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Seguivano interviste ad alcuni changer e rilievi psicologici. Cleo lesse che i principali fruitori della nuova tecnologia erano stati i maschi, e la loro decisione era da attribuire a ragioni sessuali, e che spesso il cambiamento di sesso era stato permanente. Al giorno d’oggi c’era qualche probabilità in più che il changer fosse nato femmina e che venisse indotto al cambiamento da motivi sociali, il più comune dei quali era l’onere della gravidanza. Ma l’attuale changer non si attribuiva alcun ruolo. In un individuo, l’intervallo medio tra un cambiamento e l’altro era di due anni, e diminuiva rapidamente.

Cleo lesse l’articolo per intero, poi pensò di utilizzare i riferimenti bibliografici che recava alla fine. Non c’era nulla di veramente nuovo. Lei si era accorta di quel fenomeno, senza rifletterci molto. L’idea non l’aveva mai interessata e Jules era contrario. Ma per qualche ragione, quella mattina, l’aveva pungolata.

Feather si era addormentata. Cleo, con cautela, rimboccò la coperta attorno al viso della bambina, asciugandosi le tracce di latte dal seno. Ripiegò il notiziario e lo ritirò in borsa, quindi appoggiò il mento nel palmo della mano e guardò fuori dal finestrino per il resto del viaggio.

Cleo era capo architetto nel cantiere della società Sistemi Alimentari, una piantagione che sorgeva sul declivio di Hartman. In quanto tale, lei aveva alle sue dipendenze tre giovani architetti, cinque capi-costruzione e una schiera di disegnatori e operai. Si trattava di un grande progetto, il più grande che avesse mai guidato.

Amava la sua professione, ma preferiva esercitarla rimanendo in cantiere, dove erano in corso i lavori, controllando le cose di persona, anziché restare dietro ad una scrivania. L’ultimo mese della gravidanza di Feather non era stato facile, ma almeno per quello c’erano le tute a pressione premaman. Adesso, invece, era anche più problematico.

Aveva già fatto quell’esperienza con Lilli e Paul. Tutti lavoravano. Questa era stata la regola per oltre un secolo, dai tempi dell’Invasione. Non si potevano sprecare energie per allevare i figli, perciò averne uno significava che la madre o il padre dovevano sì continuare a lavorare, ma prendendosi anche cura del bambino. In pratica, però, era sempre la madre ad occuparsene, visto che era lei ad allattarlo.

Cleo aveva provato a lasciare Feather ad una delle donne in ufficio, ma tutte avevano il loro lavoro da sbrigare e ritenevano, non senza ragione, che Cleo avrebbe dovuto occuparsi da sola dei figli. E Feather non sembrava a suo agio con altre persone. Ogni volta che tornava in ufficio, Cleo veniva regolarmente informata che Feather aveva pianto per tutto il tempo, interrompendo il lavoro di ciascuno. Alcune volte aveva messo Feather in una carrozzina ma non era la stessa cosa.

Quella mattina c’era in programma una riunione. Per tre ore Cleo e i capi dell’altra sezione rimasero seduti attorno al grande tavolo, discutendo dei sistemi per contenere l’incremento dei costi, quindi fecero una pausa per il pranzo e tornarono ad occuparsi del problema nel pomeriggio. Cleo aveva la schiena a pezzi e un terribile mal di testa: perciò Feather scelse proprio quel giorno per fare i capricci. Dopo dieci minuti di occhiatacce sempre più frequenti, dovette ritirarsi nella toilette con Leah Farnham, la contabile, e con suo figlio Eddie, che aveva tre anni. Entrambe continuarono a seguire la discussione per mezzo degli auricolari, cercando al tempo stesso di badare ai bambini e fare le loro osservazioni attraverso il microfono. Quando parlava, metà delle persone che erano al tavolo doveva girarsi oppure ignorarla, e Cleo esitava a costringerli a quella scelta. Come risultato decise di intervenire con molta prudenza. Per lo più restò zitta.

Cleo considerò, e non per la prima volta, che all’interno del mondo degli affari vi era un atteggiamento di rifiuto ad adattarsi alla presenza dei bambini in una sala di consiglio, mentre sembrava si facesse ogni sforzo per favorire le madri lavoratrici.

Ma lei che cosa voleva? Onestamente, non sapeva cos’altro si potesse fare. Di certo non era giusto mandare a monte la riunione a causa di un bambino che piangeva. Avrebbe voluto conoscere la risposta. Quelli là fuori erano suoi amici, eppure, guardando attraverso la parete di cristallo che Eddie stava insudiciando con la punta delle dita, provava un’intensa sensazione di estraneità.

Per fortuna Feather al ritorno fu un vero e proprio angioletto. Borbottava e sorrideva senza denti a una donna che si era fermata a guardarla e, per la prima volta quel giorno, Cleo provò simpatia per la piccola. Passò il viaggio giocherellando con le sue mani, circondata dai sorrisi di approvazione degli altri passeggeri.

— Jules, questa mattina ho letto un articolo interessantissimo nel notiziario. — Ecco, in qualche modo l’aveva detto. Aveva deciso che l’approccio diretto sarebbe stato il migliore.

— Hmm?

— Riguardava il cambiare sesso. Sta diventando sempre più comune.

— Davvero? — Lui non alzò gli occhi dal libro.

Jules e Cleo avevano l’abitudine di passare qualche ora seduti sul letto, dopo che i bambini si erano addormentati. Lasciavano perdere i programmi video, fatti per distrarre i lavoratori dopo una dura giornata, e preferivano impiegare il loro tempo per aggiornarsi nella lettura oppure per fare conversazione, se uno dei due suggeriva un argomento interessante. Negli ultimi due anni avevano passato sempre più tempo a leggere e sempre meno a parlare.

Cleo si sporse sopra il lettino di Feather e prese un pacchetto di spinelli. Ne accese uno sfregando il fiammifero sull’unghia del pollice, aspirò ed esalò una nuvoletta di fumo che sapeva di lavanda. Incrociò le gambe ed appoggiò la schiena alla parete.

— Pensavo solo che avremmo potuto discuterne. Ecco tutto.

Jules posò il libro. — D’accordo. Ma per dire cosa? Non ci riguarda.

Lei scrollò le spalle e si mordicchiò la base delle unghie. — Lo so. Ma una volta ne parlavamo. Mi chiedevo se sei ancora della stessa opinione. — Gli porse lo spinello e lui ne aspirò una boccata.

— Che io sappia, è ancora la stessa — disse semplicemente. — Non è un argomento al quale dedico molta attenzione. Perché me lo chiedi? — La guardò con sospetto. — Non avrai qualche intenzione in proposito, vero?

— No, non esattamente. No. Ma devi proprio leggere quell’articolo. È sempre più diffuso. Pensavo soltanto che dovremmo saperne di più.

— Sì, ne ho sentito parlare — ammise Jules. Incrociò le mani dietro la nuca. — Ma non se ne può discutere, a meno che tu non abbia lavorato con queste persone che, da un giorno all’altro, si ritrovano con un nuovo equipaggiamento. — Rise. — Dapprima mi era difficile abituarmi, adesso invece non vi faccio quasi più caso.

— Anch’io.

— Non costituiscono un problema — disse Jules, in tono definitivo. — Vivi e lascia vivere.

— Già. — Cleo fumò in silenzio per qualche istante, lasciando che Jules riprendesse a leggere, ma si sentiva ancora a disagio. — Jules?

— Che c’è ora?

— Hai mai pensato a come dev’essere?

Lui sospirò e chiuse il libro, poi si girò a guardarla.

— Questa sera non riesco proprio a capirti — disse.