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Maclaurin acconsentì alla richiesta e aggiunse: — Naturalmente dovrete rivelare la vostra vera identità. Ne consegue che nel giro di dieci minuti tutto l’Osservatorio ne sarà a conoscenza.

— Ci ho già pensato — rispose Sadler — ma ormai non ha più importanza. — “Ammesso che ne abbia mai avuta” aggiunse fra sé.

Mezz’ora più tardi, stava imparando a sue spese la differenza tra viaggiare sulla monorotaia, celere e ben molleggiata, e su un trattore traballante.

A parte gli scossoni, la spedizione non ebbe niente di drammatico: valicato che ebbero Prospect Pass, si misero in contatto radio con i due uomini che stavano procedendo alla loro volta. Un quarto d’ora dopo, le sagome dei due astronomi si stagliarono contro il cielo e non ci furono altri convenevoli oltre le calorose strette di mano che vennero scambiate quando Wheeler e Jamieson salirono a bordo del trattore.

Stettero fermi un poco per permettere al medico di fare le necessarie iniezioni ed eseguire le sue prove. Terminati gli esami, il medico disse a Wheeler: — La settimana prossima ve ne starete a letto, ma non avete niente di grave.

— E io? — domandò Jamieson.

— Voi state benone… basteranno un paio di giorni di riposo.

— Ne valeva la pena — commentò Wheeler allegramente. — Non credo che sia un prezzo troppo alto per una poltrona in prima fila. — Poi, mentre cessava l’effetto della reazione di sapersi salvo, aggiunse con voce ansiosa: — Quali sono le ultime notizie? La Federazione ha attaccato anche in altri punti?

— No — rispose Sadler. — Non ha attaccato da nessun’altra parte e non credo che sia in condizioni di farlo. Tuttavia ha raggiunto il suo principale obiettivo a quanto pare, e cioè impedirci l’uso di quella miniera. Spetta agli uomini politici decidere quello che accadrà in seguito.

— Ehi — intervenne Jamieson — ma voi cosa siete venuto a fare, qui?

Sadler sorrise. — Sto ancora indagando, ma posso dire che i limiti delle mie indagini sono più ampi di quanto non possiate esservi immaginato.

— Siete forse una radiocronista? — domandò Wheeler sospettosamente.

— Non esattamente. Preferirei non…

— Ho indovinato — esclamò improvvisamente Jamieson. — Avete a che fare, in qualche modo, con il Dipartimento Sicurezza. Adesso tutto quadra.

Sadler lo guardò un po’ seccato, pensando che Jamieson possedeva un vero talento per rendere le cose difficili.

— Non ha importanza — disse — ma voglio inviare un rapporto esauriente di tutto quello che avete visto. Vi renderete conto di essere gli unici testimoni oculari sopravvissuti, se si eccettua l’equipaggio dell’astronave federata.

— Lo temevo — commentò Jamieson. — Dunque il Progetto Thor è andato completamente distrutto?

— Sì, però ha fatto il suo dovere.

— Che perdita però… Steffanson e tutti quegli altri! Se non fosse stato per me, forse sarebbe ancora vivo.

— Sapeva quello che faceva e ha deciso di sua spontanea volontà — replicò Sadler seccamente. Jamieson era proprio un eroe recalcitrante!

Nella mezz’ora che seguì, mentre tornavano ad arrampicarsi sulla parete di Platone diretti all’Osservatorio, interrogò Wheeler sull’andamento della battaglia. Sebbene l’astronomo ne avesse potuta vedere solo una piccola parte, a causa del campo visivo limitato di cui disponeva, tuttavia le sue informazioni si sarebbero rivelate di valore inestimabile, quando gli esperti di arte tattica, sulla Terra, sarebbero stati chiamati a dare il loro giudizio.

— Quello che più mi rende perplesso — concluse Whecler — è l’arma usata dal forte per distruggere gli apparecchi nemici. A vederlo lo si sarebbe detto un raggio, pure è impossibile che lo fosse. Nessun raggio è visibile nel vuoto. Ne sapete niente, voi?

— Mi dispiace, ma non ne ho la minima idea — rispose Sadler, ma non era del tutto vero. Sapeva pochissimo sulle armi adoperate dal forte, ma quel poco che sapeva sarebbe stato facilmente comprensibile per i due astronomi. Wheeler avrebbe capito come un getto di metallo fuso, lanciato attraverso lo spazio a una velocità di parecchie centinaia di chilometri al secondo dal più potente elettromagnete che fosse mai stato fabbricato, potesse assumere l’aspetto di un raggio di luce. Sapeva inoltre che si trattava di un’arma a breve portata, fatta per penetrare attraverso i campi che avrebbero fatto deflettere i proiettili comuni. La si poteva adoperare solo in specialissime condizioni e ci volevano diversi minuti per ricaricare i giganteschi condensatori che fornivano energia ai magneti.

Era un mistero, questo, che gli astronomi avrebbero dovuto risolvere da sé, e Sadler non sapeva quanto ci avrebbero impiegato se si fossero intestarditi a farlo.

Il trattore scendeva cautamente gli ultimi pendii del versante interno della grande pianura cinta di montagne, e l’intelaiatura dei telescopi si stagliò all’orizzonte. Parevano proprio, pensava Sadler, due ciminiere di fabbrica chiuse nell’impalcatura. Pur essendo lì da poco tempo, si era ormai abituato ad essi e li trattava da vecchi amici, come gli astronomi che li adoperavano, e dei quali capiva il timore che quei superbi strumenti, capaci di mandare sulla Terra notizie da una distanza di un milione di anni luce, potessero aver subito danni irreparabili.

Una guglia rocciosa sì frappose tra loro e il Sole, e l’oscurità li avvolse non appena entrarono nella sua ombra. Le stelle riapparvero alte nel cielo, e mentre alzava gli occhi per guardare, Sadler vide Wheleer fare lo stesso.

La Nova Draconis era ancora tra le stelle più luminose, ma andava rapidamente svanendo. Fra pochi giorni non sarebbe stata più brillante di Sirio, e fra pochi mesi solo un occhio esercitato avrebbe potuto scorgerla. Recava certo un messaggio, un simbolo, appena intravisto sui confini della fantasia. La scienza avrebbe imparato molto dalla Nova Draconis, ma i comuni mortali che insegnamento ne avrebbero tratto?

“Solo questo” pensò Sadler “nei cieli possono rifulgere visioni mirabili, la galassia può ardere delle abbaglianti luci delle stelle esplose, ma l’uomo continua a occuparsi dei fatti suoi con sublime indifferenza. In questo momento erano i pianeti che lo interessavano, e le stelle potevano aspettare. Lui non si sarebbe lasciato intimorire da niente di quello che esse avrebbero potuto fare e si sarebbe occupato di loro quando ne avrebbe avuto tempo e voglia”.

Né salvati né salvatori ebbero molto da dire nell’ultima parte del viaggio di ritorno. Wheeler era chiaramente vittima di uno choc a scoppio ritardato, e gli tremavano nervosamente le mani. Jamieson se ne stava seduto a fissare l’Osservatorio che si avvicinava come se non l’avesse mai visto prima. Quando si trovarono all’ombra del telescopio da dieci metri si volse a Sadler per domandargli: — Hanno fatto in tempo a portare tutto in salvo?

— Credo di sì — rispose Sadler — Non ho sentito accennare ad alcun danno.

Jamieson annuì con aria assente. Non dimostrò né piacere né sollievo: aveva raggiunto la saturazione emotiva e, fin che non fosse cessato l’effetto delle ultime ore, niente più avrebbe potuto fargli effetto.

Sadler li lasciò appena il trattore entrò nel garage sotteraneo, per correre nella sua stanza a scrivere il rapporto. Si trattava di una cosa che esulava dalle sue mansioni, ma lui era contento di poter finalmente fare qualcosa di costruttivo.

Per la prima volta da che era partito dalla Terra osò pensare al proprio avvenire. Jeanette era salva, e fra poco l’avrebbe rivista.

Ma provava anche un senso di delusione; gli seccava immensamente lasciare un lavoro senza averlo portato a termine, eppure così doveva essere, ormai. Ma l’agente avrebbe dato chissà cosa per sapere se c’era o non c’era stata una spia all’Osservatorio…