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A Steffanson parve che fossero passati dei secoli prima che Wheeler dicesse: — Ecco, a momenti ci siamo! Guardate, dritto davanti a voi! — Steffanson andò a guardare dal portello anteriore. Valeva proprio la pena di combattere, per un posto simile! Ma, naturalmente, quell’aspra sterilità fatta di lava e di meteoriti non era che una maschera: sotto di essa, la natura aveva celato tesori che gli uomini avevano impiegato duecento anni a trovare. E forse sarebbe stato meglio se non li avessero trovati mai…

A un paio di chilometri di distanza, in linea retta davanti a loro, l’enorme cupola metallica scintillava al Sole. Vista da quel punto pareva che fosse stata tagliata in due da un enorme coltello perché la parte in ombra era talmente scura da essere quasi invisibile. Tutto pareva deserto all’intorno, ma Steffanson sapeva che dentro alla cupola ferveva un’attività febbrile. Pregò in cuor suo che i suoi assistenti avessero completato i circuiti d’energia e sub-modulatori. Steffanson cominciò ad adattarsi il casco della tuta spaziale che si era tolto salendo a bordo del trattore. Poi si alzò reggendosi allo schienale del sedile per non perdere l’equilibrio e si mise dietro a Jamieson.

— Adesso che siamo qui — disse — il meno che posso fare è di darvi qualche spiegazione — e accennò alla cupola che si avvicinava rapidamente. — Questa installazione, originariamente, era una miniera, e lo è tuttora. Siamo riusciti a fare una cosa in cui prima avevamo sempre fallito: un foro profondo cento chilometri che dalla superficie della Luna scende ai suoi ricchissimi giacimenti metalliferi.

— Cento chilometri! — esclamò Wheeler. — Impossibile! Nessun foro potrebbe restare aperto con una simile pressione.

— Invece può starci benissimo, tanto è vero che ci sta — ribatté Steffanson. — Non ho tempo di starvi a spiegare la tecnica, che del resto anch’io ignoro nei particolari. Ma non dimenticate che si può scavare un foro sei volte più profondo sulla Luna che sulla Terra, prima che esso si riempia. Comunque, questo è un particolare trascurabile. Il vero segreto consiste in quelli che vengono chiamati scavi a pressione. Non appena il pozzo cede, viene immediatamente riempito con olio pesante di silicone, un olio che ha la stessa densità della roccia circostante. In tal modo si può perforare alla profondità che si vuole, perché la pressione interna è uguale a quella esterna, e il foro non tende a chiudersi. Come succede con quasi tutte le idee molto semplici, c’è voluto parecchio per attuarla.

«Nella Federazione sono venuti a sapere circa due anni fa quello che bolliva in pentola. Anzi, crediamo che anche loro abbiano tentato la stessa cosa, ma senza successo. Perciò sono giunti alla decisione che se loro non possono accedere a queste scorte, non potremo usufruirne neppure noi. Pare che il loro intento sia di costringerci a collaborare, ma non ci riusciranno.

«Questo è il sottofondo della storia, di cui costituisce la parte più trascurabile. Qui ci sono anche armi. Alcune completate e provate, altre che aspettano la messa a punto finale. Io porto con me i componenti chiave di quella che potrebbe rivelarsi l’arma decisiva. Per questo è probabile che la Terra abbia contratto con voi un debito così grande che le sarà impossibile pagarlo. Non interrompetemi, a momenti siamo arrivati e non è solo questo che vi volevo dire. La radio ha mentito a proposito delle venti ore. Questo è quanto la Federazione vuol farci credere, e auguriamoci che continui a essere convinta di averci ingannato. Ma noi abbiamo localizzato le sue astronavi, che si avvicinano a una velocità dieci volte maggiore di quanto si siano mai mosse finora nello spazio. Temo che abbiano scoperto un sistema di propulsione totalmente nuovo e spero che non abbiano anche inventato delle armi nuove. Abbiamo solo tre ore di margine prima che arrivino qui, posto che non abbiano la possibilità di accelerare ancora. Potrete fermarvi, se volete, ma per la vostra salvezza vi consiglio di tornare di corsa all’Osservatorio come se aveste il diavolo alle calcagna. Se dovesse succedere qualcosa mentre vi trovate ancora all’aperto, cercate di mettervi al riparo al più presto. E adesso addio e buona fortuna. Mi auguro che possiamo incontrarci ancora, quando tutto questo sarà finito.»

Coi suoi misteriosi bagagli saldamente stretti, Steffanson sparì nel compartimento stagno prima che i due giovani avessero il tempo di parlare. Stavano entrando nell’ombra della grande cupola, di cui Jamieson fece il giro, alla ricerca di qualche apertura. Poi, trovato che ebbe il punto in cui lui e Wheeler erano stati introdotti, fece fermare Ferdinando.

La porta esterna del trattore si chiuse con un colpo secco, e il segnale di “Compartimento Chiuso” si accese. Videro Steffanson correre verso la cupola, mentre, perfettamente a tempo, un’apertura circolare si apriva per permettergli di entrare e si richiudeva subito dopo.

Il trattore era solo, nell’ombra dell’enorme edificio. Non c’era intorno alcun segno di vita, ma d’improvviso la struttura metallica del veicolo cominciò a vibrare con intensità sempre maggiore. Gli indici sul quadro dei comandi ballavano come matti, le luci si offuscarono, poi tutto tornò come prima. Ma in quel breve intervallo un tremendo campo di energia si era diffuso dalla cupola e continuava ancora a espandersi nello spazio. Il suo passaggio lasciò nei due uomini l’impressione di forze che aspettavano solo un segnale per scatenarsi.

Il piccolo trattore simile a un insetto correva sulla pianura, dirigendosi verso le colline dove avrebbe trovato la salvezza.

Ma sarebbe davvero stato al sicuro, lassù? Jamieson aveva i suoi dubbi. Ricordava le armi create dalla scienza duecento anni prima, la base su cui si poteva costruire oggi l’arte della guerra. La terra silenziosa che lo circondava, infuocata sotto il Sole di mezzogiorno, poteva venire colpita da radiazioni ben più terribili.

Il trattore correva verso i contrafforti di Platone che troneggiavano contro il cielo come una fortezza gigantesca, ma la vera fortezza gli stava alle spalle e preparava le armi ignote per la prova che doveva venire.

16

Se Jamieson avesse pensato più alla guida e meno alla politica, l’incidente non sarebbe mai avvenuto. Il terreno pareva liscio e solido, com’era stato per chilometri e chilometri fino a quel punto. E che fosse liscio non c’era dubbio, però non era più solido di una pozza d’acqua. Jamieson si rese immediatamente conto di quello che stava succedendo non appena il motore di Ferdinando cominciò a perdere giri, e il muso del trattore scomparve in una gran nube di polvere. Il veicolo s’inclinò in avanti, poi ondeggiò paurosamente e cominciò a rallentare nonostante tutti gli sforzi di Jamieson. Come una nave che cola a picco in un mare denso, il trattore prese ad affondare. All’inorridito Wheeler parve che stessero andando a fondo in un vortice di schiuma. Bastarono pochi istanti perché la luce del Sole scomparisse. Jamieson aveva spento il motore: in un silenzio rotto solo dal mormorio dei depuratori d’aria, il trattore e i due uomini stavano naufragando sotto la superficie della Luna.

Jamieson cercò a tentoni l’interruttore e accese le luci nella cabina. Passò un lungo istante prima che i due amici fossero in grado di fare qualcosa oltre a guardarsi l’un l’altro disperati. Poi Wheeler si alzò con passo malfermo e andò a un finestrino. Ma non riuscì a vedere assolutamente nulla: pareva che avessero calato una liscia tenda di velluto dall’altra parte della grossa lastra di quarzo.