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— Laggiù dove? — fece Jamieson.

— Al Progetto Thor. Si chiama così, casomai non ne sapeste il nome. È il posto dove siete andato qualche giorno fa.

— Continuate, vi ascolto — rispose Jamieson, nella cui voce Sadler percepì una forte tensione.

— Ecco di che si tratta. A Central City c’è un tale che deve recarsi immediatamente a Thor. Doveva andarci con un razzo, ma è impossibile. Così lo mandano fin qui in monorotaia e, per risparmiare tempo, voi gli andrete incontro al Passo e lo preleverete. Da lì andrete direttamente al Progetto Thor. Capito?

— Non proprio. Perché non lo mandano a prendere da Thor con uno dei loro cat?

“Jamieson vuole prendere tempo?” si domandò Sadler. No, la sua era stata una domanda perfettamente logica.

— Se date un’occhiata alla carta — spiegava Maclaurin — vedrete che Prospect è l’unico punto dove un trattore può incontrarsi con il treno monorotaia, e inoltre, a quel che pare, a Thor non hanno guidatori esperti.

Seguì una lunga pausa. Evidentemente Jamieson stava esaminando la mappa.

— Sono disposto a tentare — disse poi — ma mi piacerebbe sapere cosa bolle in pentola.

“Ci siamo” pensò Sadler. “Speriamo che Maclaurin segua i miei suggerimenti.”

— Benissimo — disse la voce del direttore — credo che abbiate il diritto di sapere. L’uomo che deve recarsi a Thor è il dottor Carl Steffanson. E la missione che gli è stata affidata è di importanza vitale per la salvezza della Terra. Io non so altro, tuttavia non credo che occorra dire di più.

Sadler attese ansioso mentre i secondi si trascinavano lenti. Sapeva che Jamieson stava ponderando prima di decidere. Il giovane astronomo stava scoprendo a sue spese che una cosa era criticare la Terra e condannare la sua politica in sede teorica, e un’altra dover scegliere quando si trattava di un’azione di importanza vitale per la sua vittoria o la sua sconfitta. Jamieson sapeva adesso da che parte doveva stare, seguendo l’impulso della lealtà, se non proprio quello della logica.

— Andrò — disse alla fine, così piano che Sadler lo udì appena.

— Ricordatevi che siete libero di accettare o no — insistette il direttore.

— Davvero? — ribatté Jamieson, e nella sua voce non c’era la minima .sfumatura di sarcasmo. Pensava a voce alta, parlando a se stesso, più che al direttore.

Sadler udì Maclaurin sfogliare delle carte. — Chi porterete come aiutante per la guida? — disse poi la voce del direttore.

— Wheeler. È venuto con me anche l’altra volta.

— Benissimo. Andate ad avvertirlo mentre io avviserò la sezione Trasporti. E… auguri.

— Grazie.

Sadler attese di sentire il rumore della porta che si richiudeva, poi andò a raggiungere il direttore. Maclaurin alzò gli occhi stanchi su di lui. — Ebbene? — domandò.

— È andata meglio di quanto sperassi. Siete stato molto abile.

Non lo diceva per adularlo. Era infatti sinceramente stupito di come Maclaurin fosse riuscito a tenere nascosti i propri sentimenti. Anche se non era stato cordiale, non aveva però lasciato minimamente trapelare la sua avversione.

— Mi sento molto più sollevato perché lo accompagna Wheeler — confessò Maclaurin. — Di lui ci si può fidare.

Nonostante la sua preoccupazione, Sadler faticò a soffocare un sorriso. Era certo che la fiducia di Maclaurin nei riguardi di Conrad Wheeler fosse dovuta soprattutto alla scoperta della Nova Draconis da parte del giovane, scoperta che aveva indirettamente contribuito al trionfo dell’Integratore di Grandezza Maclaurin.

Ma non aveva bisogno di altre prove per convincersi che anche gli scienziati, come tutti gli altri, erano inclini a giudicare più col sentimento che con la logica.

— Il trattore è pronto — disse una voce all’altoparlante. — Le porte esterne si stanno aprendo.

Maclaurin alzò automaticamente gli occhi sull’orologio appeso al muro. — Hanno fatto in fretta — osservò. Poi guardò Sadler con aria preoccupata. — Signor Sadler, ormai è troppo tardi per fare marcia indietro. Auguriamoci solo che abbiate ragione.

Ci si accorge troppo di rado che guidare un veicolo di giorno, sulla Luna, è molto meno divertente, e anche meno sicuro, che di notte. Il bagliore implacabile esige che si adoperino grosse lenti a filtro, e le nere pozze d’ombra, sempre presenti salvo che nei punti in cui il Sole si trova sulla verticale, possono rivelarsi molto pericolose. Infatti nascondono sovente crepacci che un trattore in moto riuscirebbe difficilmente a evitare. Invece guidare alla luce della Terra non esige altrettanta tensione; la luce tenue rende meno aspri i contrasti.

Per colmo di difficoltà, Jamieson doveva dirigersi a sud, il che significava avere il Sole in faccia. In certi punti le condizioni erano talmente cattive che doveva seguire dei bruschi zigzag al fine di evitare l’accecante bagliore riflesso da qualche roccia antistante. Le difficoltà si attenuavano nelle zone ricoperte di polvere, che però si facevano sempre più rare man mano che il terreno si elevava verso gli ultimi contrafforti della parete montagnosa.

Wheeler si guardava bene dal parlare all’amico; sapeva che quel tratto di strada richiedeva tutta la sua attenzione. Poi cominciarono a salire verso il passo, e il trattore procedeva a sobbalzi sulle asperità dei dirupi che sovrastavano la pianura. Simili a fragili giocattoli sull’orizzonte lontano i sostegni dei telescopi giganti indicavano il punto in cui si trovava l’Osservatorio. “Laggiù” pensava Wheeler “ci sono milioni e milioni investiti in fatica e intelligenza. E adesso non servono a niente! Speriamo che questi splendidi strumenti possano riprendere al più presto le loro ricerche nei più remoti angoli dell’universo!”

Una rupe scoscesa nascose la vista della pianura sottostante, e Jamieson svoltò a destra, attraverso una valle angusta. Sui dirupi sovrastanti si vedeva la rotaia del treno inerpicarsi sul fianco della montagna. Il trattore non sarebbe potuto arrivare fin là. Però, una volta superato il passo, non sarebbe stato troppo difficile avvicinarsi fino a una distanza di qualche metro.

Il terreno era estremamente accidentato, ma i conducenti che avevano già compiuto quel percorso avevano lasciato una traccia ben visibile per coloro che li avrebbero seguiti. In quel punto, la strada era quasi tutta in ombra, e Jamieson fece largo uso dei fanali. La completa invisibilità di raggi, lì nei vuoto assoluto, conferì un effetto magico sulla scena. Pareva infatti che la luce scaturisse dal nulla e che non avesse il minimo rapporto col trattore. Arrivarono a Prospect cinquanta minuti dopo aver lasciato l’Osservatorio e radiotrasmisero la loro posizione. Da quel punto dovevano compiere alcuni chilometri in discesa per arrivare al luogo dell’appuntamento. La monorotaia convergeva verso la loro strada e dopo averla attraversata si allontanava verso sud, oltre Pico, simile a un filo d’argento che corresse a perdita d’occhio sulla superficie della Luna.

— Ecco — disse Whecler soddisfatto — non li abbiamo fatti aspettare. Sarei proprio curioso di sapere che cosa bolle in pentola.

— Non è chiaro? — replicò Jamieson. — Steffanson è il nostro maggior esperto in materia di radiazioni fisiche. Se ci sarà una guerra, puoi immaginarti quali saranno le armi con cui si combatterà.

— Non ci ho mai pensato molto in quanto non ho mai preso troppo sul serio questa ipotesi. Ma suppongo che si combatterà con missili teleguidati.

— Anche, però non basta. Sono centinaia d’anni che si parla di radiazioni mortali.

— Non mi dirai che credi nella loro esistenza!

— Come no? Se ricordi quello che c’era scritto nei libri di storia, a Hiroshima migliaia di persone sono state uccise da radiazioni mortali. E questo è successo circa duecento anni fa.