Robert J. Sawyer
Origine dell’ibrido
È stato spesso ipotizzato che la fede in Dio costituisca non solo il maggiore, ma il più netto tratto distintivo tra l’uomo e gli animali inferiori.
E permettetemi di dire che Dio non è poi così infinito come affermano i cattolici. Ha un diametro di circa 600 metri, e per di più si rarefà verso i margini.
L’umanità si divideva ancora in due specie: coloro che nella loro anima possedevano la “facoltà speculativa” e coloro, i molti, che non ce l’avevano; con in mezzo una fascia di individui ibridi.
Nota dell’autore
L’Osservatorio di neutrini di Sudbury, la miniera di Creighton, l’Università Laurenziana (incluso il Gruppo di ricerca di neuroscienza) e la York University esistono realmente. Tuttavia, i personaggi del romanzo sono interamente frutto della mia immaginazione: qualunque riferimento a persone o cose che abbiano o abbiano avuto a che fare con queste istituzioni è puramente casuale.
Il “Chi è chi” nei due universi
BARAST (Homo neanderthalensis):
PONTER BODDIT — fisico quantistico (generazione 145)
JASMEL KET — figlia maggiore di Ponter (147)
MEGA BEK — figlia minore di Ponter (148)
ADIKOR HULD — fisico quantistico (145)
LURT FRADLO — compagna di Adikor, chimica (145)
DAB LUNDAY — figlio di Adikor (148)
BANDRA TOLGAK — geologa (144)
HARB — compagno di Bandra (144)
HAPNAR — figlia maggiore di Bandra (146)
DRANNA — figlia minore di Bandra (147)
VISSAN LENNET — genetista (144)
LONWIS TROB — inventore (138)
GLIKSIN (Homo sapiens):
MARY VAUGHAN — genetista del gruppo Synergy
COLM O’CASEY — marito, separato, di Mary
JOCK KRIEGER — direttore della Synergy
LOUISE BENOÎT — fisica della Synergy
REUBEN MONTEGO — fisico minerario, società Inco
VERONICA SHANNON — neurobiologa, Università Laurenziana
QAISER REMTULLA — genetista, York University
CORNELIUS RUSKIN — genetista, York University
1
“Cittadini americani… e tutti voi esseri umani presenti su questa versione della Terra… è un grande piacere per me, questa sera, rivolgervi il mio primo discorso ufficiale in qualità di nuovo Presidente. Vorrei spendere qualche parola sul futuro della nostra umanità, cioè della specie nota come Homo sapiens, ‘uomo dotato di sapienza’…”
— Mèr — disse Ponter Boddit — sono onorato di presentarti Lonwis Trob.
Abituata a vedere dei neanderthal che erano versioni compatte di Schwarzenegger (definizione del “Toronto Star”), Mary fu molto colpita dall’aspetto del nuovo venuto.
Ponter, un 145, vale a dire un trentottenne, era alto un metro e 60 scarsi, il che lo classificava tra i giganti della sua specie. Lonwis Trob era uno dei pochi sopravvissuti della generazione 138, cioè aveva la stupefacente età di 108 anni, ed era pelle e ossa, per quanto largo di spalle. Tutti i neanderthal, popolo adattato ai climi nordici, erano di carnagione chiara; ma Lonwis di fatto aveva una pelle diafana, con peli radissimi. Anche il cranio, tipicamente neanderthaliano, era calvo al cento per cento.
La caratteristica più sorprendente dei due uomini di fronte a Mary Vaughan però erano le iridi. Quelle di Ponter erano dorate, e Mary non si sarebbe mai stancata di guardarle. Quelle di Lonwis erano segmentate, meccaniche. I suoi globi oculari erano sfere metalliche che emanavano una luminosità blu verdastra.
— Le auguro salute, scienziato Trob — disse Mary. Però non gli strinse la mano, perché non era un’abitudine neanderthaliana. — È un onore conoscerla.
— Senza dubbio — rispose lui. Come di prassi, parlava nella propria lingua e veniva tradotto dall’altoparlante esterno dell’impianto Companion che aveva innestato al polso sinistro.
E che Companion! Mary sapeva che era stato proprio Lonwis, da giovane, a inventare quell’apparecchio (nell’anno 1923 del nostro mondo). Per onorarlo, il suo popolo gliene aveva regalato uno con la mascherina in oro massiccio. Hak, il Companion di Ponter, era in semplice acciaio.
— Mèr è una genetista — disse Ponter. — È stata lei, nella mia prima visita a questa versione della Terra, a dimostrare che io sono un “neanderthal”, come dicono loro. — Prese le dita affusolate di Mary nella propria mano tozza e robusta. — E soprattutto, è la donna che amo. Intendiamo stringere al più presto un Legame tra noi.
Lonwis spostò su di lei gli occhi meccanici; impossibile decifrarne l’espressione. Mary spostò d’istinto lo sguardo fuori dalla finestra, al primo piano dell’antico palazzo di Rochester, Stato di New York, in cui il gruppo Synergy aveva installato il proprio quartier generale. La distesa grigia del lago Ontario si prolungava fino all’orizzonte. — Be’… — commentò Lonwis, o almeno così tradusse il Companion. Poi, in tono più gioviale, a Ponter: — E io che credevo di essere all’avanguardia nei rapporti interculturali!
Lonwis era una delle dieci autorità neanderthal che si erano trasferite sulla nostra Terra per impedire ai loro capi di chiudere il varco tra i due universi paralleli.
— Di questo, la ringrazio di cuore — disse Mary. — Come la ringraziamo noi tutti… noi della Synergy. Venire in un mondo alieno…
— … era l’ultima cosa che avrei immaginato di fare, alla mia età — concluse lui. — In barba a quegli zucconi del Gran Consiglio dei Grigi!
— Lo scienziato Trob — disse Ponter — collaborerà con Lou per vedere se è possibile realizzare un computer quantistico, sul modello di quello costruito da me e Adikor, con i materiali disponibili su questa Terra.
“Lou” era Louise Benoît, esperta in Fisica delle particelle. I neanderthal non riuscivano a pronunciare la “i” lunga o accentata.
Louise aveva salvato la vita a Ponter quando lui, la prima volta, si era casualmente materializzato dentro la sfera di acqua pesante all’Osservatorio di neutrini di Sudbury. Durante la quarantena a cui era stata sottoposta insieme a Ponter, Mary e al medico Reuben Montego, Louise aveva potuto imparare molto sul computer quantistico neanderthaliano, che era stato responsabile del contatto tra i due universi paralleli.
— Quando potrò conoscere la scienziata Benoît? — chiese Lonwis.
— Immediatamente — rispose una voce femminile con accento francese. Era lei, sulla soglia: una bruna mozzafiato di 28 anni, tutta gambe, denti bianchissimi e curve. — Chiedo scusa per il ritardo. Oggi il traffico era da suicidio.
Lonwis incassò lievemente la testa, in ascolto della traduzione che il Companion gli forniva tramite il microfono interno alla coclea. L’ultima frase di Louise parve ovviamente assurda.
La ragazza entrò nell’ufficio, e porse la mano. — Buongiorno, scienziato Trob. È un vero piacere incontrarla.
Ponter sussurrò qualcosa all’orecchio di Lonwis, il quale sollevò un sopracciglio, o meglio: corrugò la pelle della fronte glabra. Poi strinse la mano a Louise, ma con l’aria di qualcuno che tocchi un oggetto immondo.
Louise si esibì in uno dei suoi sorrisi più radiosi, anche se non parve fare troppo effetto sull’anziano neanderthal. — Un piacere e un onore — aggiunse. Si voltò verso Mary. — Non ero così elettrizzata dal giorno in cui ho conosciuto Stephen Hawking!