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— Non so — rispose. — All’epoca Ponter l’ha presa sul ridere, e in seguito non ne ha più parlato.

— Be’, se mai accettasse, voglio una copia con autografo — disse Keisha con un sorriso.

— Stanne certa — disse Mary. E lo intendeva alla lettera: non avrebbe mai potuto dimenticare la violenza, come neppure Keisha la propria, ma il fatto che riuscissero a scherzare in quel modo indicava che entrambe avevano fatto parecchi passi avanti.

— Per tornare alla domanda: “come stai?” — riprese Mary, battendo una pacca sulla mano di Keisha — la risposta è: “meglio”. Meglio di giorno in giorno.

Terminata la pausa, Mary si precipitò alla libreria, acquistò quattro tascabili e poi tornò a prendere Ponter. Al parcheggio la temperatura era decisamente aizzante.

Dran! — esclamò Ponter, e Hak tradusse: — Per la miseria!

— Che c’è? — chiese Mary.

— Che cos’è quello? — chiese il neanderthal, indicando.

Incuriosita, Mary osservò in quella direzione. E scoppiò a ridere: — Un cane!

— La mia Pabo è un cane — disse Ponter — e ne ho visti di diversi tipi in questo mondo. Ma… questo! — L’animale si stava avvicinando, al guinzaglio della padrona. Ponter si chinò per esaminarlo. — Sembra una salsiccia!

— È un dachshund: bassotto tedesco — disse la proprietaria con sussiego. Riuscì a far finta di niente di fronte a un uomo di Neanderthal.

— Un… — commentò Ponter. — Chiedo scusa. È un difetto genetico?

La donna non gradì. — Il suo pedigree è ineccepibile.

— Con quelle zampe? Quelle orecchie? Quel corpo?— Ponter si rialzò scuotendo la testa. — Un cane deve essere un cacciatore.

— I bassotti sono cacciatori — replicò la proprietaria. — Sono stati creati in Germania per stanare i tassi, che in tedesco si chiamano appunto dachs. Non lo vede?

— Oh — fece Ponter. — Hmm, be’, scusi.

La donna si raddolcì. — I barboncini — disse, arricciando il naso — quelli sì, sono dei cani assolutamente ridicoli.

Con il passare dei giorni, Cornelius Ruskin non poté più negare di sentirsi trasformato, e a velocità vertiginosa. Continuava a digitare una ricerca dietro l’altra su Google; otteneva risultati più seri da quando aveva scoperto che il termine medico per castrazione era “orchiectomia”.

Sul sito dell’Università di Plymouth trovò un documento dal titolo Effetti della castrazione e dell’assunzione di testosterone sul comportamento sessuale maschile. Nei porcellini d’India castrati, il livello di erotismo precipitava a picco.

Ma lui non era una bestia! Quattro roditori non dimostravano un accidente.

Nella stessa pagina compariva uno studio compiuto da due ricercatori di nome Heim e Hirsch. Vi si sosteneva che oltre il 50 per cento degli stupratori “non mostravano più segni di attività sessuale a partire da poco tempo dopo la castrazione; con un effetto simile a quello riscontrato nei ratti”.

Ovviamente, ai tempi dell’università, la retorica femminista voleva che lo stupro fosse considerata un’aberrazione della violenza, non della sessualità. Storie. Cornelius, che aveva avuto un interesse non solo momentaneo nella questione, aveva letto il classico di Thornhill e Palmer Storia naturale dello stupro (2000), in cui esso veniva presentato come una strategia riproduttiva per…

Spiaceva notarlo, ma era la verità: per quei maschi che non possedevano lo status per riprodursi nel modo consueto. Qualunque fosse il motivo per cui quello status era stato loro negato.

Cornelius era furente con il politically correct. Sul DNA antico, lui era qualificato quanto e più di Mary Vaughan. Basta con questi sensi di colpa accademici a favore di donne e discendenti di ex schiavi! Cosa c’entrava lui?

Erano anni che si rodeva il fegato per queste cose.

E adesso…

Adesso…

Si sentiva solo arrabbiato, ma con le reazioni sotto controllo.

Non c’erano molti dubbi su quale fosse la causa di quel calo di energie. Possibile che gli effetti fossero così rapidi?

La risposta pareva “sì”. Continuando a navigare sul Web s’imbatté in un articolo del “New Times” di San Louis Obispo, con un’intervista a un certo Bruce Crotfelter, rimasto vent’anni in carcere per molestie a minori; poi lo avevano castrato chirurgicamente. “Un miracolo” affermava Crotfelter. “Il mattino dopo mi accorsi che, per la prima volta da anni, non ero stato tormentato da quegli orrendi incubi a sfondo erotico”.

Il mattino dopo.

Cristo, e il testosterone a che serviva? Due colpi di mouse, ed ecco la risposta: “L’emivita del testosterone libero nel sangue dura solo pochi minuti”, secondo un sito; un altro sito concedeva una decina di minuti.

Un altro po’ di navigazione lo portò nella pagina di un uomo che si era fatto evirare, senza poi sottoporsi a trattamenti ormonali. Questo era il suo racconto:

Quattro giorni dopo la castrazione (…) mi sembrava di essere molto meno infastidito dall’attesa ai semafori o altre seccature quotidiane (…).

Sei giorni dopo, tornai al lavoro. Fu una giornata particolarmente stressante (…) ma al termine mi sentivo perfettamente calmo. Stavo decisamente provando gli effetti dell’evirazione. Poco ma sicuro, senza testosterone vivevo meglio.

Dieci giorni dopo, mi sentivo come una piuma portata dal vento. Mi sentivo sempre meglio. Per me, la serenità è stato il più grande effetto della castrazione, seguita al secondo posto dall’abbattimento della libido.

Trasformazione immediata.

Dalla notte al mattino dopo.

Una metamorfosi completa nell’arco di pochi giorni.

Cornelius sapeva… “sapeva”!… che avrebbe dovuto essere furioso.

Ma non ci riusciva.

10

“Fu questo spirito di avventura che spinse altri a spiegare audacemente le vele verso l’orizzonte, scoprendo le nuove terre dell’Australia e della Polinesia…”

C’era un’ottima ragione per voler stabilire il nuovo varco tra universi nei pressi della sede centrale dell’ONU. L’attuale varco era piazzato a 2 km nel sottosuolo, a 1.200 metri di distanza in orizzontale dal più vicino ascensore gliksin, e a 3 km dal più vicino ascensore barast.

Per passare da una superficie terrestre all’altra, a Mary e Ponter ci sarebbero volute un paio d’ore. Prima tappa: indossarono elmetti e stivaloni (Ponter ne ebbe di fatti su misura), e scesero sottoterra con l’ascensore della miniera di Creighton.

Mary si era portata due valigie; Ponter gliele teneva, una per mano, senza sforzo.

Per gran parte del tragitto furono insieme a cinque minatori, i quali scesero al livello precedente al capolinea. Mary e Ponter arrivarono fino in fondo, quindi arrancarono verso l’Osservatorio di neutrini. Mary non era in grande forma atletica, ma era ancora peggio per Ponter, in questo clima sotterraneo di 41 °C.

— Non vedo l’ora di essere a casa — disse lui. — A respirare aria buona.

Non si riferiva all’atmosfera stagnante della miniera ma ai combustibili fossili di superficie, che avevano aggredito il suo olfatto quasi dappertutto, tranne alla villa di Reuben.

Quanto a Mary, non era solo questione di passare da un formicaio di 6 miliardi di anime a un mondo con soli 185 milioni di… di persone, perché i barast non ritenevano di avere un’anima. Il giorno prima della loro partenza per Rochester, Ponter era stato intervistato per radio (i neanderthal erano richiestissimi come ospiti a ogni genere di trasmissione), e Bob Smith della PBS gli aveva fatto varie domande sulla sua filosofia di vita. Vari minuti erano stati spesi sulla pratica di sterilizzare i criminali. Adesso, mentre procedevano per il tunnel fangoso, la conversazione cadde sul tema dell’intervista.