La celebrità…
Aspettai, con considerevole irrequietezza, che il giovanotto apparisse. Mi vergogno di ammettere che quel libro velenoso aveva avuto un effetto scellerato su di me. Era una notte fonda, quasi mattino; attorno regnava una quiete tombale; e se quel tesoro mi avesse toccata con una sola mano, c’era la forte probabilità che io dimenticassi di essere ancora, tecnicamente, invalida. Avrei avuto bisogno di una cintura di castità con un lucchetto grosso così.
Ma non era lui; il dolce tesoro era fuori servizio. La persona che si presentò con la ricevuta era la donna matura che mi aveva risposto al terminale. Provai insieme, sollievo e delusione; e vergogna di me stessa alla delusione. La convalescenza rende tutti irresponsabilmente lascivi? Gli ospedali hanno problemi di disciplina interna? Non sono stata malata tanto spesso da saperlo.
L’impiegata del turno di notte mi diede la ricevuta in cambio del libro, poi mi sorprese con: — E a me non dài un bacio?
— Oh, c’eri anche tu?
— C’erano tutti i vivi disponibili, mia cara. Quella notte eravamo mostruosamente a corto di personale. Non sarò il campione del mondo, ma ho avuto un addestramento di base come chiunque altro. Sì, c’ero. Non me lo sarei mai perso.
Dissi: — Grazie di avermi salvata — e la baciai. Cercai di limitarmi a un gesto puramente simbolico, ma lei prese il comando e controllò gli sviluppi della situazione. Che fu calda e affannosa. In modo perfettamente chiaro, meglio che a parole, quella donna mi stava dicendo che se solo avessi deciso di cambiare sponda, lei sarebbe stata lì ad aspettarmi.
Cosa si fa in casi simili? Esistono situazioni umane per le quali non è previsto alcun protocollo. Aveva appena ammesso di aver rischiato la vita per salvare la mia; ed era esattamente così, perché la spedizione di soccorso non era stata la cosuccia innocua che poteva sembrare dal racconto di Boss. Boss tende tanto ad attenuare la realtà che potrebbe descrivere la distruzione totale di Seattle come «una perturbazione sismica». Se l’avevo ringraziata per avermi salvato la pelle, potevo rifiutarla?
Non potevo. Lasciai che la mia metà del bacio rispondesse al suo messaggio senza parole; e incrociai le dita, augurandomi di non dover mai tener fede alla promessa implicita.
Dopo un certo tempo lei interruppe il bacio, ma continuò a tenermi stretta. — Tesoro — disse — vuoi sapere una cosa? Ricordi come hai tenuto testa a quel verme che chiamavano Maggiore?
— Ricordo.
— In giro c’è un nastro pirata di quella scena. Quello che gli hai detto, e il modo in cui lo hai detto, è enormemente ammirato da tutti quanti. Soprattutto da me.
— Interessante. Sei tu lo spiritello che ha fatto la copia del nastro?
— Come puoi pensare una cosa del genere? — Sorrise. — Ti spiace?
Ci riflettei su per tre interi millisecondi. — No. Se le persone che mi hanno salvata si divertono a sentire quello che ho detto a quel bastardo, non mi dà fastidio. Però di solito non parlo a quel modo.
— Nessuno lo pensa. — Un bacetto veloce. — Ma lo hai fatto quando era necessario, e hai reso orgogliosa ogni donna dell’agenzia. Anche gli uomini, a dire il vero.
Non pareva disposta a lasciarmi andare, ma l’infermiera di notte apparve proprio allora e mi disse seccamente che dovevo coricarmi e che mi avrebbe fatto un’iniezione per dormire. Io opposi le consuete proteste formali. L’impiegata disse: — Ciao, Blondie. ‘Notte. ‘Notte anche a te tesoro. — Se ne andò.
Blondie (non è il suo nome; è per via del cachet) disse: — La vuoi nel braccio? O nella gamba? Non fare caso ad Anna. È innocua.
— È a posto. — Mi venne in mente che probabilmente Blondie poteva seguire, sui suoi monitor, sia il video che l’audio. Probabilmente? Senza dubbio! — C’eri anche tu? Alla fattoria? Quando la casa è stata incendiata?
— Non mentre la casa bruciava. Ero su un Vma, a portarti qui alla massima velocità possibile. Eri ridotta piuttosto male, Friday.
— Ci credo. Grazie. Blondie? Vuoi darmi il bacio della buonanotte?
Il suo bacio fu caldo e privo di complicazioni.
Più tardi scoprii che lei era stata uno dei quattro che erano corsi su per le scale a liberarmi: un uomo col suo grosso tagliabulloni, gli altri due armati che sparavano… e Blondie che trascinava da sola la barella. Ma non ne fece mai cenno, né allora né in seguito.
Ricordo quella convalescenza come il primo periodo in vita mia (a parte le vacanze a Christchurch) di tranquilla, dolce felicità; ogni giorno, ogni notte. Perché? Perché ero a casa mia!
Ovviamente, come tutti avranno indovinato da questo resoconto, avevo un passato alle spalle. Sulla mia carta d’identità non era più stampigliato un grosso Csv, e nemmeno un Pa. Potevo entrare in una toilette senza sentirmi ordinare di usare l’ultimo cubicolo in fondo. Ma una carta di identità falsa e un albero genealogico fasullo non ti danno calore; ti salvano semplicemente da prepotenze e discriminazioni. Sai sempre che non esiste nazione che ti consideri degna della cittadinanza, e che un’infinità di posti sarebbero pronti a deportarti o persino ucciderti, o venderti, se nella tua copertura si aprisse una falla.
Una persona artificiale sente la mancanza dell’albero genealogico molto più di quanto possiate credere. Tu dove sei nato? Io non sono esattamente nato; sono stato progettato nel laboratorio di ingegneria genetica della Tri-University, a Detroit. Oh, davvero? lo sono stata concepita dalla Mendelian Associates, a Zurigo. Meravigliose chiacchiere! Non le sentirete mai. Non reggono davanti ad antenati sul Mayflower o nel Grande libro del Catasto d’Inghilterra. I miei documenti (o un gruppo di documenti) dicono che sono «nata» a Seattle; una città distrutta è un ottimo posto per documenti scomparsi. Ed è anche un posto grandioso per perdere tutti i parenti.
Dato che non sono mai stata a Seattle, ho studiato con estrema cura tutta la documentazione e le immagini che ho potuto trovare. Un indigeno di Seattle genuino al cento per cento non può fregarmi. Credo. O per lo meno non è ancora successo.
Ma quello che mi regalarono mentre mi riprendevo da uno stupido stupro e da un interrogatorio non troppo divertente non era fasullo, e non dovevo preoccuparmi di stare attenta alle mie bugie. Non solo Blondie e Anna e il ragazzo giovane (Terence), ma più di un’altra ventina di persone prima che il dottor Krasny mi dimettesse. E non solo le persone con cui ebbi contatti diretti. Anche altra gente aveva partecipato al raid; non so quanti. La dottrina di Boss impedisce ai membri della sua organizzazione di incontrarsi, salvo i casi creati dalle esigenze di un incarico. Nello stesso modo, lui schiva con estrema testardaggine le domande. È impossibile svelare segreti che non si conoscono, ed è impossibile tradire una persona di cui si ignora addirittura l’esistenza.
Ma Boss non coltiva regole per amore delle regole. Conosciuto un collega sul lavoro, si può continuare a vedersi. Boss non incoraggia queste amicizie, però non è un idiota e non cerca nemmeno di proibirle. Di conseguenza, Anna venne a trovarmi spesso, la sera tardi, prima di montare di turno.
Non tentò mai di reclamare la sua libbra di carne. Non ci furono molte occasioni, ma avremmo potuto trovarne una, se avessimo provato. Io non cercai di scoraggiarla; anzi no, al diavolo: se avesse mai deciso di presentarmi il conto, non solo avrei pagato volentieri, ma avrei tentato di convincerla che l’idea era partita da me.
Però non lo fece. Penso fosse come quei maschi sensibili (e piuttosto rari) che non assediano mai la donna che non vuole essere assediata: se ne rendono conto e non cominciano nemmeno.
Una sera, poco prima di essere dimessa, ero particolarmente felice. Quel giorno mi ero fatta due nuovi amici, «amici di bacio», persone che avevano combattuto nel raid che mi aveva salvata; e cercai di spiegare ad Anna perché tutto quello significasse così tanto per me, e mi accorsi che stavo cominciando a raccontarle che non ero esattamente come sembravo.