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Eravamo stati formalmente presentati? Anzi, ci eravamo conosciuti?

Le informazioni tornarono a brandelli. Nome: professor Federico Farnese, chiamato o «Freddie» o «Chubbie». (Il che, in inglese, significherebbe, «Grassoccio», ma lui non era molto grassoccio; solo un po’ di pancia per la professione sedentaria.) Marito di Betty, cognato di Ian. Lo ricordavo vagamente dalla sera prima, ma in quel momento (il mattino dopo) non riuscivo a ricordare quando fosse arrivato, o perché fosse stato fuori casa… Se mai lo avevo saputo.

Dopo averlo inquadrato, non fui particolarmente sorpresa di scoprire che avevo (sembravo avere) trascorso la notte con lui. Col mio stato d’animo della sera prima, nessun maschio sarebbe stato al sicuro da me. Ma una cosa mi preoccupava: avevo girato le spalle al mio ospite per dare la caccia a un altro uomo? Non è carino, Friday. Non è cortese.

Scavai, più a fondo. No, per lo meno una volta non avevo girato le spalle a Ian. Con mio grande piacere. E anche con piacere di Ian, se i suoi commenti erano sinceri. Poi, sì, gli avevo girato le spalle, ma dietro sua richiesta. No, non ero stata scortese col mio ospite, e lui era stato gentilissimo con me, e proprio nel modo che mi occorreva per dimenticare che la gang di razzisti intolleranti di Anita mi aveva truffata e scacciata.

Più tardi il mio ospite era stato aiutato dal nuovo arrivato, ora ricordavo. Non sorprende mai che una donna in preda a un subbuglio emotivo possa avere bisogno di essere calmata da più di un uomo; però non ricordavo come si fosse svolta la transazione. Uno scambio di partner? Non ficcare il naso, Friday! Una Pa non può provare o capire i diversi tabù umani legati alla copula; però io ne avevo mandato a memoria con estrema cura i molti, molti tipi durante l’addestramento di base come etera, e sapevo che questo è uno dei più forti, uno dei tabù che gli umani coprono anche quando tutto il resto è allo scoperto.

Così decisi di evitare anche il minimo accenno d’interesse.

Freddie smise di russare e aprì gli occhi. Sbadigliò e si stirò, poi mi vide e sembrò perplesso, poi all’improvviso sorrise e allungò le mani verso di me. Io risposi al sorriso e alle mani, pronta a collaborare di tutto cuore, quando entrò Ian. Disse: — Giorno, Marj. Freddie, mi ripugna interromperti, ma sotto c’è già un taxi che aspetta. Marj deve alzarsi e vestirsi. Partiamo subito.

Freddie non mi mollò. Sghignazzò un attimo, poi recitò:

Un uccellino con un biglietto gialloÈ venuto a svegliarmi al canto del gallo.Fissandomi con un occhio vivace ha chiesto:«Non ti vergoni, pigrone, di non essere desto?»

— Capitano, il tuo senso del dovere e la preoccupazione per il benessere della nostra ospite ti fanno onore. Per quando devi essere al porto? Due ore prima del decollo? E parti al mezzogiorno di fuoco, al primo rintocco dell’orologio. No?

— Sì, però…

— Però Helen… ti chiami Helen?… Può benissimo presentarsi al cancello cosiddetto d’imbarco non più tardi dell’ora X meno trenta minuti. E a questo penserò io.

— Fred, non voglio fare il rompiscatole, ma lo sai che trovare un taxi qui può richiedere un’ora. E sotto ce n’è uno che mi aspetta.

— Com’è vero. I tassisti ci evitano; ai loro cavalli non piacciono le nostre colline. Per questo motivo, caro cognato in amore, la sera scorsa ho noleggiato un calesse, impegnando una borsa d’oro. In questo momento il vecchio e fedele Ronzinante si trova sotto questa casa in una delle stalle del custode, a recuperare le forze con pannocchiette di granturco per l’ardua prova che l’attende. Quando telefonerò giù, il suddetto custode, ben imbottito del mio denaro, aggiogherà la cara bestia e porterà calesse e cavallo all’ingresso. Dopo di che scorterò Helen al cancello non più tardi dell’ora X meno trentun minuti. Mi impegno solennemente sul grumo di carne più vicino al tuo cuore.

— Il tuo cuore, vuoi dire.

— Ho articolato la frase con la massima attenzione.

— Allora… Marj?

— Be’… A te va bene, Ian? Non ho voglia di lasciare il letto subito. Però non voglio nemmeno perdere la tua nave.

— Non la perderai. Freddie è affidabile; è solo che non lo sembra. Però partite da qui alle undici. Se fosse necessario, potreste arrivare a piedi. Posso tenerti il posto prenotato anche dopo l’imbarco. Un capitano gode di qualche privilegio. Okay, riprendete quello che stavate facendo. — Ian guardò l’orologio da dito. — Le nove. Ciao.

— Ehi! Il bacio dell’addio!

— Perché? Ti rivedrò alla nave. E abbiamo un appuntamento a Winnipeg.

— Baciami, porca miseria, o perderò la fottuta nave!

— Allora sganciati da quel grassone di romano e stai attenta a non macchiare la mia uniforme immacolata.

— Non correre rischi, vecchio mio. Bacerò io Helen per te.

Ian si chinò e mi baciò con molta competenza, e io non gli sporcai la sua linda uniforme. Poi baciò la testa di Freddie al centro della pelata e disse: — Divertitevi, ragazzi. Ma portala al cancello in tempo. Ciao. — Betty diede un’occhiata in camera in quel momento; suo fratello la raccolse da terra con un braccio e la trascinò via.

Io riportai l’attenzione su Freddie. Lui disse: — Helen, preparati. — Mi preparai, pensando allegramente che Ian e Betty e Freddie erano proprio quello che ci voleva a Friday per rimettersi in pari dopo aver vissuto tanto, troppo a lungo con quegli ipocriti puritani.

Betty arrivò col tè del mattino al momento esatto, dal che dedussi che aveva origliato. Si mise nella posizione del loto sul letto e bevve una tazza con noi. Poi ci alzammo a fare colazione. Io presi porridge con panna, due magnifiche uova, prosciutto di Canterbury, una grossa braciola, patate fritte, tartine calde con marmellata di fragole e il miglior prosciutto del mondo, e un’arancia, il tutto annaffiato con tè nero forte e zucchero e latte. Se tutto il mondo facesse colazione come si fa in Nuova Zelanda, non ci sarebbero tensioni politiche.

Freddie per mangiare si mise un lava-lava, ma Betty no, e quindi nemmeno io.

Essendo cresciuta in un laboratorio, non ne saprò mai abbastanza di usanze umane ed etichetta, però so che un ospite di sesso femminile deve vestirsi o svestirsi, come la padrona di casa.

Non sono abituata a starmene nuda in presenza di umani (il laboratorio era un altro paio di maniche), ma Betty mi metteva enormemente a mio agio. Chissà se mi avrebbe respinta, se avesse saputo che non ero umana. Probabilmente no, ma non ero ansiosa di fare la prova. Una colazione allegra.

Freddie mi depositò nell’atrio passeggeri alle undici e venti, mandò a chiamare Ian e chiese una ricevuta. Ian gliela scrisse con solennità. Poi mi allacciò di nuovo la cintura della struttura antiaccelerazione, commentando piano: — L’altra volta non avevi nessun bisogno del mio aiuto, vero?

— No — ammisi — però sono contenta di avere fatto finta. Mi sono divertita da matti!

— E ci divertiremo anche a Winnipeg. Ho chiamato Janet durante il conto alla rovescia e l’ho informata che sarai da noi per cena. Mi ha detto di informarti che sarai da noi anche a colazione. Ha detto di dirti che è stupido lasciare Winnipeg nel mezzo della notte. Potresti fare una brutta fine. Ha ragione. Gli immigrati clandestini che ci arrivano dall’Impero potrebbero ucciderti per un tozzo di pane.

— Ne discuterò con lei quando arriviamo. — (Capitano Ian, razza d’imbroglione, mi avevi detto che non ti sposerai mai perché hai «l’istinto del lupo solitario». Chissà se lo ricordi? Credo di no.)

— È deciso. Forse Janet non si fida dei miei giudizi sulle donne. Dice che ho solo pregiudizi e istinti da porcellino. Però si fida di Betty e a quest’ora Betty le avrà telefonato. Conosceva Betty già prima di conoscere me; erano compagne di stanza alla McGill. È lì che io ho trovato Janet e Fred ha trovato la mia sorellina. Eravamo quattro sovversivi. Di tanto in tanto sganciavamo il mappamondo e appendevamo il polo nord all’ingiù.