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— No — disse Georges. — Non ci speculerò. Ci guadagnerò. Perché la scaricherò sulla nota spese, Jan, tesoruccio mio. Ma non alle tariffe sindacali minime. Vale di più. Una volta e mezzo?

— Come minimo. Io direi il doppio. Sii generoso, visto che in ogni caso non la pagherai. Non vorresti averla al campus? Nel tuo laboratorio, intendo.

— Una prospettiva notevole! Che avevo già in un angolo della mente… E grazie, nostro dolce tesoro, per averla portata allo scoperto. — Georges si rivolse a me: — Marjorie, mi venderesti un uovo?

Mi lasciò esterrefatta. Cercai di fingere di non aver capito. — Io non ho uova.

— Sì che ne hai! A dozzine, in effetti. Molte più di quante te ne possano mai occorrere per i tuoi scopi. L’ovulo umano è l’uovo di cui sto parlando. Il laboratorio paga gli ovuli molto più dello sperma. Semplice aritmetica. Sei scioccata?

— No. Sorpresa. Credevo fossi un artista.

Intervenne Janet. — Marj amore, te l’ho detto che Georges è un artista poliedrico. È la verità. Da un lato è un professore mendeliano di teratologia all’Università di Manitoba… ed è anche primo tecnologo dell’annesso laboratorio di produzione, e credimi, questo richiede arte sublime. Ma è anche bravo con vernici e tele. O con un monitor di computer.

— Esatto — convenne Ian. — Georges è un artista in tutto ciò che tocca. Ma voi due non avreste dovuto fare questa rivelazione alla nostra ospite. C’è gente che viene sconvolta dalla semplice idea della manipolazione genetica, specialmente dei suoi geni.

— Marj, ti ho sconvolta? Mi spiace.

— No, Jan. Non sono una che si sconvolge solo all’idea delle creature sintetiche o delle persone artificiali o che altro. Alcuni dei miei migliori amici sono esseri artificiali.

— Cara, cara — disse dolce Georges — non esagerare.

— Perché lo dici? — Cercai di evitare i toni taglienti.

— Io posso vantarmi di una cosa del genere, perché lavoro in quel campo e sono orgoglioso di dire che ho per amici molte persone artificiali. Ma…

Lo interruppi. — Credevo che una Pa non potesse conoscere i suoi progettisti.

— Questo è vero, e io non ho mai infranto la regola. Però ho molte occasioni di conoscere creature sintetiche e persone artificiali… non sono la stessa cosa… e di conquistarmi la loro amicizia. Però, scusami, cara Marjorie, a meno che tu non lavori nel mio settore… È così?

— No.

— Solo un ingegnere genetico o qualcuno addentro a questa industria possono vantarsi di avere amici fra le persone artificiali. Perché, mia cara, contrariamente al mito popolare, all’uomo comune non è possibile distinguere una persona artificiale da una naturale… e a causa degli orribili pregiudizi di gente ignorante, una persona artificiale non arriva quasi mai ad ammettere spontaneamente la propria origine. Sarei tentato di dire mai. Così, mentre mi delizia scoprire che l’idea di creature artificiali non ti dà la pelle d’oca, sono costretto a prendere la tua affermazione come un’iperbole tesa a dimostrare che non nutri pregiudizi.

— Be’… Okay. Prendila così. Non riesco a capire perché le Pa debbano essere considerate di seconda categoria. Per me è ingiusto.

— Lo è. Ma qualcuno si sente minacciato. Chiedilo a Ian. Partirà lancia in resta per Vancouver per impedire che le persone artificiali possano diventare piloti. Ha…

— Caaaalma! Un accidenti. Prenderò questa posizione perché l’hanno votata i colleghi del sindacato. Ma non sono un idiota, Georges. Vivere e parlare con te mi ha fatto capire che dovremmo arrivare a un compromesso. Noi non siamo più piloti. Non lo siamo dall’inizio del secolo. È il computer che fa tutto. Se il computer si guasta, io tenterò con vero spirito da boy scout di riportare a terra il mio bus volante. Ma non scommettere che ci riesca! Velocità e situazioni d’emergenza hanno scavalcato da anni i tempi umani di reazione. Oh, ci proverei! Come farebbero tutti i miei colleghi. Però, Georges, se tu riesci a progettare una persona artificiale talmente veloce di mani e di cervello da poter affrontare un imprevisto in fase d’atterraggio, me ne andrò in pensione. E comunque è solo per questo che lottiamo. Se la compagnia ci sostituisce con Pa, vogliamo pensioni e stipendio e indennità pieni. Ammesso che tu riesca a progettarle.

— Oh ci arriverò, prima o poi. Quando ne avrò ottenuta una, se mi daranno il permesso di clonare, voi piloti potrete andarvene tutti quanti a pescare. Ma non può trattarsi di una Pa; dovrà essere una creatura sintetica. Se devo cercare di produrre un organismo che sia davvero un pilota a prova di bomba, non posso accettare la limitazione di dargli un aspetto identico a quello umano.

— Non farlo!

I due uomini rimasero stupiti, Janet si tese; e io avrei tanto voluto non aver aperto bocca.

— Perché? — chiese Georges.

— Perché… Perché io non salirei mai su una nave del genere. Mi sentirei molto più al sicuro con Ian.

Ian disse: — Grazie, Marj, ma hai sentito quello che ha detto Georges. Sta parlando di un pilota artificiale che saprà cavarsela meglio di me. È possibile. Al diavolo, succederà! I coboldi hanno sostituito i minatori, e anche la mia categoria scomparirà. Non è detto che questo debba piacermi, però capisco che accadrà.

— Georges, tu hai lavorato con computer intelligenti?

— Certo, Marjorie. L’intelligenza artificiale è un campo vicinissimo al mio.

— Sì. Allora saprai che gli scienziati del settore hanno annunciato diverse volte di essere sul punto di arrivare al computer pienamente autocosciente. Ma nessun tentativo è mai riuscito.

— Già. Terribile.

— No. Inevitabile. Nessun tentativo riuscirà mai. Un computer può diventare autocosciente, sicuro. Portiamolo al livello umano di complicazione ed è autocosciente. Poi scopre di non essere umano. Poi si rende conto che non potrà mai essere umano; che può solo starsene lì a prendere ordini dagli umani. Dopo di che, impazzisce.

Scrollai le spalle. — È un dilemma insolubile. Non può essere umano, non potrà mai essere umano. Forse Ian non riuscirà a salvare i suoi passeggeri, ma tenterà. Invece un essere artificiale, non umano, senza il minimo attaccamento per la razza umana, potrebbe schiantarsi con la nave per puro e semplice piacere. Perché si è stancato di essere trattato da non umano. No, Georges. Io volerò sempre con Ian. Non con la tua creatura sintetica che potrebbe imparare a odiare gli umani.

— Non la mia creatura, cara signora — ribatté dolcemente Georges. — Non hai notato in che modo ho discusso del progetto?

— Forse no.

— Al condizionale, con molti se. Perché niente di quello che hai detto tu mi giunge nuovo. Non ho mai promesso di impegnarmi in questa impresa, e non lo farò. Io posso progettare un pilota perfetto. Ma non mi è possibile inserire in questa creatura l’impegno etico che è l’essenza del mestiere di Ian.

Ian era molto pensoso. — Forse nell’incontro con la direzione dovrei esigere a ogni costo che si misuri l’impegno etico di un eventuale pilota artificiale.

— E come lo misuri Ian? Io non ho modo di programmare l’impegno etico nel feto, e Marj ha già spiegato perché anche l’addestramento non servirebbe a nulla. Che prove si potrebbero usare?

Georges si girò verso di me. — Da studente ho letto diverse storie classiche sui robot umanoidi. Racconti affascinanti e molti erano imperniati sulle cosiddette leggi della robotica. Il concetto fondamentale era che in questi robot veniva programmata l’esigenza assoluta di non fare del male agli esseri umani, né direttamente né per inazione. Una trovata letteraria fantastica… Ma nella pratica com’era possibile? Cosa può dare il senso di lealtà per gli uomini a un essere autocosciente, non umano, intelligente, sia elettronico o organico? Io non so come fare. Gli specialisti di intelligenza artificiale mi sembrano allo stesso punto morto.