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Le tute spaziali non erano certo l’ideale per questo genere di lavoro, e uno degli incaricati, per la fretta o l’inesperienza, fece cadere una delle parti dello specchio. Prima che si avesse il tempo di afferrarlo, il grosso esagono di quarzo fuso aveva già acquistato abbastanza velocità nella caduta da rompersi in un angolo. Ma questo fu l’unico incidente occorso nello smontaggio e, date le circostanze, fu un incidente da poco.

L’ultimo uomo, stanco e scoraggiato, varcò l’ingresso a tenuta stagna dodici ore dopo l’inizio dell’operazione. Solo una delle ricerche in atto proseguì: un telescopio continuò a seguire il lento declino della Nova Draconis prossima all’estinzione. Guerra o no, quel lavoro doveva continuare.

Sadler salì in una delle cupole poco dopo l’annuncio dato dall’avvenuto smontaggio dei due enormi specchi. Ignorava quando avrebbe avuto ancora l’occasione di vedere le stelle e la Terra vicina al tramonto, e voleva serbarne vivo ricordo nel suo rifugio sotterraneo. Fino a quando?

Da quel che si vedeva, l’Osservatorio sembrava immutato. Fuori c’era ancora qualcuno, tra cui, come Sadler poté distinguere, il direttore. Maclaurin era probabilmente l’unico uomo sulla Luna chiaramente distinguibile anche con indosso la tuta spaziale. Era stata fabbricata apposta per lui e aumentava la sua statura fino a farlo sembrare alto quasi un metro e cinquantacinque.

Uno dei camion scoperti che servivano al trasporto del materiale all’Osservatorio stava avviandosi verso il telescopio, sollevando nuvolette di polvere. Si fermò vicino alla pista metallica circolare su cui ruotava il supporto dell’apparecchio, e ci salirono alcune figure in tuta, con movimenti goffi. Poi tornò ad allontanarsi e poco dopo scomparve alla vista mentre scendeva la rampa che conduceva alle porte stagne.

L’immensa pianura era deserta, l’Osservatorio reso cieco, fuorché per quell’unico fedele strumento puntato verso nord a sublime sfida delle follie umane. Poi uno degli altoparlanti dell’interfono, sparsi un po’ dovunque, ordinò a Sadler di uscire dalla cupola, e l’investigatore scese riluttante nel sottosuolo. Avrebbe voluto aspettare ancora, perché mancavano pochi minuti all’alba lunare. Gli dispiaceva non essere lì a salutarla.

La Luna si volgeva lentamente verso il Sole. La linea del giorno strisciava su monti e pianure, allontanando il gelo della lunga notte. Già tutto il versante occidentale degli Appennini splendeva di luce abbagliante e il Mare Imbrium si colorava delle luci dell’alba. Ma Platone era ancora immerso nel buio, e solo la tenue luce della Terra l’illuminava.

Un gruppetto sparso di stelle si stagliò improvvisamente nitido nel cielo occidentale, poco sopra l’orizzonte. Le vette più alte dell’enorme anello montuoso già afferravano i raggi del Sole, e d’attimo in attimo la luce si spandeva sui versanti, fino a riunirlo tutto come una collana di fuoco. Ora il Sole illuminava nettamente la fascia oltre l’ampio cerchio del cratere, mentre i contrafforti orientali cominciavano a rischiararsi. A chiunque avesse guardato dalla Terra, Platone sarebbe apparso come un anello di luce che racchiudeva una pozza di ombra nera. Occorrevano altre ore prima che il Sole nascente rischiarasse tutta la cerchia e ne scacciasse la notte.

Ma nessun occhio era intento a osservare, quando, per la seconda volta, la lama biancazzurra pugnalò per brevi istanti il cielo meridionale. E questo fu un bene per la Terra. La Federazione sapeva ormai molte cose, ma ce n’erano alcune che avrebbe scoperto troppo tardi.

14

L’Osservatorio si era preparato a un assedio di cui non prevedeva la durata. Nell’insieme, non era un’esperienza avvilente, come ci si sarebbe potuti aspettare. Sebbene i principali programmi in corso fossero stati sospesi, c’era ugualmente moltissimo lavoro: dedurre risultati, controllare teorie, scrivere saggi che finora erano stati rinviati per mancanza di tempo. Molti astronomi furono quasi contenti del riposo forzato che permise di fare progressi fondamentali nella cosmologia.

Il lato peggiore della faccenda, a detta di tutti, era l’incertezza e la mancanza di notizie. Che cosa stava succedendo? Si doveva credere ai bollettini terrestri che parevano intesi a tenere calma l’opinione pubblica, pur preparandola contemporaneamente al peggio?

A quanto si poteva giudicare, ci si aspettava un attacco, ed era una vera sfortuna che l’Osservatorio si trovasse in prossimità del luogo dove si presumeva che fosse diretto. Forse sulla Terra sapevano che genere di attacco avrebbe avuto luogo e sicuramente facevano i preparativi per fronteggiarlo.

I due grandi antagonisti si annusavano a vicenda, rifiutandosi di lanciare il primo colpo e sperando di spaventare l’altro tanto da indurlo a capitolare. Ma erano andati troppo oltre e non avrebbero potuto ritirarsi senza danneggiare irreparabilmente il loro prestigio.

Sadler temeva che avessero ormai oltrepassato da un pezzo i limiti e ne ebbe la certezza quando giunse la notizia, via radio, che il ministro della Federazione aveva mandato un vero e proprio ultimatum alla Terra. In esso si accusava la Terra di essersi rifiutata di corrispondere le quote stabilite di metalli pesanti, di aver decurtato i rifornimenti per motivi politici e di aver tenuta nascosta l’esistenza di nuove risorse. Ora, se la Terra si fosse rifiutata di dichiarare dove si trovavano queste risorse, avrebbe scoperto ben presto che le sarebbe stato impossibile utilizzarle.

L’ultimatum fu seguito, a sei ore di distanza, da una trasmissione generale, diretta alla Terra e diramata da una potentissima stazione di Marte. In essa si assicurava la popolazione che non le sarebbe stato arrecato alcun male, che, se avesse sofferto dei danni, sarebbe stato solo per un disgraziato incidente bellico la cui colpa era da imputarsi al governo terrestre. La Federazione avrebbe fatto di tutto per evitare di danneggiare le zone abitate e aveva fiducia che il suo esempio sarebbe stato seguito.

All’Osservatorio, questa trasmissione fu ascoltata con diversi stati d’animo. Il suo significato era indubbio, e altrettanto indubbio era che, a norma di legge, la zona del Mare Imbrium fosse da considerarsi deserta. Uno degli effetti prodotti dalla trasmissione fu quello di intensificare le simpatie per la Federazione, anche tra coloro che ne avrebbero potuto ricevere danno. Specialmente Jamieson divenne più esplicito nelle sue dichiarazioni. Ben presto si verificò una netta scissione tra il personale dell’Osservatorio. Da una parte c’erano quelli che la pensavano pressappoco come Jamieson (ed erano, in genere, i più giovani), che giudicavano la Terra reazionaria e intollerante. Dall’altro lato c’erano i tipi solidi, conservatori, pronti sempre a sostenere automaticamente il governo senza stare troppo a preoccuparsi delle astrazioni morali.

Sadler assisteva con grande interesse alle discussioni, pur essendo sicuro che il successo o il fallimento della sua missione erano ormai cosa fatta. Tuttavia sperava sempre che il mitico signor X si tradisse o cercasse di lasciare l’Osservatorio. Sadler aveva preso le sue precauzioni in merito, con l’aiuto del direttore. Nessuno, senza autorizzazione, poteva prendere una tuta o un trattore, e del resto la zona era ermeticamente chiusa. Sotto un certo punto di vista c’erano dei vantaggi a trovarsi nel vuoto.

Lo stato d’assedio aveva concesso a Sadler un piccolo trionfo, del tutto trascurabile e che non gli fu di alcuna utilità, tanto che parve un ironico commento ai suoi sforzi: Jenkins, il magazziniere su cui si nutrivano dei sospetti, era stato arrestato a Central City. Quando il servizio ferroviario era stato sospeso, Jenkins si trovava in città per motivi privati ed era stato pizzicato dagli agenti che gli erano stati messi alle calcagna dietro suggerimento di Sadler. Fu anche riconosciuto colpevole, ma di una colpa comune a molti magazzinieri: vendita di materiale di proprietà del governo.