— Be’, forse neanch’io, ma potremmo parlarne…
— Ascolta. Hai pensato alle conseguenze che avrebbe sui bambini? Voglio dire: supponiamo di prendere seriamente in considerazione quest’ipotesi, anche se non è il nostro caso.
— Ne ho parlato con Lilli. Solo in astratto, capisci. Mi ha detto di avere due insegnanti che hanno cambiato sesso, e una delle sue migliori amiche prima era un maschio. A scuola sono piuttosto pochi i ragazzi che hanno cambiato sesso. Lei non ha problemi.
— Sì, ma lei è la più grande. E Paul? Che ne sarebbe del suo sentirsi maschio? Ti dirò, Cleo, c’è qualcosa che continua a farmi ritenere questa faccenda francamente disgustosa. Sento che avrebbe un effetto negativo sui bambini.
— Ma non secondo…
— Cleo, Cleo. Non entriamo in argomento. Primo, non ho alcuna intenzione di cambiare sesso, né ora né in futuro. Secondo, se solo uno di noi due l’avesse cambiato, sicuramente la nostra vita sessuale sarebbe un inferno, vero? E terzo, mi piaci troppo così come sei. — Si chinò su di lei e la baciò.
Cleo era piuttosto seccata, ma non disse nulla quando i baci si fecero più intensi. Era un modo dannatamente efficace per troncare una conversazione. E non poteva neppure mostrarsi arrabbiata: rispondeva alle effusioni contro la sua volontà, facilmente e con naturalezza.
Era piacevole come sempre, con Jules. Il soffitto così familiare divenne ancora una volta un rilassante spazio vuoto che assorbiva i suoi pensieri.
No, non si lamentava di essere femmina, non aveva alcuna insoddisfazione sessuale. Non c’era niente di più semplice.
Poco dopo era distesa su un fianco, le gambe piegate e le ginocchia unite. Si mise di fronte a Jules, il quale le accarezzava distrattamente le gambe. Teneva gli occhi chiusi, ma non dormiva. Si stava godendo quella sensazione di calore che conservava così a lungo dopo il sesso; l’umore viscoso tra le gambe, il piacere dello sperma dentro di sé.
Percepì il movimento del letto quando lui si scostò.
— Ti è piaciuto, vero?
Socchiuse un occhio, quanto bastava per un’occhiata furtiva.
— Certo. Come sempre. Lo sai che non ho mai avuto problemi in quel senso.
Si lasciò cadere sul cuscino, rilassato. — Mi spiace di… Be’, di esserti saltato addosso a quel modo.
— Niente di grave. È stato bello.
— Avevo solo la sensazione che tu avessi potuto… fingere. Non so perché mi è venuto in mente.
Lei aprì anche l’altro occhio e gli diede dei gentili buffetti sulla guancia.
— Jules, non prenderei mai le difese del tuo fragile ego. Se non mi soddisferai, sarai il secondo a saperlo.
Lui borbottò qualcosa, poi si girò sul fianco per baciarla.
— Buonanotte, piccola.
— ’Notte.
Lei lo amava. Lui la amava. La loro vita sessuale era serena — con la tenue riserva mentale che lui sembrava sempre farlo per la prima volta — ed era soddisfatta del suo corpo.
Allora, perché era ancora sveglia tre ore dopo?
Quel sabato mattina passò alcune ore al videofono per fare la spesa. Comprò il necessario per la famiglia, che sarebbe stato consegnato nei pomeriggio, poi uscì per il genere di acquisti che sognava: cioè andare di negozio in negozio alla ricerca di ciò di cui non aveva realmente bisogno.
Al sabato Feather era affidata a Jules. Da sola e in tutta tranquillità si gustò il pranzo su un tavolino nella piazza del parco, e successivamente si trovò a passeggiare lungo la Brazil Avenue, nel cuore del distretto medico. D’istinto entrò nel Salone del Nuovo Corpo Ereditario.
Solo dopo essere entrata ammise a se stessa di aver trascorso la maggior parte della mattinata a coltivare quell’impulso.
Era tesissima quando attraversò il vestibolo, verso una sala di consultazione, e dovette sforzarsi di sorridere al giovane di bell’aspetto che stava dietro la scrivania. Si mise a sedere, posò i pacchi della spesa sul pavimento e unì le mani in grembo. Il giovane le chiese in che cosa poteva esserle utile.
— Non sono venuta per un intervento — disse. — Desideravo informarmi sui prezzi, e forse conoscere qualcosa di più sui processi che il cambiamento implica.
L’uomo annuì comprensivamente e si alzò.
— La prima consultazione è gratis — disse lui. — Noi siamo felici di rispondere alle sue domande. Comunque, il mio nome è Marion, e questo mese va pronunciato con la «O». — Sorrise e la invitò a seguirlo. La fece sostare di fronte ad uno specchio che rifletteva per intero la sua immagine.
— So che non è facile fare il primo passo. Non lo è stato neppure per me, e ora è il mio lavoro. Perciò abbiamo ideato questa dimostrazione che non le costerà nulla, né in denaro né in preoccupazioni. È una maniera innocua per saperne di più, ma potrebbe rimanerne sorpresa, così si prepari. — Toccò un pulsante sul muro, a lato dello specchio, e Cleo vide scomparire i suoi vestiti. Si accorse che non si trattava di uno specchio, ma di uno schermo olografico collegato ad un computer.
Il computer apportò alcune modifiche all’immagine. In trenta secondi si trovò di fronte un maschio sconosciuto. Non c’erano dubbi che quella faccia fosse la sua, ma era più spigolosa, forse un po’ più ampia nella sua struttura ossea. La pelle sotto la mascella dello sconosciuto era ispida, come se avesse bisogno di una rasatura.
Il resto del corpo era come poteva aspettarsi, anche se forse un po’ troppo muscoloso per i suoi gusti. Al pene diede poco più di un’occhiata; in fondo non sembrava attribuirgli grande importanza. Studiò con maggiore attenzione la peluria sul petto, i piccoli capezzoli e le rughe che erano apparse sulle mani e sui piedi. L’immagine mimava ogni suo movimento.
— Perché tutti quei muscoli? — chiese a Marion. — Se è questo che cercate di vendermi, avete sbagliato tattica.
Marion schiacciò altri pulsanti. — Non sono stato io a scegliere questa immagine — spiegò. — Il computer rappresenta ciò che vede e lo estrapola. Lei è più muscolosa di quanto lo sia in media una donna. Probabilmente si tiene in esercizio. Questo è ciò che un allenamento analogo avrebbe prodotto se gli ormoni maschili avessero fissato l’azoto nei muscoli. Ma non è vincolante.
L’immagine perse una massa di circa otto chili, soprattutto nelle spalle e nelle cosce. Cleo si sentì un po’ più a suo agio, ma non provava ancora la stessa tranquillità con cui era solita guardarsi nello specchio.
Si allontanò dallo schermo e tornò alla sedia. Marion prese posto sull’altro lato e incrociò le mani sulla scrivania.
— In sostanza, ciò che facciamo è clonare un corpo da una delle sue cellule. Attraverso un processo chiamato Sostituzione Virale del Ricombinantey, rimuoviamo uno dei cromosomi X e lo sostituiamo con un Y.
Il clone è portato a maturazione col solito procedimento, il quale richiede sei mesi. Dopodiché, si tratta solo di un semplice trapianto di cervello, senza rischio di rigetto. Si entra donna, e un’ora dopo si esce uomo. Semplicissimo.
Cleo non disse nulla, domandandosi ancora una volta perché mai si trovasse lì.
— Su questa base noi possiamo modificare il corpo. Possiamo renderla di statura più alta o più bassa, cambiarle i lineamenti del viso; in teoria, qualunque cosa desideri. — Inarcò le sopracciglia, quindi sorrise con discrezione e allargò le mani.
— Bene, signora King. Non cerco di forzarla. Ha bisogno di riflettere. Ma nel frattempo, c’è un procedimento che le costerà molto poco e che può aiutarla a farsene un’idea. Ho ragione a credere che suo marito è contrario?
Lei annuì, e il giovane si mostrò comprensivo.
— Non è raro, non è raro affatto — l’assicurò. — Sprigiona le paure di castrazione in uomini che mai avevano sospettato di avere. Ovviamente, noi non facciamo niente del genere. Il suo corpo maschile verrebbe tenuto in un contenitore, pronto per essere usato ogni volta che vorrà.