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Pur avendo in tal modo eliminato un nome dalla sua lista, Sadler ricavò ben poche soddisfazioni da quella vittoria.

Le ore si trascinavano lente, e gli umori si facevano sempre più irritabili. All’esterno, intanto, il Sole saliva nel cielo mattutino. Quel senso iniziale di novità era svanito per lasciare il posto all’avvilimento. Si fece un tentativo di organizzare un concerto, ma fallì in modo tanto solenne da lasciare tutti più depressi di prima.

Poiché sembrava che non stesse accadendo niente, qualcuno riprese a salire in superficie, se non altro per dare un’occhiata al cielo e rassicurarsi che non ci fosse niente d’insolito. Qualcuna di queste spedizioni clandestine mise in sospetto Sadler, che però ebbe poi modo di convincersi della loro innocenza. Il direttore era al corrente di tutto e avallava l’iniziativa concedendo alcuni permessi per recarsi nelle cupole.

L’attesa durò esattamente cinque giorni dopo l’allarme. Fuori, il mezzogiorno era prossimo, e la Terra si era assottigliata fino a ridursi a una falce, così vicina al Sole da non poterla guardare. Ma secondo gli orologi dell’Osservatorio era mezzanotte, e Sadler stava dormendo quando, senza tante cerimonie, Wagnall entrò nella sua cameretta.

— Sveglia! — esclamò mentre Sadler si sfregava gli occhi insonnoliti. — Il direttore ha bisogno di vedervi! — Wagnall pareva seccato di dover sbrigare le mansioni del fattorino. — Sta succedendo qualcosa — disse, lanciando un’occhiata sospettosa a Sadler — e non mi ha voluto dire di che cosa si tratta.

— Ma neppure io lo so — ribatté Sadler infilandosi la vestaglia. Diceva la verità, e mentre si recava nell’ufficio del direttore si chiedeva che cosa poteva essere successo.

Vedendo il direttore ebbe l’impressione che fosse molto invecchiato in quegli ultimi giorni. Non era più il piccolo uomo vivace ed energico che era sempre stato, capace di dirigere con mano di ferro l’Osservatorio. Sul piano della scrivania, non più immacolata, c’era un gran disordine di fogli.

Non appena Wagnall se ne fu andato, palesemente controvoglia, Maclaurin chiese di punto in bianco:

— Che cosa ci fa, sulla Luna, Carl Steffanson?

Sadler sbatté due o tre volte le palpebre, non era ancora completamente sveglio, infatti, poi disse, in tono lamentoso: — Ma se non so neanche chi è! Dovrei conoscerlo?

Maclaurin parve sorpreso e deluso.

— Credevo — disse — che vi avrebbero avvisato del suo arrivo. È uno dei nostri migliori fisici. Hanno telefonato poco fa da Central City dicendo che è appena arrivato e che dobbiamo accompagnarlo nel Mare Imbrium al più presto possibile, in quella installazione che pare si chiami Progetto Thor.

— Perché non lo mandano fin là in volo? Che cosa c’entriamo noi?

— Ci sarebbe dovuto infatti andare con il suo razzo, ma l’apparecchio ha avuto un guasto, e ci vogliono almeno sei ore per ripararlo. Così Steffanson verrà fin qui in monorotaia, e poi farà l’ultimo pezzo in trattore. Mi hanno detto di incaricare Jamieson di accompagnarlo. Tutti sanno che è il miglior conducente di trattori che ci sia sulla Luna, ed è anche l’unico che sia mai arrivato al Progetto Thor, qualunque cosa esso sia.

— Avanti — lo incitò Sadler.

— Non mi fido di Jamieson. Non credo che sia sicuro mandarlo in una missione così importante come pare questa.

— Non c’è nessuno che potrebbe sostituirlo?

— No, col poco tempo che abbiamo a disposizione. Ci vuole molta abilità, e non avete idea di come sia facile perdere la strada.

— Dunque deve proprio andare Jamieson, a quanto pare. Perché non vi fidate di lui?

— Ho sentito i discorsi che fa nella Sala Comune, e li avrete sentiti anche voi! Non nasconde certo le sue simpatie per la Federazione.

Mentre Maclaurin parlava, Sadler lo guardava attentamente, e l’indignazione, l’ira quasi, che trapelava dal suo tono lo stupì. L’ombra di un sospetto gli sfiorò per un istante la mente: che Maclaurin stesse cercando di sviare da sé l’attenzione?

Ma quel vago sospetto durò solo un istante. Sadler capì che era mutile cercare motivi reconditi: Maclaurin era stanco, esaurito e, come Sadler aveva sempre sospettato, nonostante le grandi arie che si dava, era meschino anche nello spirito, oltre che nella statura. Per questo reagiva in modo puerile alla delusione: aveva visto i suoi piani sovvertiti, il suo programma interrotto bruscamente, il suo prezioso equipaggiamento messo in pericolo, e tutto per colpa della Federazione! Chiunque non era del suo parere diventava automaticamente un nemico potenziale della Terra.

Era impossibile non provare compassione per il direttore. Sadler sospettava che fosse sull’orlo di un esaurimento nervoso e che bisognasse stare bene attenti a come gli si parlava.

— Che cosa volete che faccia? — gli domandò col tono più disinvolto che poté.

— Vorrei sapere se siete del mio parere nei riguardi di Jamieson. Dovete averlo studiato attentamente.

— Non ho il permesso di esporre le mie deduzioni — disse Sadler. — Spesso, infatti, sono fondate su appigli assai labili. Ma ho l’impressione che la franchezza di Jamieson sia un punto a suo favore. Fra dissentire e tradire c’è una bella differenza, sapete.

Maclaurin tacque per un po’, poi scosse la testa.

— È un rischio troppo grande. Non voglio assumermene le responsabilità.

Sadler pensò che le cose cominciavano a mettersi male. Lui non aveva nessuna autorità, lì, e non avrebbe certo potuto opporsi al volere del direttore. Nessuno gli aveva dato istruzioni in merito: coloro che avevano deciso che Steffanson partisse dall’Osservatorio ignoravano probabilmente che ci si trovava anche lui. Fra il ministero della Difesa e il Central Intelligence i rapporti non erano così stretti come avrebbero dovuto.

Ma anche se non aveva avuto istruzioni, era ugualmente chiaro qual era il suo dovere.

— Ecco qual è la mia proposta — disse con vivacità. — Chiamate Jamieson e raccontategli l’accaduto per sommi capi. Chiedetegli poi se sarebbe disposto ad accompagnare Steffanson. Io ascolterò il vostro colloquio dalla stanza vicina e vi saprò dire se dovrete o no accettare. Per conto mio, sono convinto che se si dichiara disposto ad accettarlo, porterà a termine l’incarico. Altrimenti vi dirà senz’altro che intende rifiutare. Non mi sembra tipo da fare il doppio gioco. E se mi è permesso darvi un consiglio — concluse — al vostro posto terrei nascosti i miei sospetti. Comunque la pensiate, dimostratevi spontaneo e cordiale come sempre.

Maclaurin ci meditò un po’ sopra, poi alzò le spalle rassegnato. — Wagnall — disse nel microfono, dopo aver girato l’interruttore — chiamatemi subito Jamieson.

A Sadler, in attesa nella stanza vicina, parve che passassero ore e ore prima che accadesse qualcosa. Poi, finalmente, sentì attraverso l’altoparlante che Jamieson era arrivato, e la voce di Maclaurin che diceva: — Mi spiace di avervi interrotto il sonno, Jamieson, ma abbiamo un incarico urgente da affidarvi. Quanto tempo vi ci vorrebbe per portare un trattore a Prospect Pass?

Sadler sorrise sentendo l’esclamazione di incredulità che giunse distinta attraverso l’altoparlante. Prospect era il passo che valicava la parete meridionale di Platone e dominava il Mare Imbrium. I trattori lo evitavano, preferendo una via più lunga ma più agevole che si snodava a qualche chilometro di distanza, verso ovest. Le monoauto lo valicavano invece senza difficoltà, e quando c’era la luce adatta, di lassù si godeva uno dei più famosi panorami lunari.

— Andando a rotta di collo ci metterei un’ora. Sono solo quaranta chilometri, ma il terreno è pessimo.

— Bene — rispose la voce di Maclaurin. — Mi hanno appena inviato un messaggio da Central City per dirmi di mandarvici. Sanno che siete il miglior guidatore di cui disponiamo e siete già stato laggiù.