— Avanti — disse Mary.
— No, niente.
Mary aggrottò la fronte. — Stavi pensando alla violenza carnale.
Ponter rimase muto a lungo, con gli occhi al pavimento fangoso che stavano percorrendo. All’inizio Mary pensò di averlo offeso, come se lo avesse voluto rimproverare di essere così insensibile da tirare fuori quell’esempio. Ma, quando Ponter finalmente parlò, Mary rimase ancora più sconvolta. — Per la verità — disse Ponter — non mi riferivo a quel crimine in generale. — La fissò negli occhi per un istante, poi tornò a guardare il suolo. La lampada fissata sull’elmetto rivelava file di impronte di stivali nel fango. — Mi riferivo alla violenza subita da te.
A Mary accelerò il battito cardiaco. — Che vuoi dire?
— Da noi… abbiamo l’abitudine di non avere segreti tra partner. Però…
— Ti ascolto.
Ponter si guardò alle spalle per accertarsi che non ci fossero orecchie estranee. — C’è una cosa che non ti ho detto. Non l’ho raccontato a nessuno. Tranne…
— Tranne a chi? Adikor?
Ponter scosse la testa. — No. No, neppure lui ne è al corrente. L’unico a saperlo è un barast di nome Jurard Selgan.
— Uh? Non te lo avevo mai sentito nominare.
— No, infatti. Lui è un… uno scultore di personalità.
— Un che?
— Si occupa di coloro che desiderano modificare la propria situazione mentale.
— Vuoi dire… uno psichiatra?
Ponter rimase in ascolto interno di Hak. Indubbiamente il Companion gli stava fornendo una traduzione etimologica del termine. Ironia della sorte, la parola più vicina al greco psyché è “anima”. Alla fine Ponter annuì. — Uno specialista equivalente, sì.
A Mary si tesero i nervi. — Sei andato da uno psichiatra? Per il mio stupro? — Sperava che lui avrebbe capito, maledizione. È vero che, statisticamente, i mariti vedevano in modo diverso le loro mogli dopo una violenza; come se in parte fosse colpa di loro stesse; come se, sotto sotto, lo avessero desiderato…
Ma Ponter… lui avrebbe dovuto capire!
Proseguirono immusoniti per un po’.
A ben pensarci (si disse Mary), Ponter aveva dimostrato una curiosità eccessiva nel cercare di conoscere i dettagli dello stupro.
Si voltò verso di lui. Una massa tozza e scura sullo sfondo della parete rocciosa. — Non è stata colpa mia — disse Mary.
— Come? — si sorprese lui. — No, certo. Lo so.
— Non era qualcosa che io desiderassi.
— Non l’ho mai pensato.
— Allora perché vai da quel… quello scultore di personalità?
— Non ci vado più. È solo che…
Ponter si bloccò. Aveva inclinato lievemente la testa, in ascolto di Hak. Dopo un po’ annuì in modo appena percettibile; un segno di assenso fatto al Companion, non a Mary.
— Solo che…? — lo pungolò Mary.
— Niente — disse Ponter. — Mi spiace di aver accennato alla cosa.
“Spiace anche a me” pensò lei, camminando nella semioscurità.
11
“Fu questo spirito di avventura a spingere i Vichinghi a raggiungere le coste del Nord America mille anni fa, e che cinquecento anni fa diede vela alla Niña, alla Pinta e alla Santa Maria…”
Alla fine, Mary e Ponter arrivarono all’Osservatorio di neutrini. Attraverso un dedalo di vasche e tubature, raggiunsero la sala di controllo. Era deserta: la prima comparsa di Ponter aveva distrutto la sfera ad acqua pesante, e i lavori di ristrutturazione erano stati interrotti dalla riapertura del varco.
Scesero al tunnel che collegava i due universi, costituito da un tubo Derkers. Lanciarono un’occhiata all’interno del tunneclass="underline" all’estremità opposta s’intravedevano le pareti gialle della stanza del computer quantistico neanderthaliano.
All’imboccatura sul lato gliksin stava di guardia un militare canadese. Gli mostrarono i passaporti (anche a Ponter era stata conferita la cittadinanza canadese).
— Dopo di te — disse in tono galante Ponter a Mary. Lei si fece coraggio e s’incamminò per il tunnel, che all’interno era lungo una ventina di metri e largo 6 (all’esterno, se ne vedeva solo metà). Al centro baluginava un anello bluastro di luce. Mary attraversò con un lungo passo nervoso il confine tra i due mondi, sentendosi formicolare addosso elettricità statica.
E, di punto in bianco, eccola nell’universo neanderthal.
Si voltò indietro per guardare Ponter. Mentre emergeva dal punto di discontinuità, gli si elettrizzarono i capelli biondi, con la scriminatura in mezzo come in quasi tutti quelli del suo popolo.
Appena anche lui fu tutto sul suo lato, Mary riprese a percorrere il tubo.
Di là, una Terra che si era staccata da quella dei sapiens 40.000 anni fa. Adesso i due viaggiatori si trovavano all’interno dell’impianto che avevano intravisto dall’imboccatura opposta. Il computer quantistico era stato realizzato da Adikor Huld per far girare un software creato da Ponter Boddit; lo scopo era fattorizzare numeri più elevati di quanto si fosse mai tentato finora. Il risultato imprevisto era stata l’intrusione in un universo parallelo: il nostro.
— Ponter! — esclamò una voce tonante.
Mary guardò chi fosse; Adikor, il compagno di Ponter, stava scendendo di corsa i cinque scalini che collegavano la sala controllo al computer.
— Adikor! — disse Ponter. I due si abbracciarono, leccandosi a vicenda le guance.
Mary distolse gli occhi. In condizioni “normali”, ammesso che il termine avesse un senso, Mary avrebbe visto molto di rado i due insieme; quando i Due diventavano Uno, Adikor trascorreva infatti tutto il tempo insieme alla compagna e al figlio.
Ma in quel momento i Due non erano Uno, quindi Ponter conviveva con Adikor.
I due uomini si staccarono, e Ponter indicò Mary: — Ti ricordi di Mèr, no?
— Ovvio! — disse lui, sorridendo in modo che pareva sincero. Mary si sforzò di emulare la sua cortesia: — Ciao, Adikor.
— Felice di rivederti, Mèr.
— Grazie.
— Qual buon vento? Non è ancora il Due-Uno.
“Ci siamo” pensò lei: Adikor stava marcando il territorio.
— Lo so — rispose Mary — ma sono venuta per una visita prolungata. Intendo conoscere più da vicino la vostra genetica.
— Ah — disse Adikor. — Allora Lurt sarà un’ottima interlocutrice.
Mary ponderò tra sé quelle parole. Adikor voleva essere gentile, o sottolineare che lei avrebbe dovuto frequentare altre donne, restandosene al Centro, lontano da loro due?
— Non vedo l’ora — disse Mary.
— Accompagno rapidamente Mèr a casa nostra — disse Ponter ad Adikor. — Le fornirò varie cose che le torneranno utili nel periodo che trascorrerà qui. Poi le ordinerò un mezzo di trasporto per il Centro.
— Bene — disse il compagno. Osservò Mary, poi di nuovo Ponter. — Quindi, a cena saremo solo noi due?
— Naturalmente — rispose Ponter.
Mary si spogliò completamente; l’assenza di tabù sessuali nel mondo neanderthal le rendeva più facile l’operazione. Quindi si sottopose al processo di decontaminazione laser. Apparecchiature dello stesso genere erano in costruzione sulla sua Terra per curare vari tipi di infezione; peccato che questa tecnologia non fosse in grado di combattere le forme tumorali, in quanto non si tratta di corpi estranei ma di patologie derivate dalle cellule del malato stesso. Perciò, due anni prima, la leucemia si era portata via la moglie di Ponter, Klast.
Però “portata via” era un’espressione da gliksin, che sottintendeva che la persona fosse finita da qualche parte. Per i neanderthal non era così. Per loro, si scompariva e basta.