La risposta della Terra giunse poco dopo per telescrivente. Era un messaggio alquanto evasivo.
«Volo non schedato — Affari governativi — Altri futuri atterraggi preavvisati — Spiacenti inconveniente».
Wheeler fissava le parole come se non riuscisse a credere ai suoi occhi. Fino a quel giorno il cielo dell’Osservatorio era stato sacrosantamente rispettato. Un abate di cui avessero violato il monastero non avrebbe potuto essere più indignato.
— Hanno intenzione di continuare! — proruppe. — Che ne è del nostro programma?
— Sei in arretrato, Con — ribatté in tono indulgente l’ufficiale segnalatore. — Non hai sentito il notiziario? O sei stato con la tua diletta nova? Questo messaggio ha un solo significato: nel Mare si sta svolgendo qualcosa di segreto, e ti dirò anche qual è la mia idea in proposito.
— La conosco — rispose Wheeler. — Si tratta di un’altra di quelle misteriose spedizioni per la ricerca di minerali pesanti, fatte con la speranza che la Federazione non lo venga a sapere. È una storia maledettamente puerile!
— Che cosa vi induce a credere che la spiegazione sia questa? — domandò Sadler.
— Sono anni che si va avanti a questo modo. Potete raccogliere gli ultimi pettegolezzi sull’argomento in qualsiasi bar, giù in città.
Sadler non era ancora stato “giù in città”, come veniva definito un viaggio a Central City, ma poteva ugualmente credere a quello che l’altro aveva detto. La spiegazione di Wheeler era molto plausibile, specie se si teneva conto della situazione attuale.
— Credo che dovremo fare buon viso a cattivo gioco — disse l’ufficiale riprendendo il suo rompicapo. — Comunque, ci resta una consolazione. Tutto questo sta succedendo a sud, rispetto a noi… dalla parte del cielo opposta a quella dove si trova il Serpente. Così non intralcia la tua principale attività, non è vero?
— Già — ammise di malavoglia Wheeler che per un momento parve convinto. Non da credere che avesse voglia di pestare i piedi a qualcuno, per carità! Ma aveva progettato una bella discussione ed era rimasto deluso nel vedersela sfuggire.
Non occorreva più essere degli esperti, ormai, per vedere la Nova Draconis. Dopo la Terra, era di gran lunga l’oggetto più luminoso che si vedesse nel cielo. Anche Venere, che seguiva il Sole verso est, era sbiadita accanto all’arrogante intrusa che continuava a crescere in splendore.
Giù, sulla Terra, secondo i rapporti trasmessi dalla radio, era visibile nettamente anche di giorno. Per qualche tempo riuscì a bandire le notizie politiche dalla prima pagina, ma ben presto la pressione degli eventi tornò a farsi sentire. Gli uomini non potevano sopportare di pensare a lungo all’eternità, e la Federazione era lontana solo alcuni minuti, e non anni luce.
5
C’era ancora qualcuno convinto che l’uomo sarebbe stato più felice se fosse rimasto sul suo pianeta, ma ormai era troppo tardi per prendere qualche provvedimento in proposito. Del resto, se fosse rimasto sulla Terra, non sarebbe stato uomo. L’inquietudine che lo aveva spinto a vagare sulla faccia del globo, che lo aveva spinto a valicare i cieli e a scandagliare i mari, non gli avrebbe mai dato requie finché c’erano la Luna e i pianeti a chiamarlo attraverso gli abissi dello spazio.
La colonizzazione della Luna era avvenuta con lentezza ed era stata un’impresa dura, talvolta tragica, e sempre favolosamente costosa. Due secoli dopo il primo atterraggio, la maggior parte del gigantesco satellite della Terra era ancora inesplorata. Central City e le altre basi che erano state create con enorme fatica erano isole di vita in un’immensa desolazione, oasi in un silenzio deserto di luce abbagliante o di tenebra cupa. Ma l’uomo non poteva fare a meno della Luna. Era stata la sua prima testa di ponte nello spazio ed era tuttora la chiave per arrivare ai pianeti. Le astronavi che si recavano da un mondo all’altro ricevevano qui la loro massa propulsiva, riempiendo i loro grandi serbatoi di polvere sottile che i razzi a ioni avrebbero espulso in getti elettrificati. Poiché tale polvere era reperibile sulla Luna e non occorreva quindi trasportarla attraverso l’enorme campo gravitazionale terrestre, era stato possibile ridurre il costo dei viaggi spaziali di oltre dieci volte.
In più, come astronomi e fisici avevano detto, la Luna si era rivelata di immenso valore scientifico. Finalmente libera dall’atmosfera terrestre, l’astronomia aveva fatto passi da gigante. Ma si può dire che tutti i rami della scienza avessero ricavato grandi benefici dai laboratori lunari. Nonostante la loro ristrettezza mentale, i governanti della Terra una cosa l’avevano imparata bene: le ricerche scientifiche erano la linfa vitale della civiltà e costituivano l’unico investimento che avrebbe sicuramente pagato i dividendi per tutta l’eternità.
Lentamente, con innumerevoli e penose battute d’arresto, l’uomo aveva prima scoperto come fare a esistere, poi a vivere e infine a prosperare, sulla Luna. Aveva inventato di sana pianta tutta una nuova tecnica di meccanica del vuoto, di architettura e gravità ridotta, di controllo e temperatura dell’aria. Aveva sbaragliato i demoni gemelli del giorno e della notte lunari, anche se doveva stare costantemente in guardia contro il loro attacco. Il caldo torrido poteva far dilatare le cupole e fondere gli edifici. Il freddo atroce era capace di rompere qualsiasi struttura metallica che non fosse stata progettata in modo da salvaguardarsi da contrazioni quali mai si erano verificate sulla Terra. Ma, alla fine, tutti questi problemi erano stati risolti. E sulle lande dove un tempo l’uomo aveva faticosamente avanzato a piedi, ora le rotaie, luminose e comode, portavano a spasso i turisti provenienti dalla Terra.
Sotto certi aspetti, le condizioni ambientali erano state più di ausilio che d’ostacolo agli invasori. C’era, ad esempio, la questione dell’atmosfera lunare. Sulla Terra sarebbe stata considerata alla stregua di vuoto e non produceva effetti astronomici apprezzabili; con tutto ciò, serviva utilmente di protezione contro le meteore. In massima parte, le meteore vengono bloccate dall’atmosfera terrestre a una distanza superiore ai cento chilometri dalla superficie del globo. L’invisibile schermo della Luna è molto più efficace di quello terrestre, poiché grazie alla minor forza di gravità, si estende molto più in là nello spazio.
Probabilmente, la scoperta più sensazionale dei primi esploratori fu l’esistenza di una vita vegetale, altamente selezionata e complicata per poter vincere l’ambiente ostile.
Le piante lunari più comuni erano spesso dotate di escrescenze globulari e ricordavano i cactus. La loro scorza spessa proteggeva la scorta di acqua, ed erano munite, qua e là, di “finestre” trasparenti, in modo la lasciar filtrare la luce del Sole. Questa stupefacente particolarità, per quanto potesse sembrare sbalorditiva, si era già riscontrata in certe piante del deserto africano cui si presentava l’identico problema di catturare la luce solare senza perdere l’acqua. La particolarità peculiare delle piante lunari era invece il loro ingegnoso meccanismo per far provvista d’aria. Un elaborato sistema di feritoie e di valvole, simile a quello di certe creature marine che pompano acqua attraverso i loro corpi, funzionava da compressore. Le piante erano pazienti, capaci di aspettare anni sull’orlo dei grandi crepacci dal cui fondo prorompevano a volte tenui nubi di anidride carbonica o di zolfo provenienti dalle viscere della Luna. Allora feritoie e valvole si mettevano febbrilmente al lavoro, e le singolari piante succhiavano tutte le molecole con cui venivano in contatto prima che l’effimera nebbia lunare si disperdesse nel famelico vuoto dell’atmosfera.