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— Penso di sì. Comunque sono sempre stato piuttosto sicuro da quel punto di vista.

— I più sicuri tra di noi, sotto sotto, sono dei bambini piagnucolosi, almeno il più delle volte. Capisci che mi sono arrabbiata solo perché hai risposto di sì quando non eri pronto per farlo? E che quello è l’unico motivo? Non è stato onesto, Leo. Un maschio non dovrebbe far questo a una femmina. Tra uomo e donna è diverso. Sia lei che quel povero diavolo si mettono in testa un mucchio di stupidaggini, e non dovrebbero essere ritenuti responsabili degli scherzi che fanno i loro ego.

Leo rise. — Non so se la tua è una vera spiegazione. Ma mi suona bene. «Maschio». Forse un giorno capirò la differenza.

Molti dei problemi che si aspettava non sorsero mai.

Paul notò appena il cambiamento. Leo si era preparato a sostenere un impatto traumatico con suo figlio, impatto che non si verificò. Se qualcosa era cambiato nella vita di Paul, si trattava del fatto che ora poteva rivolgersi al suo genitore chiamandolo Leo anziché mamma.

Cosa piuttosto strana, fu Lilli in principio ad avere le maggiori difficoltà. Leo ne soffrì, cercando di non darlo a vedere, e fece tutto il possibile per abituarla gradualmente alla nuova situazione. Finché un giorno, una settimana dopo il cambiamento, andò da lui. Disse di essere stata una stupida, e voleva sapere se anche lei poteva cambiare sesso, dato che una delle sue migliori amiche era sul punto di farlo. Leo le rispose di restare femmina fino a quando non avesse superato la pubertà. Le disse che credeva le sarebbe piaciuto.

Leo e Jules si studiavano come due tigri in gabbia, incerti se attaccare, ma pronti a cavarsi gli occhi se fosse capitata l’occasione. A Leo non piaceva questo paragone; se ancora fosse stato una tigre femmina non avrebbe avuto dubbi sul risultato. Ma non aveva alcuna intenzione di scontrarsi con Jules in una lotta per la supremazia.

Dividevano un appartamento, una famiglia e un letto. Erano scrupolosamente gentili, ma si toccavano solo di rado, e Leo sentiva di doversi scusare quando capitava. Jules non voleva incontrare i suoi occhi; i loro sguardi si incrociavano e poi rimbalzavano via come due palle di sughero con la stessa carica statica.

Ma alla fine Jules accettò Leo. Jules pensava a lui come a «quel tizio che sta sempre fra i piedi». Leo non se ne preoccupò, perché lo considerava un progresso. Nel giro di pochi giorni Jules cominciò a scoprire che Leo gli piaceva. Iniziarono a dividersi le cose, a parlare di più. Per un certo tempo il loro precedente rapporto fu un argomento tabù. Era come se Jules volesse conoscere Leo partendo da zero, senza ammettere che era esistita una certa Cleo che una volta era stata sua moglie.

Non era così semplice. Leo non glielo avrebbe permesso. A volte Jules sembrava piangere per la morte di una persona amata quando cominciava a parlare con riluttanza del dolore che aveva dentro di sé. Riusciva a parlare liberamente con Leo, e lo faceva in un modo leggermente diverso da quello con cui era solito rivolgersi a Cleo. Lui mise a nudo la sua anima. Leo si stupì nel vederla così piena di lividi, di difese e di insicurezza. Vi era celata un’ostilità che Jules non si era mai sentito di confessare a una donna.

Leo lo lasciò continuare, ma quando Jules cominciava una frase con un «non potevo dirlo a Cleo» o «adesso che se n’è andata», Leo si metteva davanti a lui, gli afferrava la mano e lo costringeva a guardarlo.

— Io sono Cleo — gli diceva. — Sono qui davanti a te, e ti amo.

Cominciarono ad uscire insieme. Jules lo portò in locali dove Cleo non era mai stata. Uscivano insieme a bere qualcosa e poi si divertivano un sacco ad alzare il gomito. Prima, quando uscivano a cena, si concedevano qualche drink o uno spinello, a cui seguiva uno spettacolo oppure un concerto. Ora potevano rincasare alle due del mattino, cantando abbastanza forte per finire al fresco. Jules ammise che non si era divertito così tanto dai tempi del college.

Socializzare fu un problema. Solo pochi dei loro amici avevano cambiato sesso, e nessuno dei due voleva affrontare l’imbarazzante situazione di andare ai party come coppia. Difficilmente avrebbero potuto fare amicizia fra i changer perché Jules, a ragione, sapeva che l’avrebbero considerato un estraneo.

Così incontrarono molti uomini. Leo credeva di conoscere tutti gli amici intimi di Jules, ma si rese conto di essersi sbagliato. Scoprì un aspetto di Jules di cui non si era mai accorto in precedenza: era calmo nei suoi gesti, aveva abbandonato alcune precauzioni per innalzare nuove difese. A volte Leo si sentiva una spia, intenta a scrutare dall’interno uno strato sociale di cui aveva sempre conosciuto l’esistenza ma che non era mai riuscito a penetrare. Se Cleo fosse entrata nel gruppo la sua struttura si sarebbe sottilmente trasformata; con la sua presenza, lei avrebbe creato un nuovo ambiente, come la luce che distrugge l’atomo che si vorrebbe osservare.

Dopo quell’avventura all’Oophyte, Leo osservò il celibato per diverso tempo. Non voleva avere rapporti sessuali con chi capitava, voleva amare Jules. A quanto ne sapeva, anche Jules si asteneva dall’avere rapporti.

Però trovarono un’alternativa accettabile nel corteggiamento di coppia. Per qualche tempo se ne andarono in giro in compagnia di donne diverse con cui si divertirono parecchio, ma sempre escludendo il sesso, fino a quando ciascuno dei due non si scelse una donna con la quale poter avere una relazione. Jules stava con Diane, una che aveva conosciuto sul lavoro da parecchi anni. Leo usciva con Harriet.

Loro quattro insieme trascorsero momenti felici. A Leo piaceva che Jules lo considerasse un amico, ma avrebbe fatto in modo che non si limitasse semplicemente a questo. Cominciò a ricordare a Jules che questo poteva farlo anche con Cleo. Leo voleva mettere in evidenza il fatto che lui poteva essere un compagno, un amico intimo, un confidente, senza che il suo sesso avesse importanza. Voleva riunire le migliori qualità della donna e dell’uomo, essere per Jules entrambe le cose, soddisfare ogni sua esigenza. Ma il pensiero che per Jules non era lo stesso lo faceva soffrire.

— Ciao, Leo. Non mi aspettavo di vederti, oggi.

— Posso entrare, Harriet?

Lei gli tenne la porta aperta.

— Posso offrirti qualcosa? Ah già, prima che tu vada oltre, la storia di «Harriet» è finita. Oggi ho cambiato nome. D’ora in poi sarò Joule. J-o-u-l-e.

— D’accordo, Joule. Non prendo niente, grazie. — Si sedette sul divano.

Leo non si stupì del nuovo nome. I changer avevano la tendenza a non dare un significato ai nomi. Alcuni facevano come Cleo, scegliendo l’equivalente nome maschile o uno dal suono simile. Altri invece non badavano alla concordanza del genere e continuavano a usare il nome che avevano sempre portato. Ma altri, infine, si sceglievano un termine neutro, a seconda dei gusti personali.

— Jules, Julia — mormorò lui.

— Che cosa c’è? — La fronte di Joule si corrugò appena. — Sei venuto qui per farti consolare? Qualcosa va male?

Leo si sprofondò nel divano e si osservò le mani giunte.

— Non so. Credo di essere depresso. Da quanto? Cinque mesi? Ho imparato molto, ma non sono sicuro di cosa possa essere. Mi sembra di essere cresciuto. Vedo il mondo… vedo le cose in maniera diversa, sì. Ma in sostanza sono sempre la stessa persona.

— Nel senso che a trentatré anni sei lo stesso di quando ne avevi dieci?

Leo si agitò. — D’accordo, sono cambiato. Ma non vi è stato alcun rovesciamento. Nulla che sia finito sottosopra. È un’espansione. Non un nuovo punto di vista. È come completare qualcosa, uscendo in spazi sconosciuti. Diventando… — le sue mani brancolarono nel vuoto, poi gli ricaddero in grembo. — È come sentirsi completi.

Joule sorrise. — E ti dispiace? Che altro pretendi?

Leo non voleva ancora approfondire l’argomento. — Ascolta, e dimmi se sei d’accordo. Io ho sempre constatato l’esistenza di una qualità maschile e di una femminile (qualunque cosa significhi), e non so se queste esistano realmente su un piano diverso da quello fisico, e comunque non credo sia importante… Io le percepivo distinte. In seguito ho pensato ad esse come a fratelli siamesi che si trovano nella mente di ciascuno. Ma i gemelli erano sempre in conflitto, cercando di sopraffarsi a vicenda. L’uno avrebbe sconfitto l’altro, se ne sarebbe liberato chiudendolo in una cella senza dargli da mangiare; ma restavano sempre uniti, e lo sconfitto avrebbe costretto il vincitore a pagare il prezzo della vittoria.