aveva tutto il locale a disposizione. L’incertezza della situazione generale aveva scoraggiato i turisti che si erano affrettati a tornare a casa di corsa. E forse avevano fatto bene, perché se doveva succedere qualcosa sarebbe successa sulla Luna. Nessuno era convinto che la Federazione avrebbe attaccato direttamente la Terra distruggendo milioni di vite innocenti. Simili barbarie appartenevano al passato… così almeno si sperava. Ma come si poteva essere sicuri? Chi sapeva che cosa poteva succedere se fosse scoppiata una guerra? La Terra era così spaventosamente vulnerabile!

Mentre beveva un caffè, Sadler meditò sulle informazioni che il suo sconosciuto collega gli aveva dato. Ma erano di scarso valore, e lui continuava a brancolare nel buio. L’allusione a Molton l’aveva stupito sinceramente, e lui non l’aveva presa molto sul serio. Gli era davvero impossibile pensare all’astrofisico come a una spia. Sadler sapeva benissimo che era fatale fidarsi di simili impressioni, ma qualunque fossero i sentimenti che nutriva per Molton, avrebbe raddoppiato l’attenzione nei suoi riguardi. Però scommise tra sé che non avrebbe approdato a niente.

Chiamò a raccolta tutto quanto sapeva e ricordava sul capo del reparto Spettroscopia: sapeva già che Molton era andato tre volte su Marte. L’ultima volta c’era stato un anno prima, mentre lo stesso direttore c’era andato più di recente. Inoltre, nella confraternita interplanetaria degli astronomi non c’era forse un solo membro anziano che non avesse amici su Marte o su Venere.

Che cosa c’era di strano in Molton? Niente, per quanto Sadler poteva sapere, se si eccettuava la scontrosità dello scienziato, che contrastava con la sincera benevolenza del suo animo. C’era anche, naturalmente, la sua passione ridicola e un po’ commovente per i fiori, ma se doveva mettersi a indagare su manie innocue come quella, chissà dove sarebbe andato a finire!

Tuttavia c’era una cosa che valeva la pena di sondare. Avrebbe preso nota del negozio dove Molton andava a rifornirsi (era l’unico locale che frequentava, oltre la palestra) affidando le indagini a un suo collega di Central City. Compiaciuto dell’idea e con la soddisfazione di non lasciare niente d’intentato, Sadler pagò la consumazione e uscì nel breve corridoio che univa il caffè alla stazione deserta.

Tornò a Central City con la linea secondaria attraversando la zona impervia di Triesnecker. La linea ferroviaria era fiancheggiata per quasi tutto il suo percorso dalla funivia che trasportava carrelli di minerale da Igino e riportava indietro quelli vuoti. Poco dopo comparvero le cupole di Central City, e la funivia mutò direzione, svoltando a destra.

Sadler non si sentiva più straniero nella città e vagabondò da una cupola all’altra con la disinvoltura del viaggiatore esperto. Prima tappa, e necessaria, fu dal barbiere. Poi gli restò un quarto d’ora per fare un giro di centrifuga alla palestra.

Come il solito, il locale era affollato da membri del personale dell’Osservatorio. Sadler notò alquanto divertito che erano presenti due sospetti della lista A, Wheeler e Molton, e per lo meno sette della B. Ma su quest’ultimo punto non c’era da meravigliarsi perché il novanta per cento del personale era su quella lista che avrebbe potuto portare per titolo: “Elenco delle persone abbastanza intelligenti e attive per poter essere delle spie, ma riguardo alle quali non c’è prova di nessun genere”.

La centrifuga conteneva sei persone ed era munita di un congegno speciale per cui non poteva mettersi in moto prima che il carico non fosse perfettamente equilibrato. Si rifiutò pertanto di agire finché un grassone alla sinistra di Sadler non ebbe cambiato posto con un omino striminzito che gli sedeva di fronte. Poi il motore cominciò a prendere velocità, e l’enorme tamburo col suo carico umano prese a ruotare sul proprio asse. Man mano che la velocità aumentava, Sadler sentiva crescere il proprio peso.

Respirò profondamente e provò con cautela a vedere se riusciva a sollevare le braccia. Ma gli parve che fossero fatte di piombo.

L’uomo che stava a destra di Sadler si alzò barcollando e cominciò ad andare su e giù badando a non uscire dalle righe bianche che delimitavano il pezzo di pavimento di cui poteva disporre. Anche tutti gli altri facevano la stessa cosa, e faceva un effetto stranissimo vederli in piedi su una superficie verticale. Ma vi erano tenuti saldi da una forza sei volte superiore alla debole gravità lunare, una forza uguale al peso che avrebbero avuto sulla Terra.

Non era una sensazione piacevole, e Sadler non riusciva quasi a capacitarsi come fino a pochi giorni prima fosse potuto vivere in un campo gravitazionale di quella forza. Certo ci si sarebbe riabituato, ma per il momento si sentiva debole come un micio appena nato. Fu proprio contento quando la centrifuga cominciò a rallentare, e lui poté strisciare lentamente giù dalla macchina nella piacevole delicata gravità della Luna.

Mentre si allontanava sulla monorotaia di Central City si sentiva stanco e scoraggiato. Perfino la vista del nuovo giorno, col Sole ancora invisibile che illuminava le guglie delle montagne, a ovest, non lo rincuorò.

Ormai era sulla Luna da oltre dodici giorni terrestri, e la lunga notte lunare era finita. Ma aveva paura di pensare a quello che avrebbe potuto portare il giorno.

13

Ognuno ha le sue debolezze. Quella di Jamieson era talmente palese che pareva sleale approfittarne, ma Sadler non poteva permettersi il lusso di avere scrupoli. All’Osservatorio, tutti consideravano la pittura del giovane astronomo come argomento di scherzi bonari e non lo incoraggiavano per niente. Sadler, con la sensazione di essere un assoluto ipocrita, cominciò a recitare la parte dell’amministratore comprensivo.

Gli ci volle parecchio tempo, prima di vincere il riserbo di Jamieson e indurlo a parlare spassionatamente, tuttavia fece notevoli progressi limitandosi a incoraggiarlo quando i colleglli lo prendevano in giro, cosa che succedeva tutte le volte che dipingeva un nuovo quadro.

Pilotare la conversazione dall’arte alla politica richiedeva meno abilità di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, perché in quei giorni la politica era un argomento di grande attualità. E poi, cosa strana, fu Jamieson stesso a fare la domanda che Sadler aveva in animo. Doveva averci pensato a lungo, affrontando il problema che aveva più o meno preoccupato tutti gli scienziati dal giorno in cui era stata prodotta sulla Terra l’energia atomica.

— Che cosa fareste — domandò di punto in bianco a Sadler, poche ore dopo che quest’ultimo era tornato da Central City — se doveste scegliere tra la Terra e la Federazione?

— Perché me lo chiedete? — ribatté Sadler, cercando di non dimostrare il proprio interesse.

— L’ho chiesto a un mucchio di gente — rispose Jamieson con tono incerto. — Ricordate la discussione che abbiamo sostenuto nella Sala Comune, quando Mays asserì che chiunque pensasse: “Il mio pianeta, nel bene e nel male” era uno stupido?

— Me ne ricordo — rispose cauto Sadler.

— Credo che Mays avesse ragione. La fedeltà non è solo questione di nascita, ma di ideali. Possono darsi eventualità in cui patriottismo e moralità passano in seconda linea.

— Che cosa vi ha spinto a filosofeggiare in questo modo?

La risposta di Jamieson fu inaspettata.

— La Nova Draconis — rispose. — Abbiamo ricevuto proprio adesso i rapporti degli osservatori della Federazione sulle lune di Giove. Sono stati inviati via Marte, e qualcuno vi ha aggiunto un biglietto… Molton me l’ha fatto vedere. Era breve e non portava firma. Diceva solo che qualunque cosa accadesse, e la frase era ripetuta due volte, avrebbero fatto in modo di farci giungere ugualmente i loro rapporti periodici.