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— Tesoro — disse, puntando l’indice — guarda sotto il sedile là in fondo.

Mi spostai un po’. — Non vedo bene.

— L’ho progettata io così. L’acqua è chiara e si vede il fondo dappertutto. Ma nell’unico punto dove si riuscirebbe a vedere sotto il sedile, la luce si riflette sull’acqua e ti arriva negli occhi. Sotto il sedile c’è un tunnel. Non puoi vederlo da nessun punto, ma se ti ficchi a testa in giù nell’acqua lo sentirai tastando con le mani. È largo poco meno di un metro, alto circa mezzo metro, e lungo sei metri. Ti trovi a tuo agio nei posti chiusi? Hai problemi di claustrofobia?

— No.

— Benissimo. Perché l’unico modo per arrivare nel buco è riempirsi i polmoni d’aria, tuffarsi, e infilarsi nel tunnel. Spingersi avanti è abbastanza facile; sul fondo ci sono scanalature sporgenti. Però devi credere che non è troppo lungo, che riemergerai all’aperto prima che la tua scorta di fiato si esaurisca, e che ti basterà rimetterti in piedi per tornare a respirare. Sarai al buio, ma la luce si accende in fretta; è un interruttore a radiazioni termiche. Questa volta ti precederò io. Pronta a seguirmi?

— Penso di sì. Sì.

— Si parte. — Janet scese dal sedile, si spostò sul fondo della vasca. L’acqua le arrivava alla vita o un poco più sopra. — Un respiro profondo! — Si riempì i polmoni di aria, sorrise, scomparve sott’acqua e sotto il sedile.

Io scesi in acqua, mi iperventilai, e la seguii. Non vedevo il tunnel ma fu facile trovarlo al tatto, facile avanzare, grazie alle scanalature sul fondo spesse un dito. Però mi parve che il passaggio fosse parecchie volte più lungo di sei metri.

All’improvviso una luce si accese davanti a me. Tesi le braccia, mi tirai su; Janet mi diede una mano, mi aiutò a uscire dall’acqua. Mi trovai in una stanza molto piccola, col soffitto a non più di due metri dal pavimento in cemento. Era più carina di un loculo, ma non troppo.

— Girati cara. Di qui.

"Di qui" era una pesante porta d’acciaio alta sopra il pavimento che partiva dal soffitto; la attraversammo tirandoci a sedere sulla soglia e buttando i piedi dall’altra parte. Janet la chiuse alle nostre spalle; ci fu un soffio cupo, come fosse la porta di una cripta. — È a sovrappressione — spiegò lei. — Se una bomba cadesse nelle vicinanze, le onde d’urto farebbero arrivare l’acqua fin qui attraverso il tunnel. La porta la fermerebbe. Ovviamente, se ci centrassero in pieno… Non ce ne accorgeremmo nemmeno, per cui non ho preso precauzioni particolari. — Aggiunse: — Guardati in giro, ambientati. Ti cerco una salvietta.

Eravamo in una stanza lunga, stretta, col soffitto ad arco. Lungo la parete destra c’erano brandine, un tavolo con sedie e un terminale più indietro, e in fondo, sulla destra, una piccola galleria e una porta che evidentemente conduceva a un bagno, visto che Janet vi entrò e ne uscì subito con una grande salvietta.

— Stai buona e lasciati asciugare da mamma — disse. — Qui non ci sono apparecchi ad aria calda. Tutto è il più semplice e meno automatizzato possibile, e perfettamente funzionale.

Mi sfregò fino a farmi diventare rossa la pelle, poi presi io la salvietta e ripetei l’operazione su di lei. Fu un piacere, perché Janet è proprio un bel pezzo di donna. Alla fine lei disse: — Basta amore. Adesso ti faccio fare in tutta fretta il giro turistico da cinque dollari. Qui non ci tornerai più, a meno che non sia costretta a usarlo come rifugio… E potresti essere sola, sì, potrebbe succedere, e la tua vita potrebbe dipendere dal sapere tutto di questo posto.

"Per prima cosa, vedi quel libro appeso a una catena alla parete sopra il tavolo? Contiene le istruzioni e l’inventario e la catena non l’ho messa per scherzo. Con quel libro non hai bisogno del giro da cinque dollari. Lì dentro c’è scritto tutto. Aspirina, munizioni, o succo di mela, lì c’è tutto.

Però mi concesse, in fretta, un giro come minimo da tre dollari e novantacinque: scorte di cibo, frigorifero, scorte d’aria, pompa a mano per l’acqua nel caso dovesse mancare la pressione, abiti, medicinali, eccetera. — L’ho costruito — mi disse — per tre persone per tre mesi.

— Come fai per il ricambio delle scorte?

— Tu come faresti?

Riflettei. — Svuoterei la vasca di tutta l’acqua.

— Sì, esatto. C’è un serbatoio d’accumulo che non appare sulla pianta della casa. Niente di tutto questo è riportato sulla pianta. Ovviamente parecchie cose si possono bagnare o si possono portare qui in contenitori a tenuta stagna. Tra parentesi, la busta con le tue cose è intatta?

— Credo di sì. Ho fatto uscire tutta l’aria prima di sigillarla. Jan, questo posto non è un semplice rifugio antibomba, se no non avresti impiegato tanta fatica e soldi per nasconderne l’esistenza.

Lei si rannuvolò. — Amore, sei molto acuta. No, non mi sarei mai preoccupata di costruirlo se fosse un semplice rifugio antibomba. Se dovesse cadere una pioggia di bombe H, non avrei nessun’ansia particolare di sopravvivere. L’ho costruito in primo luogo per proteggerci da quelli che vengono pittorescamente definiti disordini civili.

Continuò: — I miei nonni mi raccontavano sempre di un’epoca in cui la gente era buona, cortese, e nessuno aveva paura di uscire di sera, e spesso non si chiudevano nemmeno le porte a chiave, e tanto meno si recingevano le case con steccati e mura e filo spinato e laser. Può darsi che sia vero; non sono tanto anziana da poterlo ricordare. Personalmente ho l’impressione che in vita mia le cose non abbiano fatto che peggiorare. Il mio primo lavoro, appena finita l’università, è stato progettare difese segrete per vecchi edifici da ristrutturare. Ma le attrezzature usate allora, e guarda che non sono passati tanti anni!, sono già obsolete. All’epoca l’idea era quella di fermare e spaventare l’intruso. Oggi si usano difese a due livelli. Se il primo livello non ferma l’intruso, il secondo lo ucciderà. È del tutto illegale, e chiunque possa permetterselo fa così. Marj, cosa non ti ho mostrato? Non guardare nel libro, non lo troveresti. Guarda nella tua testa. Qual è la caratteristica essenziale del buco che non ti ho fatto vedere?

(Voleva davvero che glielo dicessi?) — A me sembra completo… Basta che mi mostri gli Shipstone e gli Shipstone ausiliari.

— Pensaci, tesoro. La casa sopra di noi è ridotta in briciole. O magari è occupata da invasori. O dalla nostra stessa polizia che cerca te e Georges. Che altro ci occorre?

— Be’… Tutte le cose che vivono sottoterra, le volpi, i conigli, i roditori, hanno un’uscita di sicurezza.

— Brava! Dov’è?

Finsi di guardarmi attorno per cercarla. Ma in realtà una specie di prurito che senza dubbio risaliva all’addestramento intermedio (Non rilassatevi finché non avrete individuato la via di fuga) mi aveva spinta già prima a fare indagini. — Se si può scavare in quella direzione, direi che l’uscita di sicurezza dovrebbe essere in quell’armadio.

— Non so se congratularmi con te o riflettere su come avrei potuto nasconderla meglio. Sì, si entra nell’armadio e si gira a sinistra. Le luci si accendono alle radiazioni a trentasette gradi, come quando siamo emerse dal tunnel. Hanno un loro Shipstone e in pratica dovrebbero durare per l’eternità, però credo sia meglio portarsi una torcia elettrica e sai dove si trovano. Il tunnel è piuttosto lungo perché sbuca a una distanza notevole da casa nostra, in un ammasso di cespugli. C’è una porta camuffata, molto pesante, ma basta dare una spinta e poi si richiude da sola.

— Perfettamente studiato. Però, Jan, se qualcuno trovasse la porta ed entrasse di lì? O se lo facessi io? Sono praticamente un’estranea.

— Tu non sei un’estranea. Sei una vecchia amica che conosciamo da molto. Sì, esiste la vaga possibilità che qualcuno scopra la nostra porta, nonostante il posto in cui si trova e il modo com’è nascosta. Per prima cosa, un orribile allarme risuonerebbe in casa. Dopo di che guarderemmo coi monitor nel tunnel e vedremmo l’immagine su uno dei nostri terminali. A quel punto potremmo prendere diverse misure; la più mite è il gas lacrimogeno. Ma se non fossimo in casa al momento in cui la nostra porta viene scoperta, be’, mi spiacerebbe molto per Ian o Georges, o per tutti e due.