Rimase in bagno a lungo, lasciando che Jules terminasse di leggere, poi uscì e mise il libro da una parte. In un attimo fu sopra di lui, premendo delicatamente con il suo corpo, baciandolo e solleticandogli i capezzoli con le dita.
Era aggressiva ed insistente. Sulle prime lui parve riluttante, ma ben presto cominciò a rispondere alle effusioni, quando lei premette le labbra sulle sue, facendogli affondare la testa nel cuscino.
— Ti amo — disse Jules, sollevando la testa per baciarle il naso. — Sei pronta?
— Sì. — La abbracciò e la tenne stretta, poi si girò passando sopra di lei.
— Jules. Jules. Fermati. — Si divincolò verso il suo lato del letto, le gambe serrate.
— Che c’è che non va?
— Questa notte voglio stare io sopra.
— Oh. D’accordo. — Si girò di nuovo e si distese passivamente mentre lei si rimise in posizione. Il cuore le batteva forte. Non c’era stato alcun motivo di credere che lui si sarebbe rifiutato… Avevano fatto l’amore in tutte le posizioni ma, in sostanza, le più esotiche costituivano una variazione di quella «naturale», cioè con lei distesa sulla schiena. Quella sera lei voleva assumere il controllo.
— Apri le gambe, tesoro — disse con un sorriso. Lui obbedì, ma non le restituì il sorriso. Si sollevò sulle mani e sulle ginocchia e si preparò per l’elaborata penetrazione.
— Cleo.
— Che c’è? Sarà un po’ più impegnativo, ma credo che non ti darò motivo di pentirtene, perciò se tu soltanto…
— Cleo, vuoi spiegarmene la ragione? — Lei si fermò improvvisamente, abbassando la testa con un sospiro.
— Quale è il problema? Ti senti stupido con le gambe in aria?
— Può darsi. È questo che vuoi?
— Jules, l’ultima cosa che desidero è proprio quella di umiliarti.
— Che cosa avevi in mente allora? Le altre volte non l’abbiamo mai fatto in questo modo. È…
— Solo quando tu decidi di farlo così. Dipende sempre da te.
— Non è umiliante stare sotto.
— E allora perché ti senti stupido?
Lui non rispose. Cleo si sollevò da lui e si inginocchiò ai suoi piedi. Rimase in attesa, ma non sembrava che lui volesse parlarne.
— Non mi sono mai lamentata di quella posizione — azzardò. — Non ho nessuna critica. Funziona piuttosto bene. — Jules rimase in silenzio. — E va bene. Volevo vedere come si sta di sopra. Ero stufa di guardare il soffitto. Ero curiosa.
— Ecco perché mi sono sentito stupido. Non mi è mai importato che tu stessi sopra, no? Ma prima… non sussistevano le circostanze di queste ultime due settimane. Io so cosa ti passa per la testa.
— E tu ne sei spaventato. Perché il cambiamento mi incuriosisce, perché voglio sapere che cosa significa prendere l’iniziativa. Sai che non posso costringerti a cambiare, e non lo farei neppure se potessi.
— Ma la tua curiosità sta mettendo in pericolo il nostro matrimonio.
Fu di nuovo sul punto di piangere, ma non lo diede a vedere, se non attraverso il tremolio del labbro inferiore. Non voleva che lui ci provasse e la tranquillizzasse; sarebbe stato fin troppo facile, e avrebbe finito per trovarsi distesa sulla schiena e con le gambe in aria. Guardò il letto e annuì lentamente, quindi si alzò. Andò davanti allo specchio, e cominciò a passare la spazzola tra i capelli.
— Che stai facendo ora? Non possiamo discuterne?
— Adesso non me la sento proprio di parlarne. — Continuando a pettinarsi, si chinò in avanti e si osservò il viso, quindi si passò un fazzolettino agli angoli degli occhi. — Io esco. Sono ancora curiosa.
Jules non disse nulla mentre lei si diresse verso la porta.
— Potrei fare un po’ tardi.
Il posto si chiamava Oophyte. Sotto la «O» maiuscola era tracciato un più, mentre in alto sul lato destro, c’era una freccia. L’insegna era disposta in modo che i simboli ruotassero su se stessi; il più e la freccia si alternavano all’interno della «O».
Cleo attraversò l’affollata sala da ballo immersa in una piacevole nebbiolina, fermandosi ogni tanto ad aspirare una boccata di fumo dal suo spinello. L’aria della sala era appesantita dal fumo di lavanda, illuminata da lampeggianti luci blu. Quando si sentì dell’umore adatto, cominciò a ballare. La musica era così assordante che non le costò alcuna fatica. Il rumore le penetrò nelle ossa e animò spontaneamente le gambe e le braccia. Scivolò attraverso una foresta di pelle nuda, avvertendo ogni tanto la ruvidità di un abito di carta e, più raramente, di costosi indumenti di cotone. Era come muoversi sott’acqua, come avanzare nella melassa.
Lo vide dall’altra parte della pedana di ballo e cominciò a muoversi nella sua direzione. Per un po’ lui fece finta di niente, anche se lei gli ballava proprio di fronte. Pochi di quelli che ballavano avevano un partner che non fosse occasionale. Alcuni esprimevano gioia di vivere, altri si mettevano in mostra, ma tutti erano in cerca di un partner: così alla fine lui si accorse che quella donna gli stava vicino da troppo tempo. Lui rimase colpito quanto lei.
Lei gli disse ciò che desiderava.
— Certo. Dove vuoi andare? Da te?
Passando per la sala da ballo lo condusse sul retro e col suo braccialetto di credito sfiorò la serratura di una delle porte. La stanza era modesta, ma pulita.
Una parte della sua mente pensò che l’uomo sembrava il suo fantasmatico gemello riflesso nello specchio. Forse era quello il motivo per cui l’aveva scelto. Lo abbracciò e lo spinse gentilmente sul letto.
— Vuoi che ci presentiamo? — chiese lui. Il largo sorriso sul suo volto si fece più sciocco mentre lei cominciò a prendere l’iniziativa.
— Non m’importa. Voglio soprattutto servirmi di te.
— Fai pure, allora. Mi chiamo Zafferano.
— Io sono Cleopatra. Ti vuoi sdraiare, per favore?
Si sdraiò. E anche lei. Faceva caldo in quella stanzetta, ma non importava a nessuno dei due. Era uno sforzo salutare, le sensazioni fisiche erano intense, e quando Cleo ebbe finito, capì di non avere imparato nulla. Crollò su di lui. Non sembrò sorpreso quando le lacrime scivolarono sulla sua spalla.
— Mi spiace — disse lei, mettendosi a sedere e preparandosi per uscire.
— Non andartene — fece lui, posandole la mano sulla spalla. — Forse possiamo fare l’amore, adesso che ti sei sfogata.
Cleo non voleva sorridere ma non poté farne a meno; e poi ricominciò a piangere più intensamente e affondò il viso nel suo petto, sentendo il calore delle braccia che la cingevano, e i peli che le solleticavano il naso. Si rese conto di ciò che stava facendo e cercò di sottrarsi.
— Per l’amor di Dio, non devi vergognarti di aver bisogno di qualcuno con cui sfogarti.
— È un segno di debolezza. Io… io non voglio essere debole.
— Lo siamo tutti quanti.
Si alzò con difficoltà e rimase rannicchiata fino a quando le lacrime non cessarono. Tirò su col naso, lo soffiò, poi tornò davanti all’uomo.
— Che cosa si prova? Te la senti di parlarmene? — Stava per spiegarsi meglio, ma lui sembrava aver capito.
— È… niente di speciale.
— Sei nata femmina, vero? Voglio dire, tu… Io credo di riuscire a parlarne.
— Non ha alcuna importanza come sono nato. Sono stato sia maschio che femmina. Ma dentro di me, sono ancora me stesso. Capisci?
— Non ne sono sicura.
Per molto tempo rimasero in silenzio. Cleo pensò a migliaia di cose da dire, domande da fare, ma non riusciva ad aprire bocca.
— Hai preso una decisione, vero? — chiese lui, alla fine. — Ti senti più risoluta, dopo questa sera?
— Non so.
— Non ti risolverà alcun problema, lo sai. Anzi, te ne procurerà degli altri.