— Torchy? Ah, vuoi dire mia sorella. Sempre con un nomignolo diverso, quella. Si chiama Betty e abita a Sydney, ma quando è qui si ferma da me. Forse te ne ho parlato. — Girò la testa e urlò: — Betty! Vieni qui a presentarti, ma in condizioni decenti.
— È troppo tardi per mettersi in condizioni decenti — rispose la voce allegra della ragazza. La vidi, dietro le spalle del capitano, tornare verso l’apparecchio e aggiustarsi un lava-lava ai fianchi. L’operazione le provocò qualche difficoltà. Doveva aver alzato il gomito. — Oh, al diavolo! Mio fratello sta sempre a cercare di insegnarmi l’educazione. Mio marito ci ha rinunciato. Guarda tesoro, ho sentito quello che hai detto. Sono la sua sorellina sposata, troppo vero. A meno che tu non abbia intenzione di sposarlo, nel qual caso sono la sua fidanzata. Vuoi accalappiarlo.
— No.
— Bene. Allora puoi prenderlo. Sto per preparare il tè. Tu bevi gin? O whisky?
— Quello che stavate bevendo tu e il capitano.
— Lui non deve bere niente. Parte fra meno di ventiquattro ore. Ma tu e io ci sbronzeremo.
— Berrò quello che bevi tu. Va tutto bene, a parte la cicuta.
A quel punto convinsi Ian che era meglio che mi trovassi da sola una carrozza all’aeroporto, dove non c’erano problemi; chiamarne una, venire a prendermi e tornare indietro gli avrebbe creato difficoltà.
Il numero 17 di Locksley Parade è un nuovo gruppo di appartamenti del tipo a doppie misure di sicurezza; entrare nell’appartamento di Ian fu come trovarsi sigillati in un’astronave.
Betty mi accolse con un abbraccio e un bacio che mi confermarono che aveva bevuto; poi il mio lupo riccioluto mi accolse con un abbraccio e un bacio che mi informarono che non aveva bevuto ma si aspettava di portarmi a letto nell’immediato futuro.
Non mi chiese dei miei mariti; io non offrii informazione sulla mia famiglia, la mia ex famiglia. Ian e io andavamo d’accordo perché capivamo tutti e due i segnali, li usavamo nel modo giusto, e non ci imbrogliavamo mai a vicenda.
Mentre Ian e io eravamo impegnati in questa discussione senza parole, Betty lasciò la stanza e tornò con un lava-lava rosso. — Il nostro è un tè d’alta classe — annunciò, con un ruttino — quindi togliti quei vestitacci da strada e metti questo, tesoro.
Un’idea di lei? O di lui? Di lei, decisi poco dopo. La lascivia di Ian era semplice, totale, chiara come un pugno alla mascella, ma lui era fondamentalmente un tipo squadrato. Betty no, era una fuorilegge ribelle.
La cosa non m’importava, visto che procedeva nella direzione desiderata.
I piedi nudi sono provocanti quanto i seni nudi, anche se molta gente pare non lo sappia. Una donna incartata solo in un lava-lava è molto più provocante di una completamente nuda.
La festa stava prendendo una piega che mi piaceva, e al momento buono sarebbe dipeso da Ian sfuggire alla sorveglianza della sorella.
Se fosse stato necessario. Non era impossibile che Betty si mettesse a vendere i biglietti. Il che non mi dava fastidio.
Mi sbronzai.
Con quanta cura e precisione lo scoprii solo il mattino dopo, quando mi svegliai a letto con un uomo che non era Ian Tormey.
Per diversi minuti rimasi immobile e lo guardai russare mentre frugavo tra i miei ricordi annebbiati dal gin, per inserire quel tizio nel contesto. Sono convinta che una donna debba essere presentata a un uomo, prima di passare la notte con lui.
Eravamo stati formalmente presentati? Anzi, ci eravamo conosciuti?
Le informazioni tornarono a brandelli. Nome: professor Federico Farnese, chiamato o "Freddie" o "Chubbie". (Il che, in inglese, significherebbe, "Grassoccio", ma lui non era molto grassoccio; solo un po’ di pancia per la professione sedentaria.) Marito di Betty, cognato di Ian. Lo ricordavo vagamente dalla sera prima, ma in quel momento (il mattino dopo) non riuscivo a ricordare quando fosse arrivato, o perché fosse stato fuori casa… Se mai lo avevo saputo.
Dopo averlo inquadrato, non fui particolarmente sorpresa di scoprire che avevo (sembravo avere) trascorso la notte con lui. Col mio stato d’animo della sera prima, nessun maschio sarebbe stato al sicuro da me. Ma una cosa mi preoccupava: avevo girato le spalle al mio ospite per dare la caccia a un altro uomo? Non è carino, Friday. Non è cortese.
Scavai, più a fondo. No, per lo meno una volta non avevo girato le spalle a Ian. Con mio grande piacere. E anche con piacere di Ian, se i suoi commenti erano sinceri. Poi, sì, gli avevo girato le spalle, ma dietro sua richiesta. No, non ero stata scortese col mio ospite, e lui era stato gentilissimo con me, e proprio nel modo che mi occorreva per dimenticare che la gang di razzisti intolleranti di Anita mi aveva truffata e scacciata.
Più tardi il mio ospite era stato aiutato dal nuovo arrivato, ora ricordavo. Non sorprende mai che una donna in preda a un subbuglio emotivo possa avere bisogno di essere calmata da più di un uomo; però non ricordavo come si fosse svolta la transazione. Uno scambio di partner? Non ficcare il naso, Friday! Una Pa non può provare o capire i diversi tabù umani legati alla copula; però io ne avevo mandato a memoria con estrema cura i molti, molti tipi durante l’addestramento di base come etera, e sapevo che questo è uno dei più forti, uno dei tabù che gli umani coprono anche quando tutto il resto è allo scoperto.
Così decisi di evitare anche il minimo accenno d’interesse.
Freddie smise di russare e aprì gli occhi. Sbadigliò e si stirò, poi mi vide e sembrò perplesso, poi all’improvviso sorrise e allungò le mani verso di me. Io risposi al sorriso e alle mani, pronta a collaborare di tutto cuore, quando entrò Ian. Disse: — Giorno, Marj. Freddie, mi ripugna interromperti, ma sotto c’è già un taxi che aspetta. Marj deve alzarsi e vestirsi. Partiamo subito.
Freddie non mi mollò. Sghignazzò un attimo, poi recitò:
— Capitano, il tuo senso del dovere e la preoccupazione per il benessere della nostra ospite ti fanno onore. Per quando devi essere al porto? Due ore prima del decollo? E parti al mezzogiorno di fuoco, al primo rintocco dell’orologio. No?
— Sì, però…
— Però Helen… ti chiami Helen?… Può benissimo presentarsi al cancello cosiddetto d’imbarco non più tardi dell’ora X meno trenta minuti. E a questo penserò io.
— Fred, non voglio fare il rompiscatole, ma lo sai che trovare un taxi qui può richiedere un’ora. E sotto ce n’è uno che mi aspetta.
— Com’è vero. I tassisti ci evitano; ai loro cavalli non piacciono le nostre colline. Per questo motivo, caro cognato in amore, la sera scorsa ho noleggiato un calesse, impegnando una borsa d’oro. In questo momento il vecchio e fedele Ronzinante si trova sotto questa casa in una delle stalle del custode, a recuperare le forze con pannocchiette di granturco per l’ardua prova che l’attende. Quando telefonerò giù, il suddetto custode, ben imbottito del mio denaro, aggiogherà la cara bestia e porterà calesse e cavallo all’ingresso. Dopo di che scorterò Helen al cancello non più tardi dell’ora X meno trentun minuti. Mi impegno solennemente sul grumo di carne più vicino al tuo cuore.
— Il tuo cuore, vuoi dire.
— Ho articolato la frase con la massima attenzione.
— Allora… Marj?
— Be’… A te va bene, Ian? Non ho voglia di lasciare il letto subito. Però non voglio nemmeno perdere la tua nave.
— Non la perderai. Freddie è affidabile; è solo che non lo sembra. Però partite da qui alle undici. Se fosse necessario, potreste arrivare a piedi. Posso tenerti il posto prenotato anche dopo l’imbarco. Un capitano gode di qualche privilegio. Okay, riprendete quello che stavate facendo. — Ian guardò l’orologio da dito. — Le nove. Ciao.